Il 19 dicembre dello scorso anno, calato il sipario sull’undicesima conferenza ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), le strade di Buenos Aires si sono trasformate in un campo di battaglia. Le incessanti manifestazioni e gli scioperi generali durati un mese, non hanno impedito al presidente Mauricio Macri di portare avanti la controversa riforma delle pensioni la quale prevede l’innalzamento dell’età della pensione e la limitazione dell’indicizzazione delle pensioni all’inflazione. Tuttavia, con un tasso d’inflazione record del 20% annuo, molti pensionati faticano a far quadrare i conti e i lavoratori vedono diminuire il loro potere d’acquisto. Il tasso di povertà ufficiale si situa al 28,6%. La situazione di stallo tra il presidente liberale, la sinistra peronista e i sindacati ha portato all’inasprirsi degli scontri nelle strade di Buenos Aires e a una conseguente repressione brutale, come non si era più vista dalla crisi finanziaria del 2001.
L’obiettivo dichiarato dal governo, eletto nel 2015, è di ridurre il disavanzo di bilancio di 31 miliardi di dollari nel 2016, risparmiandone 6 miliardi. Utilizzare i fondi dei pensionati è il mondo migliore di realizzarlo? Per rispondere a questa domanda retorica basta confrontare questo importo con le somme astronomiche che l’Argentina deve agli investitori stranieri.
Crisi finanziaria, stato di emergenza e valanga di denunce
Per capire le origini della crisi del 2001, che aveva messo in ginocchio il paese, dobbiamo risalire agli inizi degli anni ’90. L’Argentina era sommersa da debiti. Per far fronte a tale situazione il governo aveva privatizzato una serie d’imprese pubbliche, concedendole prevalentemente a investitori stranieri. Per attirarli aveva siglato una cinquantina di accordi di promozione e protezione degli investimenti (APPI). Nonostante queste aperture il pase non è stato in grado di rimborsare il debito pubblico e nel 2001 è infatti, fallito.
Adottando misure eccezionali, il nuovo governo Duhalde ha dichiarato allora lo stato d’emergenza. Ha dovuto abbandonare la parità tra peso e dollaro, con una conseguente improvvisa svalutazione della moneta nazionale e una perdita del potere d’acquisto della popolazione sui prodotti importati. Ha congelato i prezzi e ha obbligato gli investitori stranieri a riscuotere le entrate in pesos. Tuttavia questi ultimi volevano continuare a essere pagati in dollari, o in pesos, al valore risalente alla realizzazione degli investimenti. Questo avrebbe comportato un aumento del 200, 300 o 400%, insostenibile per dei clienti già afflitti da inflazione e disoccupazione.
Per protestare conto queste misure eccezionali, ma necessarie, gli investitori stranieri hanno presentato una valanga di denunce: 60, un record mondiale! La particolarità è che molte riguardano servizi pubblici, alcuni dei quali di base, come la fornitura d’acqua, di elettricità e di gas[1].