Comunicato stampa

Rinnovare i finanziamenti all'UNRWA per sostenere il cessate il fuoco

13.02.2025, Cooperazione internazionale, Finanziamento dello sviluppo

A quattro giorni dalla riunione della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati (CPE), una decina di organizzazioni ribadiscono l'assoluta necessità di mantenere i finanziamenti all'UNRWA per consolidare l'accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Consegnando alla CPE una lettera in questo senso e con un’azione simbolica si chiede alla Svizzera di rimanere fedele alla sua tradizione umanitaria.

Laura Ebneter
Laura Ebneter

Esperta in cooperazione internazionale

+41 31 390 93 32 laura.ebneter@alliancesud.ch
Rinnovare i finanziamenti all'UNRWA per sostenere il cessate il fuoco

Consegna della lettera all'entrata della Cancelleria federale. © Luisa Baumgartner / Alliance Sud

A fine gennaio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) ha lasciato la sua sede nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, e trasferito temporaneamente il personale internazionale in Giordania. Questa misura fa seguito all'adozione da parte del Parlamento israeliano di una legge senza precedenti, contraria al diritto internazionale, che vieta la presenza dell'UNRWA in Israele e a Gerusalemme Est, che il paese occupa dal 1967.

"La legge israeliana entra in vigore in un momento in cui gli aiuti umanitari sono più neces-sari che mai. La vita, la salute e il benessere di milioni di palestinesi sono a rischio. La Svizzera deve chiedere al governo israeliano di permettere all'UNRWA di operare in tutto il Territorio palestinese occupato, continuando a sostenere finanziariamente l'agenzia ONU”, afferma Michael Ineichen, responsabile advocacy di Amnesty Svizzera.

Dall'entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza, l'UNRWA ha fornito il 60% di tutti gli aiuti umanitari nel Territorio Palestinese Occupato. Rimane l'attore umanitario più importante in quel territorio. Solo l'agenzia delle Nazioni Unite dispone della rete necessaria per fornire servizi come rifugi di emergenza, strutture igienico-sanitarie, cure mediche e attrezzature, distribuzione di cibo e acqua. Il successo del cessate il fuoco dipende da questi aiuti essenziali.

In seguito alla sentenza della Corte internazionale di giustizia del gennaio 2024, la Svizzera ha ancor più l'obbligo di adottare misure per prevenire il genocidio e fornire aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza. In qualità di Stato depositario delle Convenzioni di Ginevra, la Svizzera sta inoltre organizzando una conferenza degli Stati parte delle Convenzioni di Ginevra con l'obiettivo di rafforzare la protezione della popolazione palestinese. Un motivo in più per impegnarsi a fondo per i diritti umani dei palestinesi, in particolare contribuendo alla fornitura di beni e servizi essenziali.

“Amnesty International chiede quindi alla Commissione di autorizzare il mantenimento del sostegno all'UNRWA. Un'interruzione dei finanziamenti sarebbe in contraddizione con gli impegni internazionali della Svizzera e comprometterebbe gli sforzi per la pace e la stabilità nella regione. Il sostegno del nostro Paese è ancora più necessario dopo la decisione del Presidente americano Trump di porre fine ai finanziamenti per l'agenzia ONU”, conclude Michael Ineichen.

Le seguenti organizzazioni hanno co-firmato la lettera aperta (tedesco / francese): Alliance Sud, Forum für Menschenrechte in Israel/Palästina, Frieda – Die feministische Friedenorganisation, Associazione Svizzera-Palestina, Gruppo per una Svizzera senza esercito GSsE, Ina autra senda - Swiss Friends of Combatants for Peace, Jüdische Stimme für Demokratie und Gerechtigkeit in Israel/Palästina, Médecins du Monde Svizzera, medico international svizzera, Palestine Solidarity Switzerland, Pane per tutti/HEKS, Peace Watch Switzerland.

Già nell'aprile del 2024, le organizzazioni all'origine della lettera consegnata oggi alla CPE avevano presentato al Consiglio federale e al Parlamento una petizione per il cessate il fuoco e il mantenimento dei finanziamenti all'UNRWA, accompagnata da oltre 45’000 firme. In ottobre, alcune di queste organizzazioni hanno esposto le conseguenze di un ritiro del sostegno svizzero all'UNRWA in una lettera aperta rivolta alla stessa commissione.

Comunicato stampa

Cooperazione allo sviluppo: non si può fare lo stesso con meno mezzi

29.01.2025, Cooperazione internazionale, Finanziamento dello sviluppo

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) hanno annunciato come intendono attuare i tagli alla cooperazione internazionale decisi dal Parlamento. L'impatto drammatico sulle popolazioni dei Paesi e dei programmi colpiti viene tuttavia minimizzato.

Cooperazione allo sviluppo: non si può fare lo stesso con meno mezzi

A causa della crisi climatica e politica in Bangladesh i bisogni rimangono immensi © Keystone / EPA / STR

 

Per evitare equivoci: la responsabilità dei tagli di 110 milioni di franchi nel budget 2025 e di 321 milioni di franchi nel piano finanziario per i prossimi anni è esclusivamente della maggioranza borghese che in Parlamento ha preso queste decisioni. Tuttavia, l'affermazione che «attraverso un’attenta definizione delle priorità dovrebbe comunque essere possibile ottenere gli effetti auspicati» invia un segnale sbagliato. È ovvio che la cooperazione allo sviluppo che può essere portata avanti nonostante i tagli è ancora efficace. Ma è altrettanto chiaro che non si può fare lo stesso di prima con 110 milioni in meno. Ed è chiaro che saranno le popolazioni del Sud globale a risentirne in modo tangibile quando progetti di successo verranno cancellati.

