Opinione

Risposte errate ai pericoli errati

02.03.2022, Giustizia climatica

I presidenti dei partiti dell'austerità PLR e UDC chiedono due miliardi di franchi supplementari per l’esercito. Soldi che sarebbero meglio spesi per finanziamenti urgenti a favore del clima.

Risposte errate ai pericoli errati
Nonostante la repressione e gli arresti, si sono tenute delle manifestazioni per la pace anche a San Pietroburgo (Russia).
© Greenpeace / Dmitry Sharomov

E improvvisamente il portafogli si apre: la Germania vuole sbloccare 100 miliardi di euro di “fondi speciali”, in particolare per gli armamenti, e in Svizzera i presidenti dei partiti dell’austerità PLR e UDC chiedono due miliardi di franchi supplementari per l’esercito. Le reazioni violente alla brutale aggressione dell’Ucraina sono comprensibili. È una catastrofe per la popolazione del Paese, che desiderava prosperità, pace e, nella sua maggioranza, democrazia. Al momento, è difficile dire cosa significa il ritorno delle guerre interstatali in Europa. 

Tuttavia la Russia di Putin non ha attaccato l’Ucraina perché l’Europa occidentale le è militarmente inferiore. Al contrario, i Paesi della NATO possiedono ovunque una superiorità a volte massiccia in materia di armi convenzionali - ad eccezione di alcune categorie di armi. Anche se dubitiamo della capacità di intervenire rapidamente in caso di attacco contro un Paese della NATO, non è certo per mancanza di armi. Nel 2020, la Russia ha speso 61,7 miliardi di dollari per gli armamenti. I quattro maggiori Paesi europei della NATO hanno speso globalmente tre volte tanto. Con l’annunciato aumento delle spese militari al 2% del PIL, la sola Germania supererà di gran lunga la Russia. 

Vladimir Putin non vuole integrare i Paesi dell’UE o della NATO, e nemmeno ripristinare l’Unione Sovietica; gli stati dell’Asia centrale, per esempio, gli sono indifferenti finché sono governati in modo autocratico. Ciò che gli interessa è una Russia storica immaginaria che vuole riunificare. Certo, un autocrate isolato è pericoloso, ma in questo caso non è certo perché vuole attaccare degli avversari che gli sono superiori in termini di armi convenzionali, ma perché ha le dita sul pulsante dei missili nucleari. Nessuna delle minacce reali alla democrazia, ai diritti umani, alla pace e all’integrità dell’Europa può essere compensata da un aumento della spesa per gli armamenti. 

Anche la neutralità climatica è una politica di sicurezza 

Per ragioni comprensibili, la pubblicazione del rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) su "Impatti, adattamento e vulnerabilità" lunedì 28 febbraio, è passata inosservata agli occhi dell’opinione pubblica. Nella sua sintesi, negoziata politicamente, si indica che da 3,3 a 3,6 miliardi di persone “vivono già in un ambiente altamente vulnerabile al cambiamento climatico”. E si nota che “se il riscaldamento globale aumenta, gli effetti degli eventi meteorologici e climatici estremi, specialmente le siccità, influenzeranno sempre più i conflitti violenti all’interno degli Stati a causa della loro maggiore vulnerabilità”. E anche in assenza di guerre climatiche, più persone si ammaleranno e moriranno prematuramente: “Il cambiamento climatico e i relativi eventi estremi porteranno a un aumento significativo di malattie e morti premature a breve e lungo termine”. 

I costi dell’adattamento al cambiamento climatico sono maggiori di quanto ipotizzato nell’ultimo rapporto dell’IPCC, il quale stima che saranno necessari 127 miliardi di dollari all'anno fino al 2030, e di più in seguito. I 100 miliardi di dollari di finanziamenti annuali per il clima promessi dai Paesi industrializzati per la prevenzione e l’adattamento entro il 2025 non saranno certamente sufficienti, per non parlare del fatto che questa somma non è mai stata raggiunta fino a oggi. In relazione alla sua impronta climatica globale, la Svizzera dovrebbe contribuire con 1 miliardo al raggiungimento di questo obiettivo; attualmente ne mette sul tavolo solo la metà, e questo denaro proviene in gran parte dal budget dell’aiuto allo sviluppo. 

