«Per una società civile partecipe delle decisioni»

Jai Jagat 2020
Rajagopal P.V. in colloquio con Dominik Gross e Daniel Hitzig di Alliance Sud.
19.12.2019
Articolo global
Sviluppo? Cambiamento climatico? Parità di genere? Diritti dell’uomo? La società civile deve poter partecipare alle decisioni riguardanti tutti questi temi. Due attivisti intendono indirizzare questa aspirazione in una rete internazionale.

global: Avete già sfidato i potenti organizzando le marce del movimento dei contadini senza terra «Ekta Parishad» in India. Ora volete far sentire la vostra voce a livello mondiale con una marcia internazionale che prende il nome di «Jai Jagat 2020». Cosa significa questo termine?

Rajagopal P.V.: «Jai Jagat» può essere tradotto con “la vittoria del mondo”. Il termine è molto vicino al concetto gandhiano di «sarvodaya» (progresso per tutti). Se una vittoria è possibile allora questa dev’essere dell’intera umanità e non di una nazione sull’altra. La nostra campagna è cominciata il 2 ottobre 2019, giorno del centocinquantesimo anniversario della nascita del Mahatma Gandhi, e terminerà in un’apoteosi esattamente un anno dopo a Ginevra, la seconda sede più importante delle Nazioni Unite.

Cosa succederà fino a quel momento?

Il piano iniziale era quello di venire a piedi dall’India fino in Svizzera, ma non possiamo passare dal Pakistan a causa delle tensioni tra i due paesi confinanti, quindi per i primi quattro mesi marceremo su tutta l’India e a inizio febbraio 2020 prenderemo l’aereo per Abu Dhabi, poi speriamo di raggiungere l’Iran in traghetto.

Ma non sarete delle centinaia di migliaia…

No, a differenza delle marce precedenti per delle ragioni logistiche saremo all’incirca soltanto 200 persone. Anche perché trovare un alloggio in inverno non è facile. Durante i mesi più caldi dormire sotto le stelle non sarà un problema e quindi potremo essere molto più numerosi nel periodo estivo. Il gruppo principale sarà formato da 50 persone e in ogni paese verremo raggiunti da almeno altre 150, che ci accompagneranno per una parte del tragitto.

Jill Carr-Harris: Per l’ultima tappa verso Ginevra ci aspettiamo già altre 5.000 persone che ci raggiungeranno dalla Svezia, dalla Gran Bretagna e dal Nord Africa dopo essersi messe in cammino alla fine dell’estate 2020 come risultato della marcia delle stelle di «Jai Jagat». E ovviamente confidiamo anche nella partecipazione di numerosi svizzeri e svizzere e di molte persone provenienti dalle regioni sulla frontiera ginevrina per accompagnarci fino all’ONU.

Che itinerario avete scelto?

Rajagopal P.V.: Dall’Iran ci recheremo in Azerbagian e da lì in Armenia e Georgia, poi attraverseremo il Mar Nero in barca e raggiungeremo l’Europa entrando dalla Bulgaria. Passando dalla Serbia, dalla Bosnia-Erzegovina e dalla Croazia arriveremo in vista del Mar Mediterraneo a Spalato. Da lì raggiungeremo in barca Ancona, in Italia, e ad Assisi speriamo di incontrare Papa Francesco. Infine raggiungeremo la Svizzera da Briga e percorreremo la valle del Reno fino a Ginevra. Per questa parte del viaggio abbiamo calcolato 22 giorni ma attraverseremo le Alpi in autobus. Dopotutto la nostra marcia non è pensata per essere un evento sportivo ma un cammino per la pace (ride).

Di quali contenuti politici vi farete portatori durante questo viaggio?

