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La misteriosa ascesa del finanziamento svizzero

06.12.2022, Giustizia climatica

Tra il 2011 e il 2020, il contributo annuale della Svizzera per la protezione del clima nei Paesi in via di sviluppo ed emergenti è più che triplicato. Troppo bello per essere vero?

Delia Berner
Delia Berner

Esperta in politica climatica internazionale

La misteriosa ascesa del finanziamento svizzero
Muhammad Chuttal Korai davanti al ristorante della sua famiglia a Khairpur Nathan Shah, Pakistan. Durante le inondazioni del 2022, oltre 1500 persone hanno perso la vita e milioni un tetto sopra la testa.
© Gideon Mendel / Drowning World

Le devastanti inondazioni in Pakistan sono solo un esempio tra i tanti: ogni anno gli effetti del riscaldamento climatico sono più marcati e visibili. Le nazioni più povere e i gruppi di popolazione più vulnerabili sono spesso quelli più duramente toccati. Fanno fatica ad adattarsi ai cambiamenti climatici, sia per proteggere le loro coste dalle tempeste e dalle inondazioni, sia per adattare la loro agricoltura alle ondate di calore e alla siccità. Al tempo stesso, per limitare il riscaldamento del pianeta a 1,5°C è necessaria la neutralità climatica in tutti i Paesi. Da qualsiasi punto di vista lo si guardi, il cambiamento climatico resta una sfida mondiale.

Il Nord del mondo è responsabile della crisi climatica, ma non solo: ha infatti a disposizione anche la maggior parte delle risorse finanziarie, sia per la lotta contro il cambiamento climatico («mitigazione»), sia per l’adattamento a quest’ultimo. Già nel 2010, la comunità internazionale aveva deciso che i Paesi industrializzati dovevano mettere a disposizione dei Paesi in via di sviluppo ed emergenti 100 miliardi di dollari all’anno, a partire dal 2020, affinché questi Paesi potessero finanziare lo sviluppo della loro società «zero netto», come pure l’adattamento necessario ai cambiamenti climatici. Secondo la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, deve trattarsi di risorse finanziarie nuove e addizionali. Ma la volontà politica non è bastata per ottenere una spartizione vincolante della fattura tra gli Stati responsabili. Non è quindi sorprendente che l’obiettivo globale non sia stato raggiunto nel 2020. Secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), è stato raccolto un importo di 83,3 miliardi di dollari — calcolato ottimisticamente con le cifre ufficiali degli Stati donatori; il 71% dei fondi è però stato dato in prestito e dovrà quindi essere rimborsato. Ciò contribuisce all’indebitamento delle nazioni beneficiarie.

Il Consiglio federale, facendo un mix tra il principio del «chi consuma paga» e la nostra prosperità, calcola che la Svizzera deve contribuire con una somma tra i 450 e i 600 milioni di dollari all’obiettivo di finanziamento planetario. Una somma troppo bassa. Considerando le emissioni della Svizzera all’estero, la parte equa ammonterebbe infatti a 1 miliardo . Il Consiglio federale indica pure da dove dovrebbe provenire la maggior parte dei fondi: dall’attuale budget della cooperazione internazionale. Nel corso degli anni, quest’ultimo non è aumentato di più rispetto al budget generale della Confederazione. Si tratta di denaro che al tempo stesso deve servire per adempiere gli obiettivi internazionali in materia d’aiuto pubblico allo sviluppo (dove invece la Svizzera non è sulla buona strada). Insomma, il nostro Paese fa figurare gli importi due volte, ma li paga una sola volta.  

In quest’ottica, la Svizzera comincia a mettere sempre di più l’accento sul clima nell’ambito della cooperazione allo sviluppo e attribuisce sempre più progetti al finanziamento climatico. Ciò spiega il raddoppiamento del contributo della Svizzera ai progetti climatici bilaterali dal 2011 al 2020. Responsabili di questi ultimi, la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) hanno ovviamente il diritto di considerare maggiormente il cambiamento climatico nei loro progetti. Tuttavia non è chiaro se tutti i progetti siano davvero concepiti in modo da tener conto del clima oppure se essi vengano classificati come tali solo a posteriori. Comunque sia, sono sempre contabilizzati due volte con la cooperazione allo sviluppo.

