Giuridicamente parlando, secondo l’ordinanza di necessità del Consiglio federale del 25 marzo, anche le filiali delle multinazionali sono eliggibili ai crediti coronavirus, a condizione che non oltrepassino un fatturato annuo di 400 millioni di franchi come impresa unica. Sono possibili anche crediti ausiliari per varie filiali di uno stesso gruppo.
Questa situazione è molto problematica dal punto di vista della politica di sviluppo: c’è un rischio notevole che filiali di multinazionali basate in Svizzera chiedano dei prestiti. Queste filiali possono, per esempio, agire come società di finanziamento all’interno di un gruppo, svolgendo così il ruole di banche. Se per la crisi del coronavirus riscontrano difficoltà nelle loro attività di credito, potrebbero richiedere prestiti di sostegno. Allo stesso tempo, potrebbero continuare a dedurre i benefici provenienti dai Paesi poveri in virtù delle loro attività commerciali specifiche e della pianificazione fiscale. Questi Paesi subiscono attualmente fughe di capitali senza precedente per via della crisi, il che rende molto più difficile dare una risposta sanitaria, sociale ed economica appropriata alla pandemia. Anche in circonstanze «normali», l’evasione fiscale e il peso del debito rendono difficile per queste comunità la gestione di servizi di salute pubblica che garantiscano cure stabili a tutta la popolazione e forniscano un aiuto sociale per aiutare le persone che non possono soddisfare i bisogni fondamentali.
Un paragone delle cifre illustra in modo impressionante la situazione catastrofica del settore della salute in numerosi Paesi poveri del mondo: le spese sanitarie annue in Svizzera ammontano a 80 miliardi di franchi, mentre nei 69 Paesi più poveri del mondo, il totale (contando tutti i Paesi messi insieme) è di 20 miliardi di franchi.
Secondo i dati più recenti del gruppo di ricerca Economists without Borders, diretto dal professor Gabriel Zucman di Berkeley, le multinazionali hanno trasferito 98 miliardi di dollari di utili dall’estero verso la Svizzera nel 2017. Ma queste cifre non comprendono i dati forniti dalle loro autorità fiscali. Zucman e i suoi colleghi confermano peraltro che i Paesi in via di sviluppo fanno parte dei grandi perdenti dal punto di vista del dumping fiscale mondiale, mentre la Svizzera ne trae il 38% degli ingressi fiscali sulle società. Soprattutto in base alle industrie delle materie prime e dei prodotti alimentari, rappresentate molto bene fra le imprese svizzere, dobbiamo supporre che una parte importante di questi benefici trasferiti in Svizzera provenga dai Paesi del Sud. Sono comunque somme esorbitanti rispetto alle spese sanitarie di questi Paesi.
Un modo di ridurre il rischio di evasione fiscale per le imprese svizzere che percepiscono crediti coronavirus sarebbe di pubblicare i dati dei rapporti paese per paese delle aziende interessate, sulla base dell’accordo SRPP. Ciò permetterebbe di persuadere queste imprese a pubblicare sul loro sito internet dati fiscali che devono comunque già comunicare alle autorità fiscali nell’ambito dei rapporti per paese ("country-by-country reporting") – questo principio si applica già alle prestazioni di servizi finanziari nell’UE. In questo modo, le cifre dei gruppi quali il fatturato, i redditi, gli utili, il numero di impiegati, le imposte pagate e le tasse generate saranno presentati pubblicamente, e noi contribuenti potremmo verificare che le nostre tasse non aiutino le multinazionali a passare la crisi, privando gli abitanti dei Paesi poveri di cure mediche adeguate, dell’educazione e del trasporto.