La fine dell'impegno globale degli Stati Uniti deve interessare anche la Svizzera, scrive Andreas Missbach. Le conseguenze per il multilateralismo e la cooperazione allo sviluppo, e soprattutto per i Paesi più poveri, sono devastanti. In questo contesto il Consiglio federale non può più puntare sul business as usual.
“A parte la Rivoluzione culturale cinese, nella storia troviamo pochi paralleli all’attacco da parte del cosiddetto Department of Government Efficiency nei confronti dello Stato”, scrive il Financial Times. Dinanzi alla presa di potere negli Stati Uniti non mancano soltanto paragoni opportuni, bensì talvolta anche le parole. Potremmo provare con la cultura pop e prendere in prestito quelle di Miley Cirus: “I came in like a wrecking ball”.
Sarebbe invano tentare di tenere traccia di tutto ciò che è stato ridotto in frantumi da questa metaforica palla da demolizione, perciò ci soffermiamo su un argomento di cui si è riferito poco in Svizzera, malgrado possa avere grandi ripercussioni proprio qui: la sospensione del “Foreign Corrupt Practices Act”, la legislazione USA volta a lottare contro la corruzione. Solo grazie alla sua applicazione sappiamo cosa significano i contanti a Baar, ovvero che alla sede principale di Glencore fino al 2016 c’era uno sportello dove il personale poteva ritirare le tangenti. E solo grazie alla sua applicazione Glencore ha dovuto pagare una multa di oltre 1,1 miliardi di dollari in seguito all’ammissione di colpevolezza. Se il “new sheriff in town” non fa più uso di questa minaccia, la tentazione di tornare a pratiche collaudate nel commercio di materie prime è grande. Le conseguenze sarebbero disastrose per i Paesi più poveri e le loro popolazioni.
Se torniamo alla cultura pop, potremmo dire che in Svizzera regna “Il silenzio degli innocenti” (regia di Jonathan Demme). O meglio, dei sette innocenti. Ci sono voluti quasi due mesi prima di avere notizie da Berna: “il Consiglio federale prende sul serio la situazione geopolitica”, per poi tuttavia subito aggiungere “la politica estera elvetica non è cambiata”. Secondo i media, il Consiglio federale aveva un documento interlocutorio in cui si affrontava anche il ritiro degli Stati Uniti dall’OMS, dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite e dall’Accordo sul clima di Parigi; inoltre sono stati discussi gli effetti del congelamento dei pagamenti dell’USAID. Eppure, nemmeno una parola di tutto ciò è finita nella comunicazione ufficiale. Anzi, il Consiglio federale continua sulla linea del business as usual e tenta la variante svizzera dell’arte di fare affari: “la strategia della Svizzera deve essere quella di avere le porte aperte per l’UE, gli USA e la Cina” (segretaria di stato SECO Helene Budliger Artieda).
Lo smantellamento della più grande agenzia di sviluppo del mondo costituisce un vero uragano nel Sud globale e una tempesta anche in Svizzera. Dov’è l’indignazione della politica? Vi sono progetti vitali di organizzazioni di sviluppo svizzere pari a 100 milioni di franchi che non potranno più essere portati avanti. Niente sarà come prima: “Se questo è l’inizio della fine dell’aiuto allo sviluppo, dovremmo concentrarci sul cambiamento strutturale”, scrive la canadese-egiziana Heba Aly, già direttrice del portale online The New Humanitarian. “Una politica commerciale, del debito e fiscale più equa può combattere le cause della disuguaglianza”. Questa è la strada da intraprendere ora. E per la Svizzera ciò significa tutt’altro che business as usual.
Articolo pubblicato dal Corriere del Ticino il 31 marzo 2025
Condividi l'articolo
global
La rivista periodica di Alliance Sud viene pubblicata quattro volte all’anno (in tedesco e francese) ed è possibile abbonarsi gratuitamente. In «global» trovate analisi e commenti riguardanti la politica estera e di sviluppo del nostro Paese.