Un secondo motivo del forte aumento del finanziamento climatico dichiarato risiede nei contributi della Svizzera a istituzioni multilaterali, come il Fondo verde per il clima (FVC), nonché a istituzioni dalle tematiche allargate, come le banche di sviluppo. I fondi climatici sono stati appositamente creati per l’attuazione della Convenzione sul clima. Il contributo svizzero a questi fondi è giustamente in aumento, ma nel 2020 rappresentava solo un terzo del finanziamento climatico multilaterale della Svizzera. Gli altri due terzi vengono investiti tramite delle banche di sviluppo, Banca mondiale in primis. Ora, osserviamo qui un fenomeno simile a quello della cooperazione bilaterale allo sviluppo: vengono contabilizzati nel finanziamento climatico sempre più progetti, che già precedentemente figuravano nel portafoglio. Con nuovi metodi d’imputazione per i contributi multilaterali, il finanziamento climatico elvetico prende improvvisamente l’ascensore, a più riprese, nel corso degli anni.

Così, per il 2020, il nostro Paese comunica all'ONU il suo contributo pari a 411 milioni di dollari di fondi pubblici per il finanziamento climatico, ai quali si aggiungono 106 milioni di dollari di fondi privati «mobilitati» grazie a dei fondi pubblici (ad esempio mediante finanziamenti incentivanti o garanzie per degli investimenti privati ad alto rischio). Il Consiglio federale non trova nulla da ridire. Le risorse nuove e addizionali per il finanziamento climatico, che non sono state «rubate» al budget dello sviluppo, rappresentano tuttavia solo una frazione minima, sotto forma di modesti contributi ai fondi climatici multilaterali — ossia 68 milioni di dollari. A volte vale la pena analizzare i conti della Confederazione.

Finanziamento in ambito climatico

Nella politica climatica internazionale, il finanziamento climatico significa il sostegno finanziario a dei Paesi in via di sviluppo ed emergenti in campo climatico. I Paesi più poveri sono quelli meno responsabili della crisi climatica e sono loro ad avere meno risorse finanziarie per lottare contro i mutamenti climatici e per adattarsi a questi cambiamenti. Il finanziamento in ambito climatico è però solo un aspetto della giustizia climatica. La riduzione delle emissioni di CO2 nel Nord globale, Svizzera inclusa, è altrettanto cruciale per il Sud globale.

Per saperne di più, leggete la scheda informativa di Alliance Sud (in francese).

Opinione

Providencia: la paura è ancora qui

17.03.2021, Giustizia climatica

A metà novembre del 2020 l’uragano Iota, classificato a forza 4, ha lambito le coste caraibiche, investendo soprattutto l' isola di Providencia, dove è stato distrutto il 98% delle strutture. Ecco la testimonianza di Hortencia Amor Cantillo.

Providencia: la paura è ancora qui

Il paradiso di Providencia trasformato nell'anticamera dell'inferno
© Hortencia Amor Cantillo

Con mio marito e i miei due figli ho già affronta due uragani negli anni passati, ma non è stato niente in confronto a Iota, della cui forza non ci siamo subito resi conto. È stato terrificante. È arrivato di notte. La prima impressione, all’alba, è quella lasciata dalla distruzione e dalla devastazione. È come vivere uno stato di shock: è semplicemente impossibile credere a ciò che si ha davanti agli occhi.

Più nessun tetto sopra la testa

I livelli di distruzione erano così importanti che non sapevamo più da dove ricominciare. La mia famiglia ha perso la piccola pensione (posada) che ci permetteva di vivere (il turismo è da sempre fonte per il nostro sostentamento economico); anche il piccolo centro per bambini e adolescenti che gestivo è stato in gran parte distrutto.