Le necessità in Bangladesh e Zambia in particolare – i programmi della DSC saranno interrotti in entrambi i Paesi – non sono certo diminuiti. Il Bangladesh si trova in una situazione politicamente instabile, che sta avendo un impatto sull'industria tessile del Paese. Lo Zambia soffre di una crisi del debito; secondo il Fondo Monetario Internazionale, sussiste ancora «un alto rischio di “distress” del debito complessivo ed esterno». Questo anche perché il Paese ha sofferto e continua a soffrire di un'aggressiva evasione fiscale da parte di società straniere. La multinazionale Glencore, ad esempio, non ha mai pagato le tasse sui profitti in Zambia, anche quando i prezzi del rame erano alti. Entrambi i Paesi sono inoltre particolarmente colpiti dalla crisi climatica, che sta minacciando i precedenti successi di sviluppo. Il Bangladesh a causa delle tempeste e dell'innalzamento del livello del mare e lo Zambia perché la produzione di energia elettrica è diminuita drasticamente, dato che i fiumi trasportano molta meno acqua.

Anche in ambito multilaterale i tagli non possono essere assorbiti senza conseguenze. Ad esempio, sono stati cancellati i pagamenti a UNAIDS. Eppure l'AIDS è ancora una delle maggiori cause di morte in Africa e quasi un quinto dei pazienti africani affetti da HIV non riceve ancora farmaci salvavita. Sono previsti anche «ulteriori tagli trasversali» e vengono colpiti i contributi alle spese generali delle ONG, sebbene il Consigliere federale Ignazio Cassis avesse affermato in Parlamento la scorsa estate che queste organizzazioni partner contribuiscono all'attuazione della cooperazione internazionale a basso costo. Concretamente, ciò significa che numerose famiglie contadine, ad esempio, non avranno un approvvigionamento idrico sicuro nella lotta contro la crisi climatica, molti giovani non avranno un posto di apprendistato e più bambini andranno a letto affamati. I responsabili dei tagli non devono crogiolarsi, ma guardare in faccia questa cruda realtà.

Commento per i media

Un quadro deformato per la cooperazione internazionale

19.12.2024, Finanziamento dello sviluppo

La sessione invernale si conclude con tagli milionari al credito quadro 2025-2028 (-151 milioni di franchi) e al budget 2025 per la cooperazione allo sviluppo (-110 milioni di franchi). Le decisioni del Parlamento avranno conseguenze drammatiche per i Paesi più poveri e sono state caratterizzate da molte false argomentazioni, critica Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud.

Un quadro deformato per la cooperazione internazionale

© Servizi parlamentari / Tim Loosli

Il mercanteggiamento a favore dell'esercito è stato caratterizzato da cifre liberamente interpretate, false argomentazioni e un trucco procedurale. Il 9 dicembre, per pochi minuti, entrambe le Camere federali si sono espresse contro i tagli al credito quadro della Strategia della cooperazione internazionale 2025-2028. Con il sostegno della maggioranza del centro, il Consiglio nazionale ha seguito il Consiglio degli Stati con 95 voti contro 94 e ha respinto tutti i tagli. Ma poi è successo qualcosa che non era mai accaduto prima: il freno alla spesa non è stato sbloccato. Questo perché per le decisioni di bilancio superiori a 20 milioni, il Parlamento deve sempre deliberare in una risoluzione separata, ciò che normalmente è una questione di routine. Questa decisione richiede inoltre la maggioranza assoluta, ossia 101 voti a favore in Consiglio nazionale, mentre le astensioni contano come no. Mancavano solo due voti. Ciò ha dato al PLR l'opportunità di proporre ancora una volta dei tagli. Questi sono state accettati solo con il voto decisivo della Presidente del Consiglio nazionale del PLR, ovvero con 96 voti contro 95.

Oltre ai 151 milioni della cooperazione bilaterale allo sviluppo della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), è stato tagliato anche l'aiuto umanitario all'Ucraina (-200 milioni). Questo dopo che i membri del Consiglio nazionale avevano ripetutamente sottolineato durante il dibattito che non erano senza cuore e che non avrebbero certamente tagliato gli aiuti umanitari. Il Consiglio degli Stati ha corretto la cifra riducendola ai -151 milioni della DSC, evitando un imbarazzo totale per la Svizzera e un freddo gelido nelle case dell’Ucraina.

In generale, i fatti non hanno giocato alcun ruolo nel dibattito. Per esempio, l'efficacia scientificamente comprovata della cooperazione allo sviluppo o il fatto che non vi sia nessun altro settore dell'Amministrazione federale in cui si effettuano più controlli e c'è più trasparenza, il che significa che sappiamo esattamente “cosa succede con tutti i soldi all'estero”. Anche le cifre inventate sulla cooperazione internazionale (CI) sono state gonfiate, talvolta arrivando addirittura a due terzi di troppo. L'affermazione spesso sentita che l'esercito è stato ridotto alla fame “negli ultimi anni” a favore della CI è altrettanto priva di fatti. Dal 2015, la crescita della cooperazione internazionale è sempre stata inferiore (1,7% in media) alla crescita del bilancio federale (2,6%), mentre la crescita delle spese dell'esercito è stata significativamente superiore (3,9%). La fame ha un aspetto diverso e viene patita altrove.

Non ha aiutato neanche il fatto che il budget (vincolante) della CI per il 2025 sia stato negoziato contemporaneamente al credito quadro 2025-2028. La cooperazione internazionale sarà ora tagliata di 110 milioni di franchi svizzeri per il prossimo anno. Questo dimostra chiaramente che i crediti quadro sono solo il contesto in cui i parlamentari possono presentarsi sotto una luce migliore (o meno cattiva). Nel bilancio sono stati effettuati tagli anche alla cooperazione multilaterale e alla cooperazione allo sviluppo della SECO, che erano state risparmiate nel credito quadro. E la DSC ha a disposizione meno fondi di quanto il credito quadro lasci intendere.

I 30 milioni di franchi che mancano all'aiuto multilaterale equivalgono all'incirca all'intero impegno della Svizzera nella lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria. In termini concreti, il denaro mancante dalla cooperazione bilaterale significherà che meno alunni potranno essere istruiti nei campi profughi, che molte famiglie contadine non avranno un approvvigionamento idrico sicuro nella lotta contro la crisi climatica, che molti giovani non avranno un posto di apprendistato e che più bambini andranno a letto affamati. Natale ha un aspetto diverso.