Comunicato stampa
Cooperazione allo sviluppo: non si può fare lo stesso con meno mezzi
29.01.2025,
Cooperazione internazionale, Finanziamento dello sviluppo
La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) hanno annunciato come intendono attuare i tagli alla cooperazione internazionale decisi dal Parlamento. L'impatto drammatico sulle popolazioni dei Paesi e dei programmi colpiti viene tuttavia minimizzato.
Per evitare equivoci: la responsabilità dei tagli di 110 milioni di franchi nel budget 2025 e di 321 milioni di franchi nel piano finanziario per i prossimi anni è esclusivamente della maggioranza borghese che in Parlamento ha preso queste decisioni. Tuttavia, l'affermazione che «attraverso un’attenta definizione delle priorità dovrebbe comunque essere possibile ottenere gli effetti auspicati» invia un segnale sbagliato. È ovvio che la cooperazione allo sviluppo che può essere portata avanti nonostante i tagli è ancora efficace. Ma è altrettanto chiaro che non si può fare lo stesso di prima con 110 milioni in meno. Ed è chiaro che saranno le popolazioni del Sud globale a risentirne in modo tangibile quando progetti di successo verranno cancellati.
Le necessità in Bangladesh e Zambia in particolare – i programmi della DSC saranno interrotti in entrambi i Paesi – non sono certo diminuiti. Il Bangladesh si trova in una situazione politicamente instabile, che sta avendo un impatto sull'industria tessile del Paese. Lo Zambia soffre di una crisi del debito; secondo il Fondo Monetario Internazionale, sussiste ancora «un alto rischio di “distress” del debito complessivo ed esterno». Questo anche perché il Paese ha sofferto e continua a soffrire di un'aggressiva evasione fiscale da parte di società straniere. La multinazionale Glencore, ad esempio, non ha mai pagato le tasse sui profitti in Zambia, anche quando i prezzi del rame erano alti. Entrambi i Paesi sono inoltre particolarmente colpiti dalla crisi climatica, che sta minacciando i precedenti successi di sviluppo. Il Bangladesh a causa delle tempeste e dell'innalzamento del livello del mare e lo Zambia perché la produzione di energia elettrica è diminuita drasticamente, dato che i fiumi trasportano molta meno acqua.
Anche in ambito multilaterale i tagli non possono essere assorbiti senza conseguenze. Ad esempio, sono stati cancellati i pagamenti a UNAIDS. Eppure l'AIDS è ancora una delle maggiori cause di morte in Africa e quasi un quinto dei pazienti africani affetti da HIV non riceve ancora farmaci salvavita. Sono previsti anche «ulteriori tagli trasversali» e vengono colpiti i contributi alle spese generali delle ONG, sebbene il Consigliere federale Ignazio Cassis avesse affermato in Parlamento la scorsa estate che queste organizzazioni partner contribuiscono all'attuazione della cooperazione internazionale a basso costo. Concretamente, ciò significa che numerose famiglie contadine, ad esempio, non avranno un approvvigionamento idrico sicuro nella lotta contro la crisi climatica, molti giovani non avranno un posto di apprendistato e più bambini andranno a letto affamati. I responsabili dei tagli non devono crogiolarsi, ma guardare in faccia questa cruda realtà.
Condividi l'articolo
Intervista
«Se la Svizzera fa un passo indietro, anche la sua influenza diminuirà»
27.09.2024,
Cooperazione internazionale
Il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) è un partner di cooperazione efficace e benaccetto in tutto il mondo, afferma il direttore Achim Steiner, che tuttavia si dice preoccupato per il calo del sostegno finanziario da parte di Paesi come la Svizzera. Intervista di Laura Ebneter, Marco Fähndrich e Andreas Missbach
«global»: Signor Steiner, lei è cresciuto in Brasile con genitori tedeschi. Che influenza ha avuto questa bi-nazionalità sul suo percorso?
L’esperienza di crescere in Paesi e culture diverse è estremamente liberatoria. Grazie a essa ho trovato il modo di potermi sentire a casa e lavorare ovunque nel mondo. Inoltre, ho imparato a vedere il mondo da diverse prospettive. Gran parte dei problemi odierni sono legati al fatto che non ci capiamo appieno tra di noi. Eppure quando visito uno Stato insulare del Pacifico o un Paese dei Caraibi, mi è subito chiaro quanto la vita lì dipenda dalla politica climatica del resto del mondo.