Bisogna dire che molte persone hanno perso davvero tutto. Alcuni sono rimasti solo con quello che avevano addosso. Molti si sono rifugiati nelle poche case in cemento rimaste parzialmente in piedi. Poco dopo l’uragano, il governo ha inviato delle tende che purtroppo si sono rivelate di scarsa qualità; con le forti piogge l’acqua è penetrata dal suolo al loro interno. Si tratta di tende che andrebbero bene per qualche giorno, ma alcune persone ci vivono ormai dal 16 novembre e si lamentano perché tutto al loro interno è bagnato. Le persone che hanno ricevuto le tende le hanno sistemate sui pavimenti di cemento, dove prima sorgevano le loro case, o nei bagni, siccome alcuni di essi sono costruiti in cemento. Per le donne e gli uomini che hanno perso tutto le condizioni di vita sono molto difficili. La tempesta si è portata via tutto. Anche il nostro tetto, al secondo piano della casa, è stato completamente rimosso; ne abbiamo recuperate alcune parti, ma il resto nessuno sa dove sia finito. In ogni caso siamo stati fortunati.

Un po’ di fortuna nella nostra sfortuna

All’incirca una settimana dopo la tempesta è arrivata un’ONG che ha iniziato a distribuire un pasto caldo al giorno. Il suo personale alloggia in diverse parti dell’isola. Qui a San Felipe, si sono installati nella chiesa cattolica; a mezzogiorno suonano le campagne e la gente si reca a prendere il pranzo e un frutto. La squadra è sempre presente, ma anche per loro non è facile perché il cibo è preparato a San Andrés e poi trasportato in aereo sull’isola di Providencia. I soccorritori stanno cercando delle soluzioni per preparare i pasti sul posto e aggirare gli intoppi connessi alla complicata logistica che spesso provocano ritardi nella fornitura degli alimenti. Grazie a Dio, finora, abbiamo beneficiato del loro sostegno!

Il governo s’impegna in prima linea a fornire i tetti alle case che sono rimaste ancora in piedi; molti di essi sono il frutto di donazioni da parte di privati. I tetti sono installati con l’aiuto dell’esercito, della polizia nazionale, della marina e dell’aereonautica, della protezione civile e della Croce Rossa. Tutti questi attori e queste organizzazioni sono sul posto per contribuire alla ricostruzione. Il processo è però molto lento, soprattutto per coloro che hanno subito la distruzione completa della propria casa e che attendono il loro turno per il sostegno. Per le persone che si ritrovano con la casa solo parzialmente danneggiata, la ricostruzione potrà essere più rapida, ma non conosciamo le tempistiche effettive. Nel frattempo tutti riflettono sul da farsi ed elaborano piani d’azione. Stiamo facendo tutto il possibile per velocizzare il processo. Evidentemente per determinate attività dipendiamo dall’aiuto: per ripristinare le spiagge abbiamo bisogno di macchinari e sulle coste, in particolare, ci sono molti detriti che non possiamo rimuovere da soli.

Restiamo qui

La natura impiegherà ancora più tempo per riprendersi. Qui ci sono alcuni alberi molto alti: li chiamiamo «cotton trees». Vivo sull’isola da 26 anni e li ho da sempre ammirati. Sono dei giganti dai tronchi molto possenti; devono essere molto vecchi. Ora molti di questi alberi sono stati completamente sradicati, alcuni sono rimasti in piedi ma hanno perso tutti i loro rami e le loro foglie. Ci vorranno parecchi anni per vederli ricrescere. Anche le barriere coralline sono state distrutte e ci vorrà molto tempo per la loro riabilitazione.

Ogni anno, da luglio alla fine di novembre, arriva la stagione degli uragani. La paura è sempre con noi e sarà difficile superare un altro uragano di questa intensità. Non siamo i soli in questa situazione; le coste degli Stati Uniti, il Messico e il Nicaragua sono anch’essi esposti al rischio di uragani. Siamo consapevoli del fatto che catastrofi di questo genere possono avvenire di continuo. Come sostiene anche mio marito, d’ora in poi ogni casa dovrebbe avere una stanza costruita in cemento dove potersi rifugiare. In ogni caso le catastrofi accadono in tutto il mondo, terremoti e così via.

Qualcuno mi ha chiesto se avessi voluto lasciare Providencia. Ho risposto di no perché di pericoli ce ne sono di ogni sorta in tutto il mondo. È triste e fa male, ma siamo qui e ci restiamo. L’isola di Providencia era il nostro piccolo paradiso e faremo tutto il possibile per farla ritornare tale.

Articolo, Global

Chi sostiene i costi dei danni climatici?