Per ulteriori informazioni:
Andreas Missbach, Direttore di Alliance Sud, Tel. +41 31 390 93 30, andreas.missbach@alliancesud.ch

 

Studio

Impact Investing e sviluppo sostenibile

10.12.2024, Finanziamento dello sviluppo

L'impact investing sta guadagnando sempre più consensi, soprattutto in Svizzera, Paese noto per il suo sistema finanziario e per il suo impegno a favore di una piazza finanziaria sostenibile. Tuttavia, proprio perché l'impact investing viene spesso presentato come una panacea per superare le sfide dello sviluppo sostenibile, lo studio di Alliance Sud ne esamina criticamente l'efficacia e i limiti.

 

Laurent Matile
Laurent Matile

Esperto in imprese e sviluppo

Impact Investing e sviluppo sostenibile

L'Impact Investing diventa sempre più importante, ma rimane un mercato di nicchia. Fonte: Tameo 2023.

Ricostruzione dell'Ucraina

Aziende svizzere avvantaggiate?

03.10.2024, Finanziamento dello sviluppo

Il Consiglio federale intende attribuire 500 milioni di franchi destinati alla ricostruzione dell’Ucraina al settore privato svizzero. Ciò non è certo nell’interesse dell’economia ucraina e delle sue imprese.

Laurent Matile
Laurent Matile

Esperto in imprese e sviluppo

Aziende svizzere avvantaggiate?

 © Keystone/EPA/Oleg Petrasyuk

L’11 giugno, in occasione della Ukraine Recovery Conference (URC) a Berlino, il consigliere federale Ignazio Cassis ha presentato l’impegno della Svizzera: «In primo luogo, il settore privato svolge un ruolo fondamentale nel processo di ricostruzione. La Svizzera promuove condizioni quadro sostenibili e si assicura che le piccole e medie imprese (PMI) funzionino e rimangano competitive». In collaborazione con la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), la Svizzera ha inoltre dichiarato di sostenere un nuovo meccanismo di protezione degli investimenti privati dai rischi di guerra e di voler aderire all’alleanza per il sostegno alle PMI fondata in occasione della conferenza. Era dunque lecito pensare che il ministro degli affari esteri svizzero intendesse sostenere soprattutto le imprese e l’economia ucraine.

Tuttavia, due settimane dopo, il 26 giugno, il Consiglio federale ha annunciato l’intenzione di dare al settore privato svizzero un «ruolo di primo piano nella ricostruzione in Ucraina». A questo scopo, nei prossimi quattro anni intende impiegare un terzo degli 1,5 miliardi di franchi previsti a favore dell’Ucraina dalla Strategia di cooperazione internazionale 2025–2028. La quasi totalità dei fondi sarà trasferita dalla cooperazione bilaterale allo sviluppo della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) alla Segreteria di Stato dell’economia (SECO). L’intero “budget Ucraina” sarà gestito da Jacques Gerber, attuale consigliere di Stato PLR del Giura, che siederà nella Segreteria generale del DFAE in qualità di delegato per l’Ucraina e sarà direttamente subordinato ai consiglieri federali Cassis e Parmelin.

I piani della SECO

Per quanto si sappia attualmente, i piani della SECO prevedono due fasi. Nella prima si mira a sostenere le imprese svizzere già presenti in Ucraina, affinché possano creare o mantenere posti di lavoro. A tal fine, la Confederazione si fa carico dei rischi delle imprese, ad esempio tramite aiuti finanziari o soluzioni assicurative. L’argomento per giustificare l’impiego dei fondi della cooperazione internazionale (CI): i progetti delle imprese sostenute devono comportare una «componente di sviluppo», ad esempio misure di formazione professionale. Fin qui, tutto poco chiaro, ma si citano possibili beneficiari, come il fabbricante di vetro Glas Trösch. Inoltre, alcune delle misure mirano a incoraggiare le imprese svizzere che non sono ancora attive in Ucraina a investirvi. Ciò potrebbe pregiudicare ulteriormente l’attività delle PMI e delle aziende locali.

La seconda fase, in cui la SECO intende «privilegiare in generale il settore privato svizzero», è ancora più problematica. L’Ucraina riceverebbe denaro dalla Svizzera che potrebbe utilizzare solo per acquisti presso imprese svizzere. Tale aiuto vincolato (tied aid) è contrario alle buone pratiche della CI, ai regolamenti dell’OMC e al diritto svizzero in materia di appalti pubblici. Non esiste una base giuridica adeguata: dovrà essere creata nei prossimi mesi. Per il Consiglio federale è sufficiente un trattato internazionale con l’Ucraina, mentre la Commissione per gli affari esteri del Consiglio degli Stati ha chiesto una legge specifica. Sarà il Parlamento a prendere la decisione finale sull’intero pacchetto, come parte della strategia di CI, nella sessione invernale. Tuttavia, la decisione del Consiglio federale di concedere un trattamento preferenziale al settore privato svizzero è chiaramente incoerente con le promesse fatte a Berlino. Il fatto che l’Ucraina possa decidere essa stessa di cosa ha bisogno dalle aziende svizzere non è un argomento convincente. In una situazione di emergenza, si accettano comunque i buoni della Migros, anche se così si danneggia il negozietto di paese, che sarebbe più importante sostenere.

Rafforzare l’economia locale

Ciò di cui l’Ucraina avrebbe bisogno, sarebbe il sostegno della comunità internazionale, e quindi anche della Svizzera, a favore della sua economia e delle sue imprese. Per il 90% si tratta di PMI, che hanno dimostrato un’eccezionale resilienza nonostante le incertezze della guerra. Un recente studio della London School of Economics  ha constatato che l’economia ucraina si è dimostrata sorprendentemente resistente, ma che le sue prospettive di crescita rimarranno limitate finché la guerra continuerà. I produttori ucraini stanno perdendo quote di mercato nazionale a fronte di concorrenti internazionali che non operano in condizioni di guerra. Questa perdita mostra che la sua economia relativamente aperta (soprattutto nei confronti dell’UE, grazie all’accordo di associazione) non si adatta bene alle condizioni in tempi di guerra. In questa situazione, l’aumento degli acquisti pubblici da parte dello Stato di beni e servizi da imprese private ucraine è uno strumento importante per rafforzare la resistenza dell’economia ucraina durante la guerra e per sostenere la capacità produttiva e l’occupazione. Così l’economia ucraina al contempo può prepararsi alla ripresa e alla ricostruzione future.

