Prevenzione dell'estremismo violento

Makoko è un insediamento illegale nella laguna di Lagos, in Nigeria, dove lo Stato non gestisce alcuna scuola pubblica. La foto mostra una delle rare scuole private per bambini francofoni immigrati dal Benin.
27.6.2017
Articolo global
Esiste un legame diretto tra il terrorismo e il sottosviluppo. Gli organi dell’ONU e anche la Svizzera ne sono convinti. Bilancio delle conoscenze scientifiche in materia.

Per il ministro svizzero degli affari esteri, la cooperazione allo sviluppo e la politica di sicurezza vanno di pari passo. Secondo lui, è pressoché impossibile dissociare gli interessi in materia di sicurezza interna da situazioni di minaccia politica esterna. Didier Burkhalter vede quindi la prevenzione dell’estremismo violento (Prevention of Violent Extremism, PVE) come un compito importante della cooperazione allo sviluppo. Se quest’ultima segue gli approcci della PVE, sottrae un terreno fertile dell’estremismo ai gruppi terroristici. Questo genere di cooperazione allo sviluppo rafforzerebbe la «capacità degli individui e delle comunità a resistergli» e li aiuterebbe a «instaurare delle condizioni entro le quali nessuno sarebbe tentato di cedere alla violenza per motivi politici o ideologici o di lasciarsi reclutare da estremisti violenti».[2] E’ quanto si può leggere nel Piano d’azione di politica estera della Svizzera per la PVE. La paura degli attentati aumenta, anche all’interno delle nostre frontiere. I progetti che mirano a prevenire l’estremismo violento, beneficiano perciò di un ampio sostegno da parte della popolazione e in seno all’ONU.[3]

La cooperazione allo sviluppo ha come obiettivo la riduzione della povertà nel mondo. La PVE le impone un riorientamento? Oppure la cooperazione allo sviluppo contribuisce già, in ogni caso, a eliminare ciò che costituisce il terreno fertile della violenza e delle ideologie estremiste?

Fino a che punto la lotta classica contro la povertà riduca l’estremismo violento, è oggetto di controversie tra i ricercatori. Il problema di questa ricerca sta nel fatto che, finora, si è focalizzata sul fenomeno (relativamente) marginale del terrorismo internazionale. Non rileva i movimenti estremisti locali che godono di una larga base e i motivi di adesione a tali movimenti. La ricerca sul terrorismo respinge una relazione diretta tra la povertà, l’ineguaglianza e gli atti di violenza. Per contro, la ricerca sulla violenza politica mostra l’esistenza di una relazione concreta con la povertà e la marginalizzazione economica delle minoranze. Il legame è particolarmente forte in un contesto di strutture statali fragili.

La ricerca ritiene che uno stato fragile e l’assenza di libertà civili siano dei fattori predominanti nell’emergere della violenza politica e estremista. Una cattiva governance, la “non-soddisfazione” dei bisogni fondamentali da parte dello stato (educazione, salute, prosperità) e delle esperienze di discriminazione e di esclusione delle minoranze, possono essere riunite sotto la stessa bandiera della fragilità. A ciò occorre aggiungere la mancanza di partecipazione politica e la crescente repressione delle persone con opinioni diverse. Se la cooperazione allo sviluppo interviene su questi fattori, rende più difficile il reclutamento di seguaci per i gruppi estremisti. Così facendo, lotta anche contro dei potenziali sentimenti d’impotenza. Da sola però la frustrazione non basta a fare emergere dei gruppi violenti: in questo contesto incide anche la capacità degli attori politici o della società civile di “cogliere l’attimo” e canalizzare l’insoddisfazione.  

Molti interventi della cooperazione allo sviluppo puntano, a giusto titolo, sul buongoverno, lo Stato di diritto e la partecipazione politica. Questi approcci democratici comportano anche dei rischi. Le transizioni politiche, per l’instabilità che le caratterizzano, possono offrire nuove opportunità a gruppi estremisti e dar luogo a una violenza politicamente motivata.