22.03.2021, Giustizia climatica

John Kerry, durante il Vertice per l’adattamento ai cambiamenti climatici di inizio anno, ha chiesto di trattare i cambiamenti climatici come un’emergenza. Ma, le belle parole della comunità di Stati non sono state seguite da impegni finanziari.
Chi sostiene i costi dei danni climatici?

Il "Pantanal" sudamericano è una delle più grandi zone umide interne del mondo. Dall'inizio del 2020, sta affrontando gli incendi più catastrofici della sua storia.
© Lalo de Almeida/Folhapress/Panos

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Sottovalutati i sintomi della malattia del clima

06.12.2021, Giustizia climatica

Oggi la comunità scientifica è concorde nel pensare che siamo già confrontati con una crisi climatica dalle conseguenze devastanti ma l’opinione pubblica sottovaluta l’importanza della crisi climatica e il suo impatto sul pianeta e sulle persone.

Sottovalutati i sintomi della malattia del clima

Bernd Nilles, presidente di Alliance Sud e direttore di Sacrificio Quaresimale
© Fastenopfer

Già nel 1989, una campagna di manifesti lanciata da Sacrificio Quaresimale rendeva attenti ai pericoli legati al cambiamento climatico. Ma per 40 anni sono state adottate solo delle timide misure e le emissioni di gas a effetto serra hanno continuato a crescere nel mondo. Oggi, la comunità scientifica è concorde nel pensare che siamo già confrontati con una crisi climatica dalle conseguenze devastanti per un numero sempre maggiore di persone nel mondo, anche da noi. Malgrado gli avvertimenti del mondo scientifico e i fenomeni meteorologici estremi, l’opinione pubblica sottovaluta ancora l’importanza della crisi climatica e il suo impatto sul pianeta e sugli esseri umani. A farsi attendere, soprattutto da parte degli ambienti politici, sono delle misure risolute: anche un vertice sul clima come quello di Glasgow non può far altro che fornire al massimo il contributo che i 190 governi nazionali, tra i quali la Svizzera, sono disposti a dare.

Durante la COP26, il presidente della Confederazione Guy Parmelin ha affermato giustamente che è stato fatto troppo poco. Tuttavia, non ha detto che sono proprio i Paesi ricchi come la Svizzera che si sottraggono alle loro responsabilità. Spetta quindi a noi continuare a ricordare che la crisi climatica è già una realtà. In Africa, in Asia e in America latina, le popolazioni lottano contro le inondazioni e le siccità dovute in gran parte alla crisi climatica. Ne va della loro sopravvivenza. E pure la Svizzera risente sempre più di questa crisi.

È quindi ancor più importante che, a livello di politica svizzera, le organizzazioni non governative, le Chiese e i media fungano da portavoce per i gruppi di popolazione più vulnerabili del mondo. Tuttavia, questo è esattamente ciò che diversi politici “liberali” hanno cercato d’impedire da un anno, con i loro tentativi d’intimidazione, approfittando dell’iniziativa per multinazionali responsabili. E com’è possibile che nelle commissioni parlamentari, alcuni politici, uomini e donne, tra l’altro sistematicamente critici verso la burocrazia e le regolamentazioni, sostengano una mozione del consigliere agli Stati Ruedi Noser, sinonimo di obblighi burocratici senza uguali? Voler esaminare minuziosamente le attività politiche di tutte le organizzazioni senza scopo di lucro e minacciare di revocare, se necessario, il loro esonero fiscale equivale solo a esacerbare l’enorme squilibrio che esiste nella nostra società.  

Alliance Sud continuerà a fare tutto il possibile affinché la politica non resti solo una questione di soldi e di colore politico. La maggioranza popolare in favore dell’iniziativa per multinazionali responsabili, proprio un anno fa, ha chiaramente dimostrato che la popolazione desidera una Svizzera in cui la politica e l’economia non servano unicamente degli interessi nazionali e finanziari. Spesso, questi ultimi ostacolano anche una politica climatica appropriata. Per il nuovo anno il mio augurio è che noi prendiamo sul serio i sintomi della malattia del nostro pianeta, diamo la priorità agli esseri umani e all’ambiente e prendiamo finalmente dei provvedimenti risoluti.

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Opinione

Dopo Glasgow, la Svizzera deve accelerare!