Prima di lavorare per l’UNDP, lei è stato direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). In che modo si intersecano queste istituzioni?
L’UNEP fa da ponte tra scienza e politica e definisce le norme internazionali. Con il Protocollo di Montréal, l’UNEP ha realizzato uno dei più importanti successi della politica ambientale internazionale, al fine di riparare lo strato di ozono. L’UNDP si concentra su altri aspetti e assiste oltre 170 Paesi sostenendo il loro percorso di sviluppo, sia dal punto di vista sociale, sia economico e di politica ambientale. Mi occupo di questioni ambientali da molto tempo e con la nomina a capo dell’UNDP si è chiuso un cerchio: unire ambiente e sviluppo, perché la più grande sfida dei nostri tempi è risolvere in che modo otto miliardi di persone possano vivere insieme all’insegna della sostenibilità e della pace.
La più grande sfida dei nostri tempi è risolvere in che modo otto miliardi di persone possano vivere insieme all’insegna della sostenibilità e della pace.
Nel suo “Rapporto sullo sviluppo umano 2024”, l’UNDP afferma che l’ineguaglianza dei progressi nello sviluppo sta lasciando indietro i più poveri del mondo, andando in direzione opposta rispetto all’obiettivo dell’Agenda 2030 di «non lasciare indietro nessuno». Dove vede le maggiori opportunità per evitare che il divario si allarghi ulteriormente?
Sullo sfondo della pandemia, delle numerose crisi e dei conflitti, il bilancio a prima vista è sconfortante. Con l’Agenda 2030 ci siamo posti obiettivi ambiziosi, ma spesso i piani non vanno come previsto. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che negli ultimi decenni sono stati compiuti anche enormi progressi, anche se purtroppo non sempre giungono all’opinione pubblica. Nel 1995 avevano accesso a internet dieci milioni di persone, oggi sono quasi sei miliardi. Anche l’accesso alla rete elettrica è migliorato notevolmente. La cooperazione internazionale ha giocato un ruolo significativo in questo senso...
... eppure si tratta di una magra consolazione di fronte alle molteplici crisi mondiali.
Anche questo è vero. Ci troviamo di fronte alla situazione in cui i Paesi più poveri non sono più in grado di ripagare i loro debiti, come è il caso dello Sri Lanka. Sono quasi 50 i Paesi che nel loro bilancio statale registrano una spesa maggiore al 10% solo per il servizio del debito. Per questo motivo assistiamo a tagli all’istruzione e alla sanità pur di pagare gli interessi. Ciò naturalmente non può favorire lo sviluppo. E quando uno Stato non riesce più a rifornire la popolazione di alimentari e carburante, la gente scende in strada.
Non dobbiamo dimenticare che negli ultimi decenni sono stati compiuti enormi progressi, anche se purtroppo non sempre giungono all’opinione pubblica.
Proprio ora sarebbero necessari maggiori investimenti, eppure i Paesi donatori stanno riducendo i fondi...
I Paesi ricchi dell’OCSE spendono solo lo 0,37% del reddito nazionale lordo per la cooperazione internazionale. Alla luce degli enormi compiti e delle opportunità dei nostri tempi, mi preoccupa molto il fatto che non si trovino le risorse necessarie per poter svolgere il nostro lavoro, soprattutto presso i Paesi donatori tradizionali. E ciò nonostante il fatto che abbiamo dimostrato quanto di più possiamo ottenere insieme.
Qual è il suo appello alla politica?
Chi siede in Parlamento deve avviare una discussione onesta sulla cooperazione internazionale e riconoscere che gli interessi nazionali vanno sempre più considerati nell’ambito di un contesto globale. I governi agiscono con opportunismo politico e rinunciare a soluzioni comuni è tutt’altro che lungimirante: in ultima analisi, è irresponsabile. Prendiamo il cambiamento climatico: non si tratta più di stabilire se esista o meno, ma di capire come possiamo intervenire in ogni Paese. È un vero fallimento che non si riescano a rendere più chiare queste correlazioni, che in molti Stati si continui a fare affidamento sui combustibili fossili invece di promuovere le energie rinnovabili. Eppure, sappiamo che ormai ogni anno migliaia di persone in Svizzera, Germania e altre nazioni europee muoiono prematuramente a causa delle temperature elevate.