Jill Carr-Harris: Gli eventi e gli incontri organizzati lungo il nostro cammino saranno incentrati sui temi all’origine delle preoccupazioni delle popolazioni locali: i rapporti violenti tra India e Pakistan e in Iran la questione nucleare ma anche le tensioni tra sunniti e sciiti. Il Caucaso invece è un punto nevralgico della nuova guerra fredda tra Russia e la NATO e i Balcani sono il teatro di conflitti etnici e religiosi.

Con che tipo di problemi vi state confrontando durante la preparazione di questa marcia?

Siamo sicuri del sostegno della società civile tanto quanto fatichiamo a ottenere quello delle autorità. Prendiamo l’Italia, un paese che gode di una lunga tradizione per quanto riguarda l’accoglienza dei rifugiati, questa tendenza si è però ribaltata con il governo dominato da Matteo Salvini. L’Italia sarà una tappa molto importante che durerà circa 16 giorni e si svolgerà nel cuore dell’estate 2020. Speriamo che trattandosi di un periodo di vacanze sarà più facile poter incontrare il Papa.

I movimenti sociali sono sempre più esposti alla pressione dei governi di tutto il mondo. E in India?

Rajagopal P.V.: La riduzione del margine di manovra della società civile è un grave problema per le organizzazioni che operano su una base di volontariato. Il concetto dei diritti dell’uomo viene solitamente sminuito nei paesi del Sud ed è anche screditato dal governo indiano che lo percepisce come uno strumento occidentale. Anche se ovviamente le ONG che hanno dei legami con le organizzazioni internazionali beneficiano di un certo livello di protezione, sono al contrario attaccate proprio per questa ragione e viste come «agenti stranieri» la cui influenza dev’essere limitata nell’interesse dello sviluppo nazionale.

Eppure il punto fondamentale sarà quello di capire che tipo di sviluppo vogliono le persone…

Sì, lo «sviluppo» può suscitare delle reazioni molto violente. Ed è lì che entra in gioco il punto di vista di Gandhi. Lui si è battuto per l’autodeterminazione, non gli interessava una nazione indiana potente e che costruisse delle barriere ma sperava nella creazione di una federazione di comunità di villaggio autodeterminate e sovrane. Perché lo sviluppo non dovrebbe mai rimettere in questione i mezzi di sussistenza naturali delle persone. È quello che fanno le grandi società di materie prime al servizio dello Stato, finanziano i partiti politici per poter vincere le elezioni ed esercitare così un’influenza ai più alti livelli dello Stato. È quello che succede oggi ed è il motivo per cui una concezione di sviluppo diversa e indipendente dal concetto di progresso industriale viene combattuta con così tanta forza. Ma le idee di Gandhi sono sicuramente più attuali che mai soprattutto in Africa e in America Latina.

Quali sono le conseguenze sociali della confisca delle terre e delle risorse naturali da parte delle società agro-industriali e dell’espulsione delle persone dai loro luoghi d’origine?

Noi chiamiamo questo processo la «brasilizzazione» dell’India. Come in Brasile, anche in India un numero sempre più grande di persone deve andare a vivere nelle bidonville delle megalopoli. Le persone che militano per l’approvvigionamento di acqua potabile ed energia nelle zone rurali vengono accusate di essere nemiche della nazione indiana.

Che modello opponete a questo fenomeno?

Jill Carr-Harris: Per noi l’India non ha come vocazione quella di essere una potenza nucleare. Nel suo DNA ci sono la nonviolenza e la pace insegnate da Buddha e da Gandhi. Questi strumenti sono capaci di mettere in ginocchio pure i più potenti come lo ha dimostrato la lotta per l’indipendenza contro il potere coloniale britannico. Ed è proprio di questi strumenti che il mondo ha bisogno oggi. Quando abbiamo elaborato il concetto di «Jai Jagat» ci siamo chiesti che cosa l’India potesse dare al mondo. Secondo Gandhi è l’idea di un pianeta senza frontiere e senza esclusi, un pianeta sul quale ognuno deve poter riuscire a cavarsela.

Quindi un concetto diametralmente opposto a quello degli Stati-nazione in competizione?