06.12.2021, Giustizia climatica

La dichiarazione finale della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici non è la fine della strada: la crisi climatica si aggrava e il budget della Svizzera sta per finire. L'analisi di Stefan Salzmann, esperto di Azione Quaresimale.

Dopo Glasgow, la Svizzera deve accelerare!

La crisi climatica sta già minacciando l'esistenza degli stati insulari. Ecco perché il ministro degli Esteri di Tuvalu ha inviato un messaggio alla COP26 in un ambiente speciale: a Funafuti, proprio nell'Oceano Pacifico.
© EyePress via AFP

Grandine e pioggia durante l’estate in Svizzera, caldo in Canada, incendi in Grecia e in Russia, siccità in Iran: il recente rapporto d’agosto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico ha attestato che l’allerta era rossa. Gli specialisti del clima affermano senza giri di parole che l’ampiezza del riscaldamento climatico antropico è senza precedenti da diversi secoli, o addirittura da millenni. La frequenza e l’intensità delle canicole e delle forti precipitazioni, come pure le aridità agricole ed ecologiche, aumenteranno e si assoceranno sempre più spesso. I cambiamenti già osservati attualmente si amplificheranno diventando irreversibili. Ogni decimo di grado in più della temperatura media mondiale fa la differenza, in particolare per le persone più povere e più vulnerabili del pianeta.

Confrontando gli obiettivi dell’accordo di Parigi alle promesse fatte, il rapporto d’ottobre del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) ha appurato che gli obiettivi presentati dai diversi Paesi portano il pianeta verso un riscaldamento di 2,7°C. E parallelamente, scrive ancora l’UNEP, mancano sempre delle risorse finanziarie sufficienti per le misure d’adattamento nei Paesi poveri: i bisogni sono fino a dieci volte superiori ai fondi che le nazioni industrializzate, all’origine della crisi, mettono a disposizione.

La volontà c’è, ma nessuno traccia la strada da seguire

Sotto questi auspici, gli organizzatori britannici della 26ª Conferenza mondiale sul clima hanno dimostrato tanta buona volontà. Durante la prima settimana d’incontri, sono state annunciate quasi quotidianamente delle nuove iniziative mondiali: l’iniziativa di transizione mondiale dal carbone verso l’energia pulita, l’iniziativa volta a frenare la deforestazione mondiale o ancora quella delle reti verdi (Green Grids Initiative), per non citarne che alcune. L'Agenzia internazionale dell’energia ha calcolato con una certa euforia che questi sforzi potrebbero portare a un riscaldamento planetario di solo 1,8 gradi, nella misura in cui tutte le promesse venissero mantenute. Ed è proprio qui che sta il problema: nessuna di queste iniziative è accompagnata da un piano d’attuazione. I Paesi che prendono questi impegni sono gli stessi che non sono riusciti a fornire il finanziamento climatico promesso nel 2009 per il 2020.  E se delle nazioni come il Brasile firmano l’iniziativa sulla deforestazione, ciò può apparire come un barlume di speranza, ma in termini di realpolitik, è più probabilmente una condanna a morte per questo piano ambizioso che, come tutti gli altri piani ambiziosi, lascia la sua attuazione alle misure politiche volontarie delle singole nazioni.

E la Svizzera?

Anche la Svizzera è sotto pressione: dopo che anche il piccolo passo della legge riveduta sul CO2 è stato giudicato troppo grande dalla maggioranza della popolazione nel giugno 2021, la delegazione guidata dall’Ufficio federale dell’ambiente s’è recata a Glasgow senza una base legale concreta. Anche qui, tutte le trattative sulla ricerca del finanziamento in ambito climatico si sono arenate. Per dei motivi a prima vista comprensibili: anche i Paesi emergenti ricchi devono implicarsi nel finanziamento del clima e non è accettabile che la Cina e Singapore si facciano passare per dei Paesi in via di sviluppo e non vogliano sborsare nulla. Ma quando si è una delle nazioni più ricche del mondo, addurre simili argomenti non serve a niente per coloro le cui basi d’esistenza dipendono da queste decisioni – come i più poveri e i più vulnerabili del pianeta. Per loro, i negoziati bloccati, poco importa da chi, sono sinonimo di disperazione, di sofferenze e di strategie di sopravvivenza precarie.