Sommozzatori collocano coralli lavorati sul fondale marino di Pointe Jérôme, Mauritius. Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo vuole ripristinare le barriere coralline gravemente danneggiate a Mauritius e alle Seychelles.
Nel contesto internazionale ci si è accorti che anche la Svizzera sta riducendo il suo impegno?
Fino a cinque anni fa, la Svizzera era un modello sul piano della cooperazione internazionale: ha saputo riconoscere l’importanza del multilateralismo, a maggior ragione per un Paese così piccolo. Purtroppo la Svizzera ha continuato a ridurre gradualmente i suoi contributi all’UNDP, pur rimanendo un importante Paese donatore. Senza le Nazioni Unite, il margine di manovra dei Paesi più piccoli nelle aree di crisi tende a zero. La Svizzera ha svolto un ruolo strategico da quando è entrata a far parte dell’ONU. Se fa un passo indietro, anche la sua reputazione e la sua influenza diminuiranno.
Fino a cinque anni fa, la Svizzera era un modello sul piano della cooperazione internazionale: purtroppo ha continuato a ridurre gradualmente i suoi contributi all’UNDP.
Che ruolo gioca la crescente polarizzazione nel mondo?
La polarizzazione ostacola la cooperazione internazionale e conduce a un vicolo cieco. La mia più grande preoccupazione è che il mondo si stia sempre più isolando invece di cooperare. L’anno scorso sono stati spesi 2443 miliardi di dollari per la difesa e le forze armate. Non è solo un record storico, ma anche segno del confronto in aumento. A farne da esempio concreto, la guerra in Ucraina e i conflitti in Myanmar o in Sudan. Ma i problemi globali si possono risolvere solo se i vari Paesi trovano un approccio comune nonostante i loro diversi interessi, che si tratti di prevenire la prossima pandemia, di cybersicurezza o del cambiamento climatico.
Che impatto ha la guerra in Ucraina sul lavoro dell’UNDP?
A differenza degli organi politici dell’ONU, come ad esempio il Consiglio di sicurezza, abbiamo il vantaggio di essere benaccetti come partner in tutti i Paesi del mondo. È sorprendente la fiducia con cui veniamo accolti nei Paesi partner, soprattutto perché non siamo visti come un’organizzazione che viene e poi se ne va subito. Sosteniamo certi Paesi da decenni e queste collaborazioni dimostrano che la cooperazione internazionale non deve necessariamente essere politicizzata, bensì è offerta per sostenere il percorso di sviluppo di un Paese. Lo sto osservando proprio ora con il Bangladesh, dove abbiamo cooperato con diversi governi nel corso degli anni. Anche nell’attuale situazione di crisi con il governo di transizione di Muhammad Yunus, la cooperazione con l’UNDP non è stata messa in discussione. La promessa dell’ONU secondo la quale i Paesi possono contare sull’UNDP per attuare le idee di cooperazione internazionale in maniera molto concreta rimane un elemento positivo.
Eppure anche l’UNDP è alle prese con preoccupazioni di ordine finanziario.
La ricerca di fonti di finanziamento fallirà sempre se di base non abbiamo fiducia nelle istituzioni internazionali. Purtroppo, l’ONU si trova spesso a dover gestire le critiche da parte di più nazioni, ad esempio per quanto riguarda Gaza. Ci preoccupa il fatto che molti Paesi si stiano bilateralizzando sulla base di argomentazioni dubbie, abbandonando le vie multilaterali. Il Regno Unito, ad esempio, ha ridotto drasticamente i fondi per essere in grado di finanziare i costi dell’asilo all’interno dei suoi confini. Questo ci ha creato delle difficoltà perché un’organizzazione come l’UNDP ha bisogno di un solido finanziamento di base per poter essere trasparente, efficace e in grado di rispondere delle proprie azioni. Nel 1990, il 50% delle risorse era costituito da fondi non impegnati e liberamente disponibili; oggi invece la quota corrisponde solo all’11%. Sono proporzioni che un’organizzazione non può mantenere a lungo termine. Così perdiamo una delle piattaforme più importanti in assoluto, una piattaforma che riesce a consentire la cooperazione anche in un mondo teso.