Rajagopal P.V.: Sì, assolutamente. Ed è per via del fatto che questo antico sapere contraddice il concetto occidentale d’industrializzazione a livello planetario che oggi è privato di legittimazione. L’affermazione secondo la quale la globalizzazione può risolvere qualsiasi problema fa perdere la testa alla gente. A Gandhi non importava del potere dei soldi e della politica, lui aspirava al potere morale. Quando l'India ha ottenuto l’indipendenza lui non è andato a festeggiare ma ha subito cominciato a darsi da fare per la riconciliazione tra indù e musulmani. Gandhi era convinto dell’inutilità del potere senza una morale. Quello che funziona a livello economico non è necessariamente eticamente corretto, tutt’altro. I parametri economici come il PIL [prodotto interno lordo] ci dicono poco sulla corruzione, sulla povertà e sulla miseria. Ma questa logica governa il mondo e noi siamo rimasti fermi a guardare troppo a lungo.  

Come spiegate il fatto che Gandhi sia venerato come un eroe nazionale indiano quando la sua visione del mondo si differenzia completamente dall’India moderna?

Per molti indiani Gandhi non ha molta importanza. Si osserva una tendenza molto marcata a distruggere il suo lascito. Visto che le idee di Gandhi sono troppo esigenti, lui parla di morale, semplicità, onestà e di tutto quello che molti indiani preferiscono non sentire, lui è fonte di costante irritazione.

Jill Carr-Harris: Con la sua filosofia Gandhi si oppone alla rivendicazione del potere della maggioranza che però oggi è di nuovo legittimata dalla maggioranza indù del Primo ministro indiano Narendhra Modi del partito nazionalista indù. È proprio contro questa esclusione dell’altro che Gandhi si è battuto ed è anche uno dei fondamenti della nostra marcia per la pace: vogliamo dire no al nazionalismo e al protezionismo dilaganti. Vogliamo la partecipazione di tutti, la democratizzazione della democrazia, e chiaramente speriamo che l’idea che diffonderemo in tutto il mondo con la nostra marcia avrà di nuovo un effetto anche sull’India.

Che ruolo gioca la nonviolenza nella questione della parità tra uomini e donne o nel dibattito sul clima?

È interessante notare che il punto di vista di Gandhi su questi temi rimane sempre attuale. Che i dibattiti siano moderni o postmoderni, con la sua ottica Gandhi s’inserisce nel giusto mezzo e tutte queste lotte possono unirsi e fondersi. Le femministe che ignorano gli uomini che si dimostrano aperti alla loro causa sbagliano strada. Abbiamo bisogno di padri che educhino le proprie figlie a essere delle donne forti. L’idea di vedere tutto come un insieme coerente è un concetto nuovo e inusuale qui in occidente. Una qualità molto importante in questo contesto è la perseveranza: a Gandhi non interessava il corto termine. Questo tipo di lotte richiede molta pazienza e bisogna essere capaci di controllare la propria collera contro l’ingiustizia rimanendo costruitivi. Non è così facile mantenere il controllo del proprio ego ferito.

Voi sottolineate il legame diretto tra la vostra marcia per la pace e l’Agenda 2030 di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (OSS). In che misura sono legate le due cose?

Rajagopal P.V.: Cosa ci ha lasciato Gandhi? Con il suo lavoro voleva dare potere a chi ne era totalmente privo. Per lui l’elemento cardine dello sviluppo è sempre stato quello di non escludere nessuno. L’idea centrale degli OSS, “Leave no one behind” (non lasciare da parte nessuno) è quasi un’illuminazione nel contesto dell’ONU (ride). Partiremo dalla tomba di Gandhi, attraverseremo tutto il suo paese a piedi e porteremo il messaggio di inclusione fino alla sede dell’ONU a Ginevra. Perché è evidente che in un mondo globalizzato non c’è posto per gli «ultimi». L'Agenda 2030 resta una semplice lista di pii desideri se la società civile non crea uno spazio e non esprime in modo forte e chiaro le idee che ha riguardo a essa. Se le multinazionali hanno a loro disposizione la terra, l’aria e l’acqua, se le persone perdono il controllo sulla propria vita, come si può pensare di lottare seriamente contro la povertà? L'Agenda 2030 è per le persone e non per i governi. L'ONU deve spingerli ad ascoltare le popolazioni, la società civile. Con la nostra «Jai Jagat» speriamo di poter influenzare l’opinione pubblica mondiale in questo senso.