Perdite e danni

Sono in gioco le basi esistenziali di molte persone, e per qualcuno queste basi sono già ridotte all’osso. Nel gergo tecnico, le «perdite e i danni» designano i problemi irreversibili causati dal riscaldamento planetario: sono le conseguenze climatiche che oltrepassano la capacità d’adattamento dei Paesi, delle comunità e degli ecosistemi. Una casa persa da una famiglia a causa dell’innalzamento del livello del mare è inghiottita per sempre. Questi danni e perdite sono già una realtà oggi e cresceranno ulteriormente per ogni decimo di grado di temperatura in più. Per questo motivo la società civile ha fatto di questa questione una priorità assoluta a Glasgow.

Budget climatico della Svizzera: presto esaurito

La Svizzera fa parte dei Paesi più ricchi e storicamente ha emesso delle quantità considerevoli di gas a effetto serra. Proprio per questo motivo sarebbe opportuno che aiuti gli altri a riparare i danni già causati. In settembre, degli specialisti in etica sociale appartenenti a dieci istituzioni ecclesiastiche hanno discusso su un budget residuo di CO2 compatibile con la protezione del clima. Appoggiandosi su dati approvati scientificamente, hanno calcolato la parte di gigatonnellate di CO2 ancora disponibili a livello mondiale alla quale la Svizzera avrebbe diritto se intende avere un comportamento che sia rispettoso del clima. Hanno fatto ciò che i climatologi non possono fare: hanno ponderato e interpretato i calcoli dei modelli dal punto di vista morale. Ne è scaturito che la quantità residua di CO2, compatibile con la preservazione del clima, sarà esaurita nella primavera 2022. Un’ulteriore prova che la strategia del Consiglio federale, che mira a un tasso netto d’emissioni di gas a effetto serra nullo entro il 2050, non ha più nulla a che vedere con la giustizia.

E adesso?

È in occasioni come la Conferenza sul clima di Glasgow che la Svizzera ufficiale dovrebbe provare che la giustizia le sta a cuore. Uno dei modi più semplici per riuscirci è quello di mettere a disposizione di altri Paesi delle risorse finanziarie: dei fondi supplementari che alimentano il credito di sviluppo per le misure d’attenuazione e d’adattamento. E più capitali per indennizzare le perdite e i danni già occorsi. Le basi per tali mandati di negoziato sono state poste a livello nazionale durante la fase preparatoria. Lo stesso dicasi per gli obiettivi climatici nazionali, che devono essere più ambiziosi, anche in Svizzera, se si vuole ancora raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima. I dibattiti sul controprogetto indiretto all’iniziativa sui ghiacciai, nonché il rilancio della revisione della legge sul CO2 sono un’ultima possibilità, prima che sia troppo tardi: l’obiettivo dello zero netto entro il 2040 al più tardi, una traiettoria di riduzione lineare entro quella data e un abbandono coerente degli agenti energetici fossili sono tutti da considerare come imperativi.

Stefan Salzmann è copresidente dell’Alleanza climatica svizzera e incaricato del programma per la giustizia climatica presso Sacrificio Quaresimale.

Opinione

Risposte errate ai pericoli errati

02.03.2022, Giustizia climatica

I presidenti dei partiti dell'austerità PLR e UDC chiedono due miliardi di franchi supplementari per l’esercito. Soldi che sarebbero meglio spesi per finanziamenti urgenti a favore del clima.

Risposte errate ai pericoli errati
Nonostante la repressione e gli arresti, si sono tenute delle manifestazioni per la pace anche a San Pietroburgo (Russia).
© Greenpeace / Dmitry Sharomov

E improvvisamente il portafogli si apre: la Germania vuole sbloccare 100 miliardi di euro di “fondi speciali”, in particolare per gli armamenti, e in Svizzera i presidenti dei partiti dell’austerità PLR e UDC chiedono due miliardi di franchi supplementari per l’esercito. Le reazioni violente alla brutale aggressione dell’Ucraina sono comprensibili. È una catastrofe per la popolazione del Paese, che desiderava prosperità, pace e, nella sua maggioranza, democrazia. Al momento, è difficile dire cosa significa il ritorno delle guerre interstatali in Europa. 

