Lo scorso primo dicembre, la Segretaria di Stato dell’economia (SECO), in collaborazione con UBS Optimus Foundation, Credit Suisse Foundation e la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), ha annunciato l’avvio della SDG Impact Finance Initiative (SIFI), un nuovo « partenariato pubblico-privato per un finanziamento innovativo dello sviluppo ». Secondo i suoi fondatori, l’iniziativa si propone di mobilitare fino a un miliardo di franchi in capitali privati per ottenere « risultati misurabili nei Paesi in via di sviluppo ». La SECO sostiene l’iniziativa con 19.5 milioni di franchi, l’UBS Optimus Foundation con 5 milioni e il contributo degli altri attori non è ancora conosciuto.
Blending is trendy
Per giustificare questo nuovo partenariato, la SECO evidenzia il deficit di finanziamento per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS) stimato a più di 2.5 bilioni di dollari all’anno fino al 2030 e sostiene che « per colmare questo deficit di finanziamento gli investimenti del settore privato nei Paesi in via di sviluppo debbano essere aumentati ». La combinazione (blending) di risorse pubbliche e filantropiche costituirebbe un metodo efficace per mobilitare fondi privati che di norma non sarebbero investiti nei Paesi in questione. Entro il 2030, la SDG Impact Finance Initiative ha lo scopo di ottenere 100 milioni di franchi da attori pubblici e filantropici, che dovrebbero poi essere impiegati per permettere di mobilitare « fino a un miliardo di franchi in capitali privati per finanziare gli OSS nei Paesi in via di sviluppo ».
Tre obiettivi sono sommariamente enunciati: sostenere « soluzioni innovative di finanziamento » per offrire nuovi « prodotti d’investimento a impatto » attraverso sovvenzioni e incentivi finanziari, ricordando che gli investimenti mirano oltre che al loro ritorno finanziario a un impatto sociale e ambientale misurabile (innovation window); promuovere l’investimento a impatto mobilitando capitali privati e sostenendo le imprese presso le quali questi fondi sono investiti (product window); infine, contribuire a « migliorare le condizioni quadro dell’investimento focalizzato sull’impatto in Svizzera e la valutazione dell’impatto » in collaborazione con Swiss Sustainable Finance, l’associazione mantello delle banche che promuove la finanza sostenibile, e la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SFI).
Apriamo il dibattito
In questa fase preliminare che segue il lancio di questa iniziativa (SIFI) sono molte le questioni sollevate. In primo luogo, in termini di governance e di gestione: è stata creata un’associazione presieduta da un avvocato d’affari, nella quale siede un rappresentate di ciascuna delle due fondazioni bancarie che partecipano alla SIFI. Tuttavia né la SECO, né la DSC sono rappresentate. È quindi difficile immaginarsi come i rappresentanti della Confederazione potranno difendere le priorità di sviluppo che il contributo della SECO (e in futuro presumibilmente anche della DSC) deve garantire.
Un’altra questione – centrale – si pone in termini di definizione dell’impatto e della sua misurazione. Infatti, ad oggi, nessuna definizione di impact investing è universalmente applicata e secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) si osserva poco rigore nello stabilire i limiti di ciò che dovrebbe essere considerato un investimento focalizzato sull’impatto. Secondo il direttore del Comitato di aiuto allo sviluppo (CAS) dell’OCSE « tutta la difficoltà sta nel definire e misurare questo impatto. Diversi Paesi e diverse organizzazioni pubbliche e private usano strumenti differenti per misurare svariati elementi. Per contrastare il rischio di impact washing, le autorità pubbliche hanno la responsabilità di definire delle norme e vigilare sulla loro applicazione ». Mancano, inoltre, dati e strumenti di valutazione equiparabili a livello internazionale.
L’utilizzo di fondi della cooperazione allo sviluppo (attualmente 19.5 milioni della SECO) solleva la questione fondamentale del ruolo e degli obiettivi della Confederazione nell’ambito di questa iniziativa. In effetti, l’ambizione di « racimolare » finanziamenti privati per un miliardo di franchi svizzeri, come annunciato, per finanziare gli OSS nei Paesi in via di sviluppo presuppone interventi volti a ridurre i rischi (reali o percepiti) per gli investitori privati (de-risking). Tali interventi possono assumere la forma di garanzie, di coperture di eventuali perdite (first loss), di assistenza tecnica alle imprese di portafoglio o di presa a carico delle spese di preparazione dei progetti. Tutti questi interventi equivalgono a sovvenzioni, il cui scopo implicito è quello di rendere disponibile un portafoglio di progetti bancabili (bankable projects) che devono corrispondere ai profili di rischio/rendimento (risk adjusted return) attesi dagli investitori istituzionali privati. Il ruolo dei fondi della CI è quindi quello di assecondare l’appetito crescente degli investitori o, al contrario, di rispondere alla necessità di misurare, sorvegliare e render conto degli impatti – in termini di sviluppo – intenzionali e non degli investimenti?
Vi è poi la questione dei criteri da applicare agli investimenti previsti. In assenza, ad oggi, di un « quadro di sostenibilità», definito dai donatori pubblici per i finanziamenti privati, il rischio è che i criteri ESG siano applicati a piacimento, con un livello di requisiti molto variabile a seconda degli investitori (SDG washing). Non sono nemmeno forniti elementi di chiarimento sui settori e Paesi destinatari dei finanziamenti ibridi e rispettivamente su quali OSS s’intende contribuire. Non da ultimo, questo tipo di partenariato pubblico-privato solleva una serie di questioni sistemiche riguardo alla finanziarizzazione dello sviluppo. Di fatto, dal momento in cui alcuni fondi della CI sono deviati dal loro obiettivo iniziale di finanziamento sostenibile di beni e servizi pubblici per servire da « esca » e da incentivo per gli investimenti privati, la sfida cruciale che si pone è quella di sapere se questo nuovo impiego dei fondi pubblici è in linea con lo sviluppo inclusivo perseguito dall’Agenda 2030 (leave no one behind). In altre parole, qual è la capacità – effettiva – dei fondi pubblici di orientare gli investimenti privati verso gli Obiettivi di sviluppo sostenibile e inclusivo e di lotta alla povertà? Questa finanziarizzazione promuove quale tipo di sviluppo? Nei Paesi in via di sviluppo, in che misura questi investimenti possono contribuire alla lotta contro le disuguaglianze, sia regionali che tra gruppi sociali? In questo senso il dibattito è appena iniziato.
Pubblicato 31 marzo
Su Il Lavoro
(Traduzione di Zeno Boila)