Promuovere il “Made in Ukraine”

I Paesi donatori, inclusa la Svizzera, dovrebbero quindi perseguire una “offensiva di localizzazione” per l’Ucraina, al fine di garantire e sviluppare le capacità nazionali. Dovrebbero sostenere il programma di sovvenzioni del governo ucraino “Made in Ukraine” volto ad aumentare la produzione nazionale. Dovrebbero fare dell’impiego di semilavorati locali (local content) e degli acquisti locali una condizione del sostegno finanziario al Paese, in maniera che gli aiuti per l’Ucraina siano spesi in Ucraina. Infine, dovrebbe rientrare in questo approccio anche la promozione del trasferimento tecnologico per l’economia ucraina. Il risultato non sarebbe solo un aumento del gettito fiscale, ma anche entrate di divise grazie all’incremento delle esportazioni, entrambe necessarie per rimborsare i prestiti per la ricostruzione concessi dalla comunità internazionale (principalmente l’UE).

Inoltre, i Paesi donatori dovrebbero promuovere la cooperazione tra le loro imprese e quelle ucraine nella produzione di beni (ad esempio attraverso joint venture o consorzi) con modelli assicurativi contro i rischi di guerra e finanziamenti favorevoli. Ciò può rafforzare la resilienza dell’economia ucraina nel breve termine, finché la guerra continua, e nel medio-lungo termine contribuire alla sua integrazione nelle catene produttive globali. Le misure della prima fase dei piani svizzeri sarebbero quindi ragionevoli, con le opportune condizioni quadro.

La ricostruzione deve essere pianificata tenendo conto della transizione verso un’economia verde, sia per rendere l’economia ucraina sostenibile sia per facilitare l’allineamento al Green Deal dell’UE. Gli investimenti nelle energie pulite saranno fondamentali, così come la decentralizzazione della produzione energetica (l’Ucraina ha un gran numero di piccole centrali elettriche), per ridurre la vulnerabilità agli attacchi russi. I partner e gli investitori esteri dovrebbero sostenere le aziende ucraine a cui mancano le competenze e il capitale umano e assisterle nell’implementazione di tecnologie all’avanguardia (comprese quelle a zero emissioni). I piani della SECO potrebbero contribuire anche a questo obiettivo.

Finanziare le imprese

C’è un’enorme carenza di fondi per finanziare la modernizzazione dell’industria ucraina, necessaria per la ricostruzione. In particolare nel settore dei materiali da costruzione e della metallurgia, dove alcune strutture risalgono ancora all’era sovietica, urgono misure di decarbonizzazione. Per stanziare i fondi necessari a lungo termine per simili progetti di reindustrializzazione, sarebbe opportuno creare una banca ucraina per lo sviluppo. Partner occidentali come la Svizzera potrebbero aiutare Kiev a raccogliere fondi e fornire garanzie per realizzare il finanziamento delle imprese ucraine su larga scala.

Il nascente settore delle materie prime dell’Ucraina mostra la necessità di maggiori finanziamenti e di una politica industriale mirata. A Berlino, i rappresentanti dell’UE hanno accolto con favore le enormi riserve di «materie prime critiche» dell’Ucraina, che la Commissione europea considera fondamentali per l’economia europea. L’Ucraina possiede 22 dei 34 minerali considerati essenziali per garantire la cosiddetta “autonomia strategica” dell’UE o addirittura la “sovranità europea”. Una banca ucraina per lo sviluppo potrebbe sostenere le imprese nazionali a diventare protagoniste di questo settore emergente e massimizzare la creazione di valore in Ucraina.

È urgente correggere il tiro

Per Alliance Sud è chiaro che alcune misure della prima fase dei piani della SECO possono essere sensate se creano posti di lavoro, favoriscono il trasferimento tecnologico (in particolare quello “verde”), prevedono partenariati con le imprese locali e se si garantisce che nessuna impresa locale venga soppiantata a causa della promozione di imprese svizzere. È urgentemente necessario un resoconto trasparente sui piani concreti, in modo da poterne valutare i benefici o i danni. In ogni caso, l’aiuto svizzero dovrebbe concentrarsi sul sostegno al settore privato locale e all’economia ucraina. A tal fine occorre innanzitutto denaro e sarebbe meglio che la Svizzera impiegasse i canali multilaterali esistenti destinati a questo scopo piuttosto che coltivare la “Swissness” in Ucraina.

La seconda fase, che punta solo ad assicurare una “fetta della torta” della ricostruzione all’industria svizzera delle esportazioni, sarebbe chiaramente contraria agli interessi dell’economia ucraina. Eppure, la stabilità dell’economia ucraina a lungo termine andrebbe a maggior vantaggio della Svizzera rispetto a portafogli ordini completi di singole imprese. Questi piani andrebbero quindi fermati. Oltretutto è evidente che queste attività rientrano solo marginalmente tra le priorità della cooperazione internazionale della Svizzera e quindi non dovrebbero essere finanziate dal bilancio della CI.