Tuttavia la Russia di Putin non ha attaccato l’Ucraina perché l’Europa occidentale le è militarmente inferiore. Al contrario, i Paesi della NATO possiedono ovunque una superiorità a volte massiccia in materia di armi convenzionali - ad eccezione di alcune categorie di armi. Anche se dubitiamo della capacità di intervenire rapidamente in caso di attacco contro un Paese della NATO, non è certo per mancanza di armi. Nel 2020, la Russia ha speso 61,7 miliardi di dollari per gli armamenti. I quattro maggiori Paesi europei della NATO hanno speso globalmente tre volte tanto. Con l’annunciato aumento delle spese militari al 2% del PIL, la sola Germania supererà di gran lunga la Russia. 

Vladimir Putin non vuole integrare i Paesi dell’UE o della NATO, e nemmeno ripristinare l’Unione Sovietica; gli stati dell’Asia centrale, per esempio, gli sono indifferenti finché sono governati in modo autocratico. Ciò che gli interessa è una Russia storica immaginaria che vuole riunificare. Certo, un autocrate isolato è pericoloso, ma in questo caso non è certo perché vuole attaccare degli avversari che gli sono superiori in termini di armi convenzionali, ma perché ha le dita sul pulsante dei missili nucleari. Nessuna delle minacce reali alla democrazia, ai diritti umani, alla pace e all’integrità dell’Europa può essere compensata da un aumento della spesa per gli armamenti. 

Anche la neutralità climatica è una politica di sicurezza 

Per ragioni comprensibili, la pubblicazione del rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) su "Impatti, adattamento e vulnerabilità" lunedì 28 febbraio, è passata inosservata agli occhi dell’opinione pubblica. Nella sua sintesi, negoziata politicamente, si indica che da 3,3 a 3,6 miliardi di persone “vivono già in un ambiente altamente vulnerabile al cambiamento climatico”. E si nota che “se il riscaldamento globale aumenta, gli effetti degli eventi meteorologici e climatici estremi, specialmente le siccità, influenzeranno sempre più i conflitti violenti all’interno degli Stati a causa della loro maggiore vulnerabilità”. E anche in assenza di guerre climatiche, più persone si ammaleranno e moriranno prematuramente: “Il cambiamento climatico e i relativi eventi estremi porteranno a un aumento significativo di malattie e morti premature a breve e lungo termine”. 

I costi dell’adattamento al cambiamento climatico sono maggiori di quanto ipotizzato nell’ultimo rapporto dell’IPCC, il quale stima che saranno necessari 127 miliardi di dollari all'anno fino al 2030, e di più in seguito. I 100 miliardi di dollari di finanziamenti annuali per il clima promessi dai Paesi industrializzati per la prevenzione e l’adattamento entro il 2025 non saranno certamente sufficienti, per non parlare del fatto che questa somma non è mai stata raggiunta fino a oggi. In relazione alla sua impronta climatica globale, la Svizzera dovrebbe contribuire con 1 miliardo al raggiungimento di questo obiettivo; attualmente ne mette sul tavolo solo la metà, e questo denaro proviene in gran parte dal budget dell’aiuto allo sviluppo. 

Sì PLR e UDC, si deve aprire il portafogli, ma per un finanziamento del clima che corrisponda alla responsabilità della Svizzera e che garantisca la sua neutralità climatica. Nessuna spesa è più necessaria per la sicurezza della Svizzera di quella che consiste nello sviluppo immediato delle energie rinnovabili. Le centrali a gas per i casi di emergenza, i cui piani sono stati presentati proprio pochi giorni prima dello scoppio della guerra, assomigliano oggi a uno scherzo di pessimo gusto.  

Pubblicato il 11.04.22

su Il Corriere del Ticino

(Traduzione di Valeria Matasci)

Opinione

La soluzione non cresce nelle risaie

06.12.2022, Giustizia climatica

Il circo climatico sul continente africano ha ormai levato le sue tende. Un fondo per le perdite e i danni è finalmente diventato realtà. Non si sa però ancora come sarà organizzato e soprattutto come verrà alimentato.