UNDP: in azione per lo sviluppo sostenibile
L’UNDP è stato fondato nel 1965 ed opera in oltre 170 Paesi e territori. Il mandato principale è quello di contribuire al raggiungimento dei 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS o Sustainable Development Goals, SDG). L’UNDP sostiene i Paesi partner in tre aree chiave del cambiamento: trasformazione strutturale, non lasciare indietro nessuno e costruire resilienza. Con uscite per un ammontare di 5 miliardi di dollari, l’UNDP è il maggiore programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo. Lo scorso anno la Svizzera ha messo a disposizione dell’UNDP 89 milioni di dollari.
Perché la cooperazione internazionale ha perso credibilità negli ultimi anni?
La CI non è un esperimento, ma un tentativo di trovare soluzioni, spesso nelle circostanze più difficili. Il 50% del lavoro viene svolto in aree di crisi: Yemen, Afghanistan e Myanmar sono tutte regioni ad alto rischio in cui stiamo cercando di salvare vite umane. Il fatto che le cose non vadano sempre come pianificato o addirittura che vadano storte è semplicemente realtà. Purtroppo, la disponibilità dei donatori ad accettare battute d’arresto è esigua.
Secondo lei, per quale motivo la cooperazione allo sviluppo deve confrontarsi ripetutamente con affermazioni false e aspettative troppo elevate?
Purtroppo è in atto un’offensiva concertata contro la CI, dagli Stati Uniti alla Scandinavia e ai Paesi di lingua tedesca. Si tratta di una campagna politica che tenta di delegittimare la cooperazione internazionale in contesti nazionali, come nel caso delle piste ciclabili in Perù sostenute dalla Germania, di cui hanno parlato molti media. Questi esempi creano confusione, ma è anche nostra responsabilità comunicare meglio e più chiaramente cosa facciamo con il nostro lavoro.
Ci lascia un messaggio positivo per concludere?
Mediante il Programma alimentare mondiale (PAM), le Nazioni Unite forniscono ogni anno aiuti alimentari a circa 115 milioni di persone. Ciò è possibile solo grazie al coraggio, alla solidarietà internazionale e all’impegno del nostro personale e dei nostri partner sul campo.
Il terremoto del 2023 ha causato danni enormi in Afghanistan. Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo ha una grande esperienza in contesti così fragili.
Achim Steiner, nato nel 1961, è cresciuto in Brasile e in Germania e ha studiato filosofia, politica ed economia all’Università di Oxford. Si è laureato all’Università di Londra con un master in Economia e pianificazione regionale. Ha conseguito inoltre dei periodi di studio presso l’Istituto tedesco per la politica di sviluppo (DIE) di Berlino e la Harvard Business School.
Achim Steiner è stato direttore dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) e ha lavorato per la Società tedesca per la cooperazione internazionale (GIZ). Tra il 2006 e il 2016 ha diretto il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) a Nairobi e la sede locale (UNON). Da maggio 2017, Achim Steiner ricopre il ruolo di capo del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) a New York. Nel 2021 è stato confermato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per un secondo mandato quadriennale al vertice dell’UNDP.
Condividi l'articolo
global
La rivista periodica di Alliance Sud viene pubblicata quattro volte all’anno (in tedesco e francese) ed è possibile abbonarsi gratuitamente. In «global» trovate analisi e commenti riguardanti la politica estera e di sviluppo del nostro Paese.
Medienmitteilung
Messaggi contraddittori del Consiglio Federale
19.02.2020,
Cooperazione internazionale
“Avanti in tutte le direzioni”: questa è la bussola della politica di sviluppo del Consiglio federale. Alliance Sud si rammarica della mancanza di impegni chiari a favore di un orientamento coerente verso gli OSS e degli Accordi di Parigi sul clima.