 

 

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AFGHAN FUND

«L’economia va stabilizzata»

01.10.2024, Finanziamento dello sviluppo

Mentre miliardi di riserve valutarie afghane sono trattenute in Svizzera, la popolazione dell’Afghanistan versa in una situazione economica drammatica. Shah Mehrabi, co-direttore del Fondo per l’Afghanistan, esige versamenti mirati.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

«L’economia va stabilizzata»

La quantità di banconote afghane nel Paese è molto variabile. I commercianti di banconote sono onnipresenti a Kabul.
© Keystone/EPA/Samiullah Popal

Tre anni dopo la presa del potere da parte dei talebani, l’Afghanistan è sull’orlo dell’abisso. I diritti delle bambine e delle donne vengono calpestati: sono diventate praticamente invisibili negli spazi pubblici – impianti sportivi, hammam, saloni di bellezza e parchi sono per loro tabù. La formazione scolastica per loro termina con la scuola elementare e sul posto di lavoro subiscono una rigida segregazione di genere. I media e l’opposizione sono vittime di repressione. La povertà affligge ormai metà della popolazione e il 90% non riesce più a soddisfare i propri bisogni alimentari di base.

«L’economia si trova in una situazione estremamente precaria, soprattutto a causa delle restrizioni imposte al settore bancario, della soppressione degli scambi e del commercio, dell’indebolimento e dell’isolamento delle istituzioni pubbliche e della quasi totale assenza di investimenti esteri e di sostegno finanziario da parte di donatori esteri in settori come l’agricoltura e l’industria manifatturiera», come hanno dichiarato le Nazioni Unite a inizio anno.

Nel frattempo, miliardi di dollari amministrati a Ginevra dal Fondo per il popolo afghano (Afghan Fund) rimangono inutilizzati. Il Fondo è stato istituito due anni fa per gestire le riserve di valuta estera della Banca centrale dell’Afghanistan (DAB), che sono state congelate quando i talebani hanno preso il potere nell’agosto 2021. Allora, la Federal Reserve Bank di New York deteneva 7 miliardi di dollari di queste riserve valutarie, mentre altri 2,1 miliardi si trovavano in Europa e in altri Paesi. Per evitare che il denaro depositato negli Stati Uniti venga reclamato dalle vittime dell’11 settembre, il presidente Biden ha proposto di conservarne la metà all’estero. Così 3,5 miliardi di dollari sono confluiti in un conto presso la Banca dei regolamenti internazionali, con sede a Basilea, e a Ginevra è stata istituita una fondazione per la gestione del denaro: l’Afghan Fund. Il suo scopo è quello di amministrare i fondi e di restituirne una parte alla DAB qualora soddisfi condizioni rigorose. Alla fine di giugno 2024 i valori patrimoniali, compresi gli interessi, ammontavano a 3,84 miliardi di USD.

Deflazione dannosa

Eppure oggi, a distanza di due anni, non è ancora stato restituito un centesimo. Per quale motivo? «Innanzitutto, c’è una mancanza di comprensione delle regole: questo denaro non è destinato a scopi umanitari, ma a stabilizzare il sistema finanziario», ci risponde Shah Mehrabi, uno dei due co-direttori afghani del Fondo, in collegamento telefonico dagli Stati Uniti. Professore del Montgomery College del Maryland, rammenta prima di tutto alcuni aspetti macroeconomici: le riserve valutarie sono valori patrimoniali detenuti dalle banche centrali in valute estere per garantire la solvibilità di un Paese e influenzare la politica monetaria. L’obiettivo è proteggere le banche centrali da una rapida svalutazione della moneta nazionale. Tali riserve svolgono un ruolo decisivo nello stabilizzare i tassi di cambio, nel rafforzare la fiducia della popolazione, nel fornire liquidità al sistema bancario e nel coprire i costi delle importazioni.

«Ora la DAB ha segnalato che la massa monetaria, cioè la quantità di moneta in circolazione, è diminuita» aggiunge il professore. «A cosa è dovuta la diminuzione? Uno dei fattori è il congelamento delle riserve. Se c’è meno denaro in circolazione, le persone possono comprare meno, l’attività economica diminuisce e questo, a sua volta, influisce sui prezzi e sui tassi di cambio. È proprio quello che si osserva in Afghanistan: le imprese non hanno i mezzi per investire, il che porta a una riduzione della domanda di beni e servizi. Quindi abbassano i prezzi sempre di più per incoraggiare la gente ad acquistare. La conseguenza è una deflazione, che è altrettanto dannosa per l’economia quanto l’inflazione».

Istituita una struttura solida

«Abbiamo raggiunto molti risultati», prosegue. Ma quali, esattamente? Per quanto riguarda la governance del Fondo, conferma che è stata creata una struttura solida: è stato adottato uno statuto ed è stato nominato un Consiglio di fondazione con il compito di rendere conto in maniera trasparente della gestione del patrimonio. Il Consiglio è composto da Shah Mehrabi stesso, da Anwar-ul-Haq Ahady, ex direttore della DAB e già ministro delle finanze, da Jay Shambaugh, rappresentante del Dipartimento del tesoro USA, e dall’ambasciatrice Alexandra Baumann, capo della divisione Prosperità e sostenibilità del DFAE. Le decisioni vengono prese all’unanimità, il che significa che di fatto ogni membro ha diritto di veto.
I membri del Consiglio di fondazione hanno sviluppato una strategia d’investimento proattiva e hanno commissionato a una società di consulenza l’elaborazione di misure di compliance e audit. In tal modo intendono lottare contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Hanno assunto un segretario esecutivo, sviluppato una strategia di comunicazione e istituito un comitato consultivo internazionale.

«Versamenti mirati possibili»

«Le misure che abbiamo adottato facevano parte dei requisiti che devono essere soddisfatti prima di poter effettuare qualsiasi erogazione di fondi», continua Shah Mehrabi. «Secondo me ora le condizioni per effettuare versamenti mirati volti a stabilizzare il tasso di cambio, stampare banconote e pagare le importazioni sono date. Tuttavia, devono avvenire a piccole dosi, poiché iniettare troppo denaro alla volta genererebbe inflazione».

Aggiunge che, malgrado le notevoli sfide, l’Afghani (la moneta nazionale) è rimasto stabile, in particolare rispetto al dollaro, grazie alla solida politica monetaria della DAB. Vi rientrano aste di valuta estera, controlli più severi sul contrabbando, aumento delle esportazioni, aiuti umanitari e rimesse. «Tuttavia, questa stabilità ha portato anche a una deflazione dovuta al crollo dei prezzi a livello globale e all’apprezzamento dell’Afghani. Attualmente il tasso di deflazione si attesta al -9,2% ed è quindi leggermente migliorato rispetto al tasso precedente (-9,7 %). Per attenuare ulteriormente la deflazione, la banca centrale potrebbe dover ridurre le aste di dollari e aumentare la circolazione di banconote afghane», conclude il co-direttore del Fondo.

