La cooperazione con il settore privato è in constante aumento nell’ambito della politica di sviluppo internazionale. La Banca Mondiale non è la sola ad affermare di aver bisogno di migliaia di miliardi di dollari per raggiungere gli obiettivi dell’ONU per uno sviluppo sostenibile (Agenda 2030) nei paesi più poveri. Gli stessi paesi donatori, come la Svizzera, reputano che l’effetto moltiplicatore derivante dai fondi privati sia assolutamente necessario. Si parla molto di «scenario da triplice vittoria» nel quale beneficerebbero allo stesso modo gli investitori, i governi dei paesi in via di sviluppo e la loro popolazione. In particolare, nel settore agricolo, i partenariati pubblico-privato (PPP) – a volte anche definiti partenariati pubblico-privato per lo sviluppo (PPPS) – sono una realtà già da molto tempo. I risultati ottenuti finora meritano pertanto di essere esaminati più nel dettaglio.
Questi partenariati assumono diverse forme: in alcuni casi un’autorità di sviluppo cofinanzia direttamente un investimento agricolo del settore privato, in altri i capitali sono versati in fondi con risorse finanziarie considerevoli. Questi ultimi trasferiscono tali importi a imprese del settore privato. Ciò che segue accomuna queste aziende agricole: promettono la luna e di essere sostenibili, inoltre garantiscono che i loro investimenti nelle regioni dell’emisfero sud vanno di pari passo la sicurezza alimentare nazionale e mondiale, la promozione del ruolo delle donne e la creazione di posti di lavoro.
Il caso della GADCO
Nel 2011, due promotori finanziari, un nigeriano e un britannico, hanno fondato la Global Agro-Development Company (GADCO). Nessuno dei due possedeva competenze in agricoltura, ma, dopo la crisi finanziaria globale del 2008, erano alla ricerca di un nuovo settore di attività. Sono riusciti a convincere diversi investitori orientati verso lo sviluppo a realizzare la più grande risicoltura dell’Africa occidentale. Tra gli investitori figuravano la Fondazione Syngenta per un’agricoltura sostenibile, l’Alleanza per una rivoluzione verde in Africa (AGRA), l’Agricultural Development Company (AgDevCo), l’Acumen Fund, l’Africa Agriculture and Trade Investment Fund (Aatif)[1]. La GADCO ha beneficiato di una copertura mediatica molto positiva sia a livello internazionale sia in Ghana – in particolare a causa del suo presunto impegno per la sostenibilità, lo sviluppo comunitario (community development) e l’empowerment economico delle donne (women’s economic empowerment). Malgrado questo successo l’azienda è fallita tre anni dopo l’avvio dell’attività economica. È stata rilevata nel 2015 dalla società svizzera RMG Concept, con sede a Delémont/JU, che in precedenza aveva fornito alla GADCO pesticidi e fertilizzanti. RMG Concept, presentandosi sul suo sito internet come pioniera dell’agricoltura sostenibile e partner affidabile per i piccoli agricoltori, continua a sfruttare, sempre a nome della GADCO, una grande piantagione di riso nella regione del Volta in Ghana e un relativo progetto di agricoltura a contratto.
Per un gran numero di persone le tasche sono vuote
In Ghana, quasi l’80% del territorio è amministrato da capi villaggio. La maggior parte degli ampi poteri di questi notabili sono stati creati dai colonizzatori inglesi e oggi sono iscritti nella Costituzione. Nel 2014 e nel 2016, otto mesi di ricerca in loco, nel quadro di una tesi di dottorato sulle questioni di genere correlate agli investimenti del settore privato, hanno mostrato[2] che per la GADCO, i capi villaggio locali (chiefs) sono stati fin dall’inizio i principali interlocutori, anche se nella regione del Volta le terre appartengono pure alle famiglie. I capi villaggio hanno solo una funzione di vigilanza e di arbitraggio nelle controversie. La GADCO, in collaborazione con i «chiefs», la maggior parte dei quali ha completato gli studi superiori, ha elaborato un accordo di partenariato tra la comunità e il settore privato (community-private partnership). L’accordo prevedeva che la comunità avrebbe messo gratuitamente a disposizione degli investitori 2'000 ettari di terreno, ricevendo in cambio una quota del 2.5% del fatturato dell’azienda da utilizzare esclusivamente per progetti di sviluppo nei villaggi locali.
Tuttavia, a oggi quasi nessun introito ha raggiunto la base. Una giovane donna constata: «Non ho idea a che cosa servano i soldi. Al momento nei villaggi non abbiamo nemmeno l’acqua potabile». A Bakpa Adzani, il villaggio maggiormente colpito dalla perdita di terreni agricoli a seguito dell’implementazione della nuova monocoltura e dove vivono soprattutto immigrati interni, la popolazione non è stata ne informata, ne consultata per la perdita delle proprie terre. Una vedova anziana conferma: «Non siamo stati informati. Eravamo nei campi quando i rappresentati dell’azienda sono venuti ad avvisarci che avrebbero incominciato a coltivare le nostre terre. Li abbiamo supplicati di aspettare almeno fino all’arrivo del raccolto».