La soluzione non cresce nelle risaie

© Dr. Stephan Barth / pixelio.de

Il bilancio complessivo della COP27 si può riassumere così: «È buona cosa averne parlato», ma adesso parliamo d’altro. All’inizio della conferenza internazionale sul clima, il «New York Times» ha bacchettato la Svizzera con un articolo che criticava le sue compensazioni all’estero. Un primo progetto condotto nell’ambito d’un accordo bilaterale sul clima tra il Ghana e la Svizzera è stato presentato cinque giorni più tardi. Per compensare le emissioni dell’amministrazione federale, i coltivatori di riso dell’Africa occidentale lavoreranno in modo più rispettoso del clima, riducendo le emissioni di metano. Questo progetto può certo sembrare sensato, ma non tiene in considerazione le sfide più importanti volte a ridurre i gas a effetto serra in Africa, dove 600 milioni di persone vivono senza energia elettrica e i due terzi della corrente sono prodotti oggi a partire da combustibili fossili. Un’elettrificazione decentralizzata, affidabile e senza CO2 è possibile; di conseguenza si dovrebbe utilizzare per tale scopo il denaro del «traffico di indulgenze» legato ai certificati di emissione.  

L’Organizzazione delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo ha attirato l’attenzione su una sfida ancor più seria: un quinto dei Paesi dell’Africa subsahariana dipende dalle esportazioni di petrolio. Anche altre nazioni potrebbero sfruttare i loro giacimenti fossili. La Repubblica democratica del Congo, ad esempio, sta mettendo all’asta nuove concessioni; ma finché gli Stati Uniti estrarranno del gas naturale e l’Australia del carbone, il Nord non può assolutamente predicare l’abbandono a questo Paese, che figura tra quelli più poveri.

Inoltre, sono necessarie somme colossali affinché gli attuali esportatori possano rinunciare alla loro principale fonte di reddito. Un motivo in più per utilizzare i rimanenti proventi petroliferi per questa transizione. Ma finora, la corruzione, le appropriazioni indebite e il malgoverno hanno portato allo sperpero di una gran parte di queste risorse. E qui la Svizzera ha la sua parte di responsabilità, come dimostrato da una sentenza a inizio novembre: alcuni impiegati di Glencore hanno attraversato tutta l’Africa in aereo, con valige piene di denaro contante per ottenere petrolio a basso costo.

È necessaria una regolamentazione del commercio delle materie prime per porre fine al coinvolgimento della Svizzera nella maledizione di queste ultime. La Berna federale potrebbe così mettere a disposizione dell’Africa molte risorse finanziarie in più che non acquistando certificati di emissione compensati con il riso.

Giustizia climatica

Giustizia climatica globale

La Svizzera è corresponsabile della crisi climatica mondiale e deve quindi dare il proprio contributo alla giustizia climatica globale. Questo perché nei Paesi più poveri le persone soffrono maggiormente del cambiamento climatico, pur essendo coloro che vi hanno contribuito in minor misura.

Di cosa si tratta >

© Ryan Brown / UN Women

Politica climatica internazionale

Sundarbans National Park, West Bengal, India

Finanziamento climatico

dsleeter_2000

Compensazione climatica all'estero

© Associazione svizzera per la protezione del clima

Politica climatica svizzera

Di cosa si tratta

Canicola, siccità, inondazioni e cicloni: le conseguenze della crisi climatica mettono in pericolo la vita di sempre più persone nel Sud globale. A differenza della Svizzera, i Paesi più poveri non hanno corresponsabilità nella crisi climatica, eppure la loro popolazione ne soffre in maggior misura.

Finora la Svizzera non ha raggiunto gli obiettivi previsti: le sue emissioni di gas serra pro capite sono ancora troppo alte. La sua responsabilità non riguarda però solo il mercato interno: i due terzi dell’impronta ecologica svizzera riguardano l’importazione di merci. La piazza finanziaria elvetica e il commercio di materie prime hanno un ruolo ancor più importante.

Alliance Sud s’impegna affinché la Svizzera ottemperi alla sua responsabilità nella protezione globale del clima. Entro il 2040, essa deve diventare climaticamente neutrale, azzerando il bilancio interno delle sue emissioni e riducendo le sue emissioni legate ai consumi all’estero. Come Stato corresponsabile dell’inquinamento atmosferico, la Svizzera deve pagare la sua giusta quota dei costi sostenuti dal Sud globale per limitare le emissioni, per adattarsi al cambiamento climatico e per compensare i danni e le perdite dovuti alla crisi climatica.

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