I talebani non sono riconosciuti dalla comunità internazionale

Tuttavia, la situazione politica è molto complessa. L’attuale regime non è riconosciuto dalla comunità internazionale. Anche se la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) aprirà un ufficio umanitario a Kabul in autunno, i contatti con i rappresentanti talebani restano di natura puramente tecnica. Le vie legali e diplomatiche sono limitate, il che complica la capacità di agire del Fondo. Tuttavia, alla DAB non sono state imposte sanzioni internazionali. Quanto ai talebani, non riconoscono l’Afghan Fund e vogliono la restituzione del denaro. Almeno, comunque, secondo l’economista con alcuni dei beni patrimoniali congelati dagli Stati Uniti qualcosa è stato fatto, a differenza dei 2,1 miliardi di dollari congelati dall’UE.

«Non possiamo lasciare che il popolo afghano continui a soffrire. Procedere attivamente ai versamenti ora è nell’interesse di tutti. L’aiuto umanitario da solo non risolverà il problema, è fondamentale mirare a uno sviluppo a lungo termine. È ora di agire», conclude Merhabi, il cui mandato per l’Afghan Fund è stato prorogato per altri due anni a settembre, così come quello degli altri membri del Consiglio di fondazione.

 

 

La DSC torna a Kabul

Come la maggior parte dei Paesi, la Svizzera per il momento non intende riavviare la sua cooperazione allo sviluppo a lungo termine in Afghanistan. Comunque, torna con una presenza sul territorio. «La DSC aprirà un ufficio umanitario a Kabul nell’autunno del 2024», conferma Alain Clivaz, portavoce. «Si installerà nei locali dell’ex ufficio di cooperazione chiuso nel 2021. L’ufficio umanitario comprenderà quattro membri del Corpo svizzero di aiuto umanitario (CSA) in loco. Il team della DSC è responsabile dell’attuazione, dell’accompagnamento e della supervisione dei progetti finanziati dalla DSC».

Il portavoce del DFAE sottolinea che la situazione sul piano della sicurezza in Afghanistan rimane complessa e comporta notevoli rischi per tutte le attività nel Paese. Tuttavia, assicura che la DSC sta monitorando attentamente la situazione e dispone di un piano di sicurezza ad ampio raggio per il suo personale, elementi che consentono il ritorno a Kabul.«L’ufficio della DSC stabilisce contatti con i rappresentanti talebani a livello tecnico, se sono necessari per l’attuazione dei progetti», conclude.

Per Alliance Sud la presenza sul territorio è importante, ma l’aiuto umanitario da solo non può sostituire un’economia funzionante. La Svizzera deve fare in modo che il denaro gestito dal Fondo per l’Afghanistan venga restituito alla DAB, con la dovuta cautela. Ciò per evitare che la popolazione afghana sia doppiamente penalizzata: da un lato da un regime repressivo e dalle sanzioni, dall’altro dalla messa al bando da parte della comunità internazionale

 

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Comunicato stampa

Messaggio sull’esercito: un attacco frontale a una politica di sicurezza olistica

19.09.2024, Finanziamento dello sviluppo

Il Consiglio nazionale ha deciso oggi di finanziare l'aumento di quattro miliardi del budget dell'esercito attingendo in parte al bilancio della cooperazione internazionale (CI). Si tratta di un attacco frontale a una politica di sicurezza olistica.

Messaggio sull’esercito: un attacco frontale a una politica di sicurezza olistica

 © Keystone / Anthony Anex

La settimana scorsa, durante i dibattiti sulla Strategia della cooperazione internazionale 2025-2028, il Consiglio degli Stati si era espresso con 31 a 13 voti contro il finanziamento dell'esercito a spese della CI. Con la decisione odierna, il Consiglio nazionale ha cambiato rotta e vorrebbe prendere i fondi supplementari per l’esercito anche dalla cooperazione internazionale.

In questo modo, il Consiglio nazionale non riconosce che la cooperazione internazionale è parte integrante di una politica di sicurezza olistica. «Finanziare l'esercito a spese della cooperazione internazionale mina la tradizione umanitaria della Svizzera», afferma Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud, il centro di competenza svizzero per la cooperazione internazionale e la politica di sviluppo. A suo avviso «è miope, in termini di politica di sicurezza, rafforzare i pompieri a scapito delle misure di protezione antincendio.»

Nell’attuale rapporto sulla politica di sicurezza sta scritto chiaro e tondo che la Svizzera «contribuisce a rafforzare la sicurezza e la stabilità internazionali offrendo i suoi buoni uffici, contribuendo al promovimento della pace, impegnandosi a favore del diritto internazionale, dello Stato di diritto e dei diritti umani, combattendo le cause dell’instabilità e dei conflitti attraverso la cooperazione allo sviluppo e ricorrendo agli aiuti umanitari per sopperire alle necessità della popolazione civile.»

Inoltre, i crediti d'impegno della Strategia CI 2025-2028 hanno già dovuto assorbire 1,5 miliardi di franchi svizzeri di finanziamenti per l'Ucraina. La Commissione di esperti Gaillard ha anche concluso nel suo rapporto che la cooperazione allo sviluppo ha già dovuto attuare riduzioni significative per compensare i fondi aggiuntivi previsti dal Consiglio federale per l'Ucraina. Ulteriori tagli metterebbero a rischio la comprovata cooperazione internazionale della Svizzera.

Per ulteriori informazioni:
Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud, 031 390 93 30, andreas.missbach@alliancesud.ch

Strategia 2025 – 2028

Cooperazione allo sviluppo sull’orlo del precipizio

21.06.2024, Cooperazione internazionale, Finanziamento dello sviluppo

A metà maggio il Consiglio federale ha adottato il messaggio sulla Strategia di cooperazione internazionale 2025-2028, insistendo nel finanziare gli aiuti all’Ucraina a spese del Sud globale e ignorando i risultati della consultazione pubblica.