È evidente che i capi villaggio hanno arbitrariamente stabilito delle compensazioni. Non sorprende quindi che i membri dei loro clan in particolare siano stati indennizzati e siano stati i primi beneficiari del progetto locale di agricoltura a contratto « Fievie Connect ». Era stato concordato che la metà di tutti gli agricoltori a contratto sarebbero state delle donne. Nel 2014 e nel 2016, la maggior parte di questi cosiddetti agricoltori subappaltati (outgrowers) erano donne e uomini anziani benestanti, alcuni dei quali non andavano direttamente nei campi, ma assumevano donne più povere a salari miseri. Gli uomini iscritti al regime dei coltivatori subappaltati (outgrower scheme) mandavano spesso al lavoro le loro mogli, con il conseguente aumento considerevole del loro carico di lavoro complessivo. In aggiunta, vi è un manco di trasparenza nei contratti. La GADCO, infatti, applica prezzi sempre più elevati per i fertilizzanti e i pesticidi messi a disposizione. Un’evoluzione che provoca la riduzione dei benefici realizzati dalle agricoltrici e dagli agricoltori. Il bilancio della GADCO era mediocre anche in merito alla creazione di posti di lavoro. Nel 2014, solo una minoranza di circa 150 impiegati aveva un contratto di lavoro; i salari erano così bassi che le persone intervistate stavano valutando la possibilità di tornare a una fragile agricoltura di sussistenza. Inoltre, le donne erano impiegate quasi esclusivamente alla giornata per spargere fertilizzanti, guadagnando l’equivalente di 3 dollari al giorno. In questo contesto, parlare di un loro empowerment è ridicolo.
I più poveri sono i perdenti
I più poveri, in particolare i migranti e le donne nubili, hanno pagato maggiormente le conseguenze negative della trasformazione dei terreni, gestiti in modo comunitario, in monocolture di riso. La perdita di grandi superfici utilizzate in comune, categorizzate spesso dai rappresentati governativi e dalle imprese come terre «inutilizzate», colpisce maggiormente i più poveri. Un gran numero di bacini per la pesca e piccoli corsi d’acqua, che non solo contribuivano notevolmente alla sicurezza alimentare della popolazione locale, ma erano anche le uniche fonti d’acqua per numerosi villaggi, sono stati distrutti dalla GADCO. I molteplici alberi sparsi in tutta la regione erano usati come legna da ardere per coprire le necessità locali e fungevano da sostentamento per molte donne povere che trasformavano la legna in carbone vendibile. Una di loro spiega: «in passato, gli alberi venivano tagliati per produrre carbone, ma la GADCO li ha abbattuti tutti. D’allora abbiamo difficoltà persino a comprare qualche cosa da mangiare.»
Il villaggio di Kpevikpo era completamente circondato dalla risaia. La strada di accesso al villaggio è stata ampliata dalla GADCO per consentire il passaggio dei suoi trattori, ed è stato costruito un canale d’irrigazione direttamente all’ingresso del villaggio. Durante la stagione delle piogge e ogni volta che l’impresa irrigava i campi, la popolazione rimaneva effettivamente bloccata nel villaggio. In bambini non potevano andare a scuola; durante la stagione delle piogge le donne che volevano recarsi al mercato dovevano spogliarsi in prossimità del canale e guadarlo con l’acqua all’altezza del petto. Una donna di Kpevikpo: «Niente di positivo è riconducibile a questa impresa. Non ha fatto altro che distruggere le nostre terre. Abbiamo chiesto a questa gente di costruire un piccolo ponte sul canale, ma si sono rifiutati.»
Se la GADCO causava danni se ne lavava le mani. Le trattative erano solitamente condotte attraverso l’intermediazione dei capi villaggio, i quali reprimevano, talvolta con la violenza, la resistenza e le proteste della popolazione locale. La GADCO era ben consapevole di tutti questi problemi. L’ex manager Adidakpo Abimbola ha persino ammesso che i capi villaggio, in caso di problemi con la popolazione locale, si facevano regolarmente prestare una camionetta. Fornivano poi i bastoni a dei giovani incaricati di mettere in fuga gli insorti.
Il nuovo direttore Satyendra Kumar Singh, quando gli è stato demandato se la GADCO fosse a conoscenza del fatto che il denaro speso in nome dello sviluppo sostenibile veniva impiegato a scopo di lucro ha risposto semplicemente: «Il modo in cui la popolazione locale gestisce questi soldi non ci riguarda. Abbiamo le nostre strutture commerciali e lei ha le sue. Non ci immischiamo in questo.»
Il caso descritto e scientificamente documentato è eclatante – non solo perché la GADCO vuole essere una fautrice della sostenibilità, ma anche perché è stata supportata finanziariamente da numerosi attori dello sviluppo. Secondo Alliance Sud, se la Svizzera intende contare maggiormente sul settore privato nella cooperazione allo sviluppo è fondamentale che questo impegno si fondi su criteri chiari e su un’analisi dettagliata del contesto. Infine questa forma di cooperazione dovrebbe essere soggetta a un controllo rigoroso e indipendente.
Traduzione: Zeno Boila
[1] Numerosi donatori della GADCO sono a loro volta sostenuti da attori governativi dello sviluppo: AgDevCo è principalmente finanziato dal Dipartimento inglese per lo sviluppo internazionale (DfID); l’AGRA riceve fondi dal DfID, dal Ministero federale di Germania per la cooperazione economica e lo sviluppo (BMZ), da USAID e da vari altri attori dello sviluppo; Aatif è un’iniziativa di BMZ e del gruppo bancario della KfW.
[2] Tesi di dottorato in antropologia sociale intitolata: « Change, Gender and Power Relations. Case study of a "best practice" large-scale land acquisition in Ghana » Università di Berna, 2018.