Il rapporto principale nell’occhio del ciclone

27.11.2020
Articolo global
I dati del Doing Business sarebbero stati manipolati a favore, fra l’altro, della Cina. Già criticato per il suo approccio neoliberale, il rapporto della Banca mondiale perde ancora più credibilità. Bisognerebbe sopprimerlo una volta per tutte.

La Cina, gli Emirati Arabi Uniti, l’Arabia Saudita e l’Azerbaijan avrebbero manipolato i dati delle edizioni 2018 e 2020 di Doing Business, il rapporto pubblicato ogni anno dalla Banca mondiale per valutare l’attrattività dei vari Paesi in termini di facilitazione degli investimenti. Non si sa esattamente cosa sia stato manipolato, ma fatto sta che tre di questi quattro Paesi hanno migliorato nettamente la loro posizione in classifica. La Cina è passata dal 78° al 31° posto, l’Azerbaijan dal 57° al 34°, l’Arabia Saudita dal 92° al 62° e gli Emirati Arabi Uniti dal 21° al 16°. Sono accusati di aver fornito dati falsi, cosa che la Banca mondiale, in un laconico comunicato, afferma voler verificare.

Il rapporto valuta dieci criteri, quali la celerità della creazione d’impresa, l’accesso al credito e il tasso d’imposizione – ma di fatto mette soprattutto l’accento sulla deregolamentazione. Nella speranza di migliorare il loro posto in classifica e di attirare investimenti stranieri, i Paesi in via di sviluppo si lanciano in una corsa verso il basso alla deregolamentazione, riducendo soprattutto la protezione sociale dei lavoratori e la tassazione delle multinazionali. Meno un Paese accorda sicurezza sociale ai suoi lavoratori, meglio è classificato. Questi criteri sono criticati da tempo perché escludono la corruzione e non sono neutrali come pretendono essere. Secondo Paul Romer, ex capo economista della Banca mondiale, il Cile era stato retrocesso per aver eletto una presidente socialista, Michelle Bachelet. Eppure i Paesi in via di sviluppo gli accordano la più grande importanza per attirare gli investimenti stranieri.

Qual è la reazione della Svizzera, classificata al 9° posto dal World Investment Report dell’UNCTAD (2018), ma al poco prestigioso 36° dalla Banca mondiale, dietro l’Azerbaijan, la Turchia, la Cina e tanti altri? “Le irregolarità nei dati dei rapporti Doing Business annunciati recentemente dalla Banca mondiale devono essere prese sul serio”, ci risponde Lorenz Jakob della Segretaria di Stato dell’economia (SECO). “L’integrità dei dati e l’imparzialità dell’analisi sono della più grande importanza per la credibilità del rapporto. La Svizzera chiede alla Banca mondiale di condurre un’inchiesta approfondita sulla situazione e si rallegra della sospensione temporanea della pubblicazione del nuovo rapporto (2021, la cui pubblicazione era prevista per ottobre 2020).”

Secondo il coordinatore delle relazioni esterne della SECO, il Doing Business è importante in termini di politica di sviluppo perché permette ai Paesi in via di sviluppo ed emergenti di identificare i settori che necessitano delle riforme e di esaminare progressi specifici, “ma le sue debolezze metodologiche hanno già sollevato degli interrogativi critici in passato. Insieme ad altri paesi della Banca mondiale, la Svizzera si impegna per il miglioramento continuo dei metodi.”

Per Alliance Sud è chiaro che queste rivelazioni sono destinate ad alimentare ancora di più la diffidenza nei confronti della Cina – e della sua influenza nelle organizzazioni multilaterali. In seguito a questo scandalo, bisogna pensare di eliminare il Doing Business, criticato da sempre. Perché al di là dell’inganno di Stati autoritari, gli indicatori di questa classifica sono in contraddizione con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite, che la comunità internazionale si è impegnata a raggiungere entro il 2030. L’abbandono di questa lista, il cui impatto è molto discutibile, sarebbe un passo nella direzione giusta.

Pubblicato il 26 novembre 2020

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