Laura Ebneter
Laura Ebneter

Esperta in cooperazione internazionale

Cooperazione allo sviluppo sull’orlo del precipizio

© Ruedi Widmer

A livello di contenuti, nella strategia 2025-2028 il Consiglio federale non rivela grandi sorprese e si concentra su temi e strategie di attuazione già collaudati. E lo fa in un mondo che, secondo la strategia, è più frammentato, instabile e imprevedibile. In questo contesto, il Consiglio federale opta per una maggiore flessibilità: il suo motto attuale. Una flessibilità che è necessaria per affrontare le crisi odierne, come ha dichiarato il consigliere federale Ignazio Cassis in conferenza stampa. Tuttavia, leggendo la strategia ci si rende subito conto che flessibilità in realtà significa che l’intera somma destinata ad aiutare l’Ucraina, pari a 1,5 miliardi di franchi, proverrà dal bilancio della cooperazione internazionale (CI) e quindi gli importi per altri Paesi e programmi saranno ridotti in modo “flessibile”.

Oggi qui, domani là

Alla conferenza stampa del 10 aprile concernente la conferenza di pace sul Bürgenstock e l’aiuto all’Ucraina, il consigliere federale Ignazio Cassis aveva tematizzato la continua riallocazione di risorse nell’ambito della CI, spiegando che l’allocazione di fondi è un processo strategico e dinamico e non una circostanza statica. Un tale approccio dinamico può avere una certa efficacia, ad esempio nel coniugare in modo flessibile i tre pilastri della CI, ossia l’aiuto umanitario, la cooperazione allo sviluppo e la promozione della pace (concetto noto anche come nexus ). Spesso comunque i confini tra questi approcci sono labili.

Una cooperazione internazionale che sposta costantemente le proprie risorse tra diverse regioni e da un Paese all’altro non può costruire partenariati seri e a lungo termine. Eppure, per operare con efficacia ed efficienza, sono proprio questi ciò che serve. Occorrono fiducia e impegno a lungo termine, cioè relazioni che si instaurano e curano attraverso i programmi della cooperazione allo sviluppo. Oppure, per riprendere le parole del consigliere federale Cassis in occasione di un incontro con le ONG nel 2022: «affidabilità, fiducia e prevedibilità». Se la CI della Svizzera finisce in balia di considerazioni geopolitiche, le mancheranno le reti e il personale necessari sul campo. La guerra in Ucraina ha segnato l’inizio di una nuova fase, ma ciò non deve indurre la CI svizzera ad abbandonare ciò che ha costruito in molti anni e i risultati ottenuti con i suoi Paesi partner.

Sul filo del rasoio

Con la decisione di finanziare gli aiuti all’Ucraina attingendo dal bilancio della cooperazione internazionale, il Consiglio federale sta dicendo di no su vari fronti. In primo luogo, è un diniego al Sud globale, che da anni chiede ai Paesi benestanti di adempiere l’obiettivo riconosciuto a livello internazionale dello 0,7% del reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS). Con il progetto del Consiglio federale entro il 2028 la Svizzera raggiungerà un APS dello 0,36% (esclusi i costi dell’asilo). Dov’è dunque la tradizione umanitaria, di cui si parla spesso e volentieri, quando ne abbiamo più bisogno?

In secondo luogo, è anche un diniego alle organizzazioni, ai partiti e ai Cantoni che hanno partecipato alla consultazione. Una netta maggioranza (75%) di coloro che hanno risposto a una domanda a questo riguardo ha dichiarato esplicitamente che gli aiuti all’Ucraina non devono andare a scapito di altre regioni e priorità della CI, come l’Africa subsahariana o il Medio Oriente. Nessuno dei partiti politici, eccetto l’UDC (il quale d’altronde, secondo il programma di partito, vorrebbe abolire la cooperazione allo sviluppo) sostiene il finanziamento della ricostruzione dell’Ucraina con i fondi della CI. Purtroppo, per la sua attuazione il Parlamento non ha ancora trovato una soluzione che abbia il sostegno della maggioranza nel dibattito sulle finanze federali.

Una Svizzera sempre meno credibile

All’estero non è passato inosservato il fatto che la Svizzera si stia adagiando sul suo comodo e redditizio status speciale di Paese neutrale e stia partecipando in maniera insufficiente alla difesa dell’Ucraina, indipendentemente dal fatto che il sostegno sia di natura militare o umanitaria. Con un tasso di indebitamento del 17,8% del prodotto interno lordo, la Svizzera sul piano internazionale non può spiegare in modo credibile perché non può stanziare ulteriori fondi per l’Ucraina. Allo stesso tempo, con le loro proposte di finanziamento per il riarmo dell’esercito e la tredicesima mensilità AVS, l’UDC e il PLR alimentano l’idea che la Svizzera possa abbandonare completamente i suoi obblighi internazionali.

Così il nostro Paese si isola sempre di più, perdendo credibilità a livello internazionale. Addio ruolo di mediatore, addio tradizione umanitaria e partner affidabile. Il Consiglio federale ha interpretato bene i segni dei tempi, ma ha scelto la strada dell’isolamento. Solo il Parlamento può ancora correggere il tiro e invertire la direzione per l’Ucraina e il Sud globale.

 

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La rivista periodica di Alliance Sud viene pubblicata quattro volte all’anno (in tedesco e francese) ed è possibile abbonarsi gratuitamente. In «global» trovate analisi e commenti riguardanti la politica estera e di sviluppo del nostro Paese.

Comunicato stampa

La «chambre de destruction» minaccia la sicurezza della Svizzera

04.06.2024, Finanziamento dello sviluppo

La decisione del Consiglio degli Stati di togliere due miliardi di franchi alla cooperazione allo sviluppo è fatale e mette a repentaglio la sicurezza della Svizzera. I tagli alla cooperazione allo sviluppo di oggi sono le crisi di domani e la reputazione internazionale della Svizzera ne sarebbe irrimediabilmente danneggiata.