Il Consiglio federale vuole che la Svizzera partecipi all'aumento di capitale della Banca mondiale. Alliance Sud pone delle domande cruciali e stabilisce delle condizioni.
Per il 30 esimo anniversario del Rapporto sullo sviluppo umano, il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUS) si china sulla questione di sapere quello che si deve intraprendere affinché lo sviluppo umano diventi una realtà per tutti.
Il Consiglio federale ha deciso di affiancare al Punto di contatto nazionale (PCN) - incaricato dell’applicazione delle linee guida dell’OCSE - una Commissione consultiva multi-partitica. Non mancano le critiche dei sindacati e delle ONG.
Condividi l'articolo
Global,Opinione
Neutralità inflazionistiche
29.09.2022,
Cooperazione internazionale
Per il 2020 o il 2021, l’ONU constata un degrado dell’indice di sviluppo umano nel 90 % dei Paesi. Il pianeta brucia, o è sommerso dall’acqua, e la Svizzera discute di neutralità piuttosto che di solidarietà.
Cassis, Pfister, Blocher: questi tre illustri signori tentano di profilarsi attribuendo alla parola neutralità un aggettivo. Ma prima parliamo del sostantivo: la neutralità della Svizzera era vitale finché i Paesi confinanti erano in guerra. Fu il caso durante quella franco-tedesca del 1871 e ancor di più durante la Prima Guerra mondiale, quando le differenti simpatie per i belligeranti divisero il Paese.
Durante la Seconda Guerra mondiale, la neutralità è stata accompagnata da un altro elemento ben conosciuto: l’affarismo con i belligeranti. Fino al 1944, alcune imprese elvetiche hanno fornito grandi quantità d’armamenti alla Germania nazista. Durante la guerra si poteva ancora parlare di una situazione di emergenza, ma in seguito l’affarismo è rimasto, mentre la neutralità ha assunto una parvenza benevola. La neutralità, intesa come «facciamo affari con tutti e non ci preoccupiamo delle sanzioni», è stata una delle tre ragioni (con la piazza finanziaria e le leggi fiscali) grazie alle quali la Svizzera è diventata la piattaforma mondiale del commercio di materie prime.
Non essendo membro dell'ONU, fino agli anni Novanta la Svizzera non ha rispettato le sanzioni dell'ONU, ad esempio contro la Rhodesia (diventata Zimbabwe) o il Sudafrica dell’apartheid. Marc Rich, il padrino del commercio svizzero di materie prime, la cui impresa è diventata Glencore e i cui «Rich-Boys» hanno fondato società come Trafigura, ha parlato del commercio petrolifero con il regime iniquo dell’Africa australe come del suo affare più importante e più redditizio. Ma anche i commercianti di cereali stabiliti sulle rive del Lemano hanno approfittato dell’embargo sui cereali imposto dagli Stati Uniti all’Unione sovietica e hanno quindi sfruttato la situazione, sebbene la Svizzera non fu del tutto neutrale a livello ideologico e pratico (v. l’affare Crypto) durante la guerra fredda.
Passiamo agli aggettivi: la «neutralità cooperativa» d'Ignazio Cassis avrebbe relativizzato l’affarismo, definendo chiaramente il nuovo status quo dopo l’invasione russa dell’Ucraina (con l’applicazione delle sanzioni UE). Ma il Consiglio federale ha risposto picche all’aggettivo del presidente della Confederazione.
La «neutralità decisionista» del presidente dell’Alleanza di Centro Gerhard Pfister è meno chiara. Se si legge la sua recente intervista nel giornale Le Temps, i «diritti umani, la democrazia e la libertà d’espressione» limiterebbero l’affarismo. Stando all’intervista accordata ai giornali di Tamedia, si tratta piuttosto dei valori del «modello economico e sociale occidentale», ossia «lo Stato di diritto, la sicurezza della proprietà privata e il benessere sociale».