In che senso concretamente?

Le soluzioni tecnologiche non basteranno in nessun caso a costruire un mondo migliore. Non fanno che creare nuovi problemi. Dobbiamo pensare in modo olistico, concentrarci sulle relazioni tra vari ambiti delle nostre società invece di esaminare ogni questione separatamente. Questa filosofia si applica anche agli OSS. Al nostro arrivo a Ginevra nell’ottobre del 2020 vogliamo avviare dei negoziati di alto rango con i dirigenti della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale e dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Perché le loro politiche di sviluppo finanziarie e commerciali sono in evidente contrasto con i contenuti dell'Agenda 2030. Ma l'ONU non dice niente. Manca la coerenza.

Come pensate di convincere chi trae profitto dall’attuale situazione a cambiare il proprio comportamento?

Jill Carr-Harris: Quando le persone scoprono il potere di una collettività, il fascino ingannevole dei soldi diminuisce. I ricchi si rinchiudono sempre di più nelle loro comunità chiuse, le cosiddette “gated communities”, per paura del mondo esterno. Ma il loro individualismo non li può più proteggere, la sicurezza può essere raggiunta soltanto insieme ad altre persone, congiuntamente.  

In quale misura pensate che il vostro messaggio venga effettivamente ascoltato da dei ministri e dei leader dell’economia?

Rajagopal P.V.: La nostra è una filosofia della resistenza e del dialogo. L’una ha bisogno dell’altro. Le guerre non si concludono sul campo di battaglia, ma solo quando gli avversari ritrovano la strada del dialogo. Ho già vissuto quest’esperienza nel 1972: nessuno voleva parlare con i «banditi» senza terra della valle di Chambal e io ho fatto da mediatore tra i ministri e i fuorilegge. Sono rimasti tutti senza parole quando questi ultimi hanno posato i loro mitra davanti a un quadro di Gandhi. Il passaggio dalla violenza al dialogo può generare una forza enorme. Purtroppo molti dirigenti ancora adesso non sanno come risolvere i conflitti in modo civile e preferiscono nascondersi dietro alle forze di sicurezza che usano la violenza sulle popolazioni. Per quel che mi riguarda sono convinto che un mondo migliore presuppone una capacità a relazionarsi che permetta di superare la polarizzazione. È quello a cui ci stiamo preparando ed è il motivo per cui verremo a Ginevra nell’ottobre del 2020 per avviare un dialogo molto serio. «Walk walk, talk talk».

Pubblicato il 04.12.2019 e 11.12.2019

su Il Corriere degli Italiani

(Traduzione: Sofia Reggiani)

 

Rajagopal P.V. et Jill Carr-Harris

Rajagopal P.V. (né en 1948) provient de l'État indien du Kerala. Le fils d'un indépendantiste a étudié ingénieur agronome et a fondé l'organisation Ekta Parishad en 1991. Elle lutte pour les droits de la population rurale selon les principes de la non-violence du Mahatma Gandhi. Au centre du mouvement se trouvent les réformes agraires, la fin des expulsions et les instances de résolution des conflits fonciers qui fonctionnent.

Jill Carr-Harris est sa compagne de vie depuis 1993. Née au Canada, elle vit en Inde depuis plus de 30 ans, où elle fait de la recherche et enseigne la non-violence et la paix, avec un accent particulier sur les femmes et le développement.