La «chambre de destruction» minaccia la sicurezza della Svizzera

Sessione estiva al Consiglio degli Stati: Grande assente: la solidarietà.

© Servizi del parlamento, 3003 Bern

 

Secondo i dati dell’ONU, nel 2024 nel mondo circa 300 milioni di persone dipendono dall’aiuto umanitario. Sono colpite da guerre, catastrofi naturali o fame e hanno urgente bisogno di cibo, acqua potabile, assistenza medica, accesso all’istruzione o protezione. L’aiuto umanitario garantisce la sopravvivenza, mentre la cooperazione allo sviluppo è fondamentale affinché le persone possano uscire dalla povertà nel lungo periodo.

I risparmi previsti dal Consiglio degli Stati destinati all’esercito, insieme ai contributi per l’Ucraina, significherebbero tagli equivalenti a un terzo del budget. Vorrebbe dire interrompere progetti in corso funzionanti e distruggere strutture messe in piedi nel corso di decenni per le persone che hanno più bisogno di aiuto. La prevenzione dei conflitti a lungo termine non deve scivolare in secondo piano a causa della corsa alle armi innescata dall’aggressione russa all’Ucraina. La cooperazione allo sviluppo fornisce un contributo indispensabile alla sicurezza della Svizzera sul lungo periodo.

Finanziare il riarmo dell’esercito a spese dei più poveri significherebbe che la cooperazione allo sviluppo, già indebolita dai tagli e dal finanziamento degli aiuti all’Ucraina, non sarebbe più in grado di adempiere al suo mandato costituzionale. I 500 milioni di franchi all’anno che verrebbero a mancare corrispondono a molto più dell’intero sostegno della Svizzera all’Africa. La Svizzera si vedrebbe costretta ad abbandonare la popolazione di interi Paesi. Dovrebbe ritirare il suo sostegno a organizzazioni multilaterali come il Programma alimentare mondiale, che salva le persone dalla fame, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) o la Banca africana di sviluppo. Le conseguenze per la reputazione internazionale della Svizzera, già criticata per la sua mancanza di impegno, sarebbero disastrose.

«I politici dell’insicurezza nel Consiglio degli Stati stanno accettando un’ulteriore instabilità, che spinge la gente a fuggire. Non si preoccupano neppure del fatto che con una tale decisione la Svizzera si esporrebbe ancor di più alle critiche sul piano internazionale. Il Consiglio nazionale deve far rinsavire la chambre de destruction», sostiene Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud, centro di competenza per la cooperazione internazionale e la politica di sviluppo.

 

Per ulteriori informazioni:

Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud, tel. 031 390 93 30, andreas.missbach@alliancesud.ch

Laura Ebneter, esperta di cooperazione internazionale presso Alliance Sud, tel. 031 390 93 32, laura.ebneter@alliancesud.ch

Comunicato stampa

Il Consiglio federale fa finta di niente

22.05.2024, Finanziamento dello sviluppo

Il Consiglio federale ha adottato il tanto atteso messaggio sulla Strategia di cooperazione internazionale 2025-2028, ignorando completamente i risultati della consultazione pubblica e restando sulla linea del finanziamento della ricostruzione dell’Ucraina a spese del Sud globale.

Il Consiglio federale fa finta di niente

Il Consiglio federale sposta drasticamente le priorità a scapito del Sud globale, anche se la Svizzera non ha mantenuto le sue promesse per decenni.

© Anthony Anex / Keystone

Nelle sue prese di posizione, finora il Consiglio federale ha sempre sminuito i cambiamenti di priorità nella cooperazione internazionale (CI). Ancora durante la conferenza stampa del 10 aprile, il consigliere federale Ignazio Cassis ha dichiarato che i contributi a favore dell’Ucraina non si noteranno quasi a fronte della crescita del bilancio. Eppure, il progetto appena pubblicato sembra dire altro: il 39% dei fondi per la cooperazione allo sviluppo viene speso in Europa, Nord Africa e Medio Oriente. L’Africa subsahariana, regione nella quale dovrebbe concentrarsi la cooperazione allo sviluppo, riceve una quota inferiore dei fondi destinati a tale scopo, ovvero il 38%. Nella cooperazione economica allo sviluppo, la ripartizione è ancora più drastica: per l’Europa è previsto ora il 42% dei fondi, mentre l’Africa subsahariana ne riceverà solo il 13%. I tagli a spese dei Paesi più poveri sono drammatici.

Finanziamenti supplementari e straordinari necessari

«L’aiuto contro la povertà e il bisogno è più urgente che mai. Una situazione straordinaria come la guerra in Ucraina richiede risorse straordinarie; le persone nel Sud globale non devono pagarne il conto», sostiene Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud, centro di competenza svizzero per la cooperazione internazionale e la politica di sviluppo.

Preoccupano inoltre le previsioni di un netto calo dell’aiuto pubblico allo sviluppo  ad appena lo 0,36% del reddito nazionale lordo. «Una quota così bassa – la metà dell’obiettivo concordato a livello internazionale e promesso dalla Svizzera, nonché il livello più basso degli ultimi dieci anni – è assolutamente inaccettabile e indegna per un Paese ricco come la Svizzera», continua Missbach.

Rafforzare la cooperazione internazionale della Svizzera

Alla luce delle numerose crisi e guerre, ora più che mai è necessario che la Svizzera rafforzi il proprio impegno internazionale. In un breve briefing paper, Alliance Sud ha riassunto le principali informazioni di base per una CI orientata al futuro.

 

Per ulteriori informazioni:

Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud, tel. 031 390 93 30, andreas.missbach@alliancesud.ch
Laura Ebneter, esperta di cooperazione internazionale presso Alliance Sud, tel. 031 390 93 32, laura.ebneter@alliancesud.ch

 

Briefing paper: Rafforzare la cooperazione internazionale della Svizzera (in francese)