La «neutralità integrale» dell’ex consigliere federale Christoph Blocher vuole invece un ritorno all’affarismo assoluto. Già tempo fa l’aveva difeso contro gli oppositori dell’apartheid. Il Gruppo di lavoro Africa del Sud (ASA), che ha fondato e presieduto, è insorto contro le sanzioni e ha dato una piattaforma ai politici di destra e ai militari sudafricani per far passare i loro messaggi disumani. L'ASA ha pure organizzato viaggi propagandistici, all’insegna di «Sulle tracce dei boeri».
Anch’io avrei ancora degli aggettivi d’aggiungere, perché ciò che sarebbe più approppriato per la Svizzera sarebbe una neutralità «compassionevole» (rifugiati) e «compatibile con il mondo» (i diritti umani prima dell’affarismo).
Articolo pubblicato dal Corriere del Ticino il 21 settembre 2022
Condividi l'articolo
global
La rivista periodica di Alliance Sud viene pubblicata quattro volte all’anno (in tedesco e francese) ed è possibile abbonarsi gratuitamente. In «global» trovate analisi e commenti riguardanti la politica estera e di sviluppo del nostro Paese.
Alliance Sud sostiene un multilateralismo basato sui valori e incentrato sull’essere umano. A ciò si contrappongono i singoli interessi dei Paesi – anche della Svizzera – e molte organizzazioni multilaterali vengono dunque ancora dominate dal Nord. Ciò dev’essere superato.
È inconfutabile che, senza organizzazioni multilaterali efficienti, i problemi globali più impellenti non possono essere risolti. Al tempo stesso, esse sono parte di un sistema irrinunciabile della diplomazia internazionale e del dialogo. Spesso però a prevalere sono i singoli interessi degli Stati membri. Soprattutto al di fuori del sistema delle Nazioni Unite, sono gli interessi del Nord a dominare molte organizzazioni multilaterali; ciò è eclatante nella struttura decisionale e di governance del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
Alliance Sud s’impegna per un multilateralismo basato sui valori e incentrato sull’essere umano. Ciò significa che gli interessi del Sud globale e della società civile devono aver un maggior peso nelle organizzazioni multilaterali. Anche la Svizzera segue egoisticamente i propri interessi, quando si tratta di politica commerciale, finanziaria e fiscale a livello multilaterale. Questa situazione va superata: la Svizzera deve utilizzare la propria influenza nelle organizzazioni multilaterali, per rafforzare i diritti umani e per far progredire la messa in atto dell’Agenda 2030.
Comunicato stampa
Bye bye «Doing Business Report»: historischer Sieg
16.09.2021,
Cooperazione internazionale
Da molto tempo, varie organizzazioni della società civile, tra cui Alliance Sud, chiedono l'abolizione del controverso “Doing Business Report” della Banca Mondiale. Dopo che nel 2020 si è saputo che i dati di Cina, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Azerbaigian erano stati manipolati nei rapporti 2018 e 2020, la Banca Mondiale ha sospeso il rapporto e annunciato un'indagine esterna.
Lo studio esterno, che è stato pubblicato oggi e che si legge come un thriller diplomatico, mostra come la direzione della Banca Mondiale si è lasciata pressare dalla Cina e ha ordinato la manipolazione dei dati per mettere la Cina in una migliore luce. Il direttore del “Doing Business Report” all'epoca è accusato di "terrorismo psicologico" - una cultura tossica di paura ha prevalso nel team. Poco dopo la pubblicazione del rapporto, la Banca Mondiale ha annunciato in un comunicato stampa odierno che avrebbe cancellato immediatamente il rapporto.
"Questo può essere visto come una vittoria di una lunga campagna della società civile che ha chiesto la cancellazione del Doing Business Report per anni e più recentemente nel contesto della manipolazione dei dati", dice Kristina Lanz, specialista in politiche di sviluppo di Alliance Sud. "Invece di un rapporto che incoraggia i paesi a competere nella deregolamentazione, la Banca Mondiale dovrebbe cogliere l'opportunità per sviluppare un nuovo rapporto che si concentri maggiormente sulla sostenibilità sociale e ambientale".