Per prevenire la violenza è fondamentale che le persone siano coinvolte nelle attività comunitarie. Se non esistono delle strutture locali, le organizzazioni a carattere violento possono fare breccia, in particolare tra i giovani in cerca di senso e d’identità. L’accesso alla formazione professionale e agli impieghi che favoriscono l’inclusione sociale dei giovani, sono delle priorità nel Piano d’azione della Svizzera per la PVE. Una breve panoramica delle ricerche sui fattori che generano l’estremismo violento conferma che certi raggruppamenti estremisti reclutano delle persone sotto-occupate e senza impiego. Il piano d’azione raccomanda quindi alla cooperazione allo sviluppo di dare la priorità alla creazione di posti di lavoro, in particolare nelle regioni segnate da forti correnti d’opposizione e mirando agli uomini in età di combattere. Mentre questi interventi possono rivelarsi positivi, un altro studio mette in guardia da una sopravvalutazione della relazione tra violenza politica e disoccupazione. La propensione alla violenza sarebbe il risultato di molteplici esperienze d’ingiustizia; la sola disoccupazione non basterebbe.[4] La focalizzazione sulla formazione professionale – in stretto collegamento con la creazione d’impieghi alfine di non produrre altri disoccupati frustrati – è comunque una strategia valida per ridurre la base di reclutamento di gruppi estremisti. Per prevenire l’estremismo è opportuno adottare dei programmi di formazione, perché anche la promozione del senso critico, della tolleranza e di strategie di risoluzione non violenta di conflitti, riducono l’attrattiva di alcune ideologie estremiste. D’altra parte, la formazione può favorire una maggiore sensibilità maggiore verso l’ingiustizia sociale e economica e incoraggiare una volontà di cambiamento di rotta politico. Questo a maggior ragione là dove non ci sono delle possibilità di protesta moderata e di esercitare un’influenza politica. Quindi, i soli interventi nell’ambito della formazione non sono sufficienti.

L’approccio della PVE ha come problema il fatto che oggi l’estremismo violento sia collegato all’islam politico. Esiste il rischio che, in quest’ottica, la cooperazione allo sviluppo riduca i suoi interventi collegati a delle popolazioni sistematicamente sospettate a causa della loro religione. Inoltre, un’attenzione troppo evidente nei confronti dell’estremismo può provocare delle resistenze della popolazione e della società civile in questione. E questo può complicare la collaborazione con le organizzazioni della società civile critiche nei confronti del governo. Organizzazioni che già, per il loro criticismo nei confronti del governo, sono ritenute estremiste dalle élites dominanti.

E’ evidente che la cooperazione allo sviluppo contribuisce già oggi a prevenire la violenza. Il suo compito principale - l’impegno a favore di una ripartizione più equa delle risorse, di uno Stato di diritto più efficace, d’istituzioni oneste, di una partecipazione politica e a favore di una società civile forte e aperta - riduce allo stesso tempo l’attrattiva di gruppi violenti che promettono un avvenire più radioso. La cooperazione allo sviluppo ha quindi in questo ambito una sua utilità, anche se non si attua all’insegna della PVA. Non garantisce la prevenzione di atti di violenza. La violenza è un fenomeno tanto complesso quanto lo sviluppo è un processo multiforme. La cooperazione allo sviluppo può contribuire in modo considerevole allo sviluppo e al contrasto della violenza, ma non può controllare completamente l’uno e l’altra.

Pubblicato su La Regione il 18 luglio 2017

(Traduzione: Sonia Stephan)

 

[1] La storica Nathalie Bardill si è occupata della PVE per Alliance Sud nell’ambito di un progetto finanziato da fondi terzi.

[2] DFAE, Piano d’azione di politica estera della Svizzera per la PVE. 2016.

https://www.newsd.admin.ch/newsd/message/attachments/43589.pdf

[3] Piano d’azione per la PVE, dicembre 2015 ; Geneva Conference on PVE, Aprile 2016

[4] Mercy Corps, Youth and Consequences. 2015.