Sì PLR e UDC, si deve aprire il portafogli, ma per un finanziamento del clima che corrisponda alla responsabilità della Svizzera e che garantisca la sua neutralità climatica. Nessuna spesa è più necessaria per la sicurezza della Svizzera di quella che consiste nello sviluppo immediato delle energie rinnovabili. Le centrali a gas per i casi di emergenza, i cui piani sono stati presentati proprio pochi giorni prima dello scoppio della guerra, assomigliano oggi a uno scherzo di pessimo gusto.  

Pubblicato il 11.04.22

su Il Corriere del Ticino

(Traduzione di Valeria Matasci)

Opinione

La soluzione non cresce nelle risaie

06.12.2022, Giustizia climatica

Il circo climatico sul continente africano ha ormai levato le sue tende. Un fondo per le perdite e i danni è finalmente diventato realtà. Non si sa però ancora come sarà organizzato e soprattutto come verrà alimentato.

La soluzione non cresce nelle risaie

© Dr. Stephan Barth / pixelio.de

Il bilancio complessivo della COP27 si può riassumere così: «È buona cosa averne parlato», ma adesso parliamo d’altro. All’inizio della conferenza internazionale sul clima, il «New York Times» ha bacchettato la Svizzera con un articolo che criticava le sue compensazioni all’estero. Un primo progetto condotto nell’ambito d’un accordo bilaterale sul clima tra il Ghana e la Svizzera è stato presentato cinque giorni più tardi. Per compensare le emissioni dell’amministrazione federale, i coltivatori di riso dell’Africa occidentale lavoreranno in modo più rispettoso del clima, riducendo le emissioni di metano. Questo progetto può certo sembrare sensato, ma non tiene in considerazione le sfide più importanti volte a ridurre i gas a effetto serra in Africa, dove 600 milioni di persone vivono senza energia elettrica e i due terzi della corrente sono prodotti oggi a partire da combustibili fossili. Un’elettrificazione decentralizzata, affidabile e senza CO2 è possibile; di conseguenza si dovrebbe utilizzare per tale scopo il denaro del «traffico di indulgenze» legato ai certificati di emissione.  

L’Organizzazione delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo ha attirato l’attenzione su una sfida ancor più seria: un quinto dei Paesi dell’Africa subsahariana dipende dalle esportazioni di petrolio. Anche altre nazioni potrebbero sfruttare i loro giacimenti fossili. La Repubblica democratica del Congo, ad esempio, sta mettendo all’asta nuove concessioni; ma finché gli Stati Uniti estrarranno del gas naturale e l’Australia del carbone, il Nord non può assolutamente predicare l’abbandono a questo Paese, che figura tra quelli più poveri.

Inoltre, sono necessarie somme colossali affinché gli attuali esportatori possano rinunciare alla loro principale fonte di reddito. Un motivo in più per utilizzare i rimanenti proventi petroliferi per questa transizione. Ma finora, la corruzione, le appropriazioni indebite e il malgoverno hanno portato allo sperpero di una gran parte di queste risorse. E qui la Svizzera ha la sua parte di responsabilità, come dimostrato da una sentenza a inizio novembre: alcuni impiegati di Glencore hanno attraversato tutta l’Africa in aereo, con valige piene di denaro contante per ottenere petrolio a basso costo.

È necessaria una regolamentazione del commercio delle materie prime per porre fine al coinvolgimento della Svizzera nella maledizione di queste ultime. La Berna federale potrebbe così mettere a disposizione dell’Africa molte risorse finanziarie in più che non acquistando certificati di emissione compensati con il riso.

Giustizia climatica

Giustizia climatica globale

La Svizzera è corresponsabile della crisi climatica mondiale e deve quindi dare il proprio contributo alla giustizia climatica globale. Questo perché nei Paesi più poveri le persone soffrono maggiormente del cambiamento climatico, pur essendo coloro che vi hanno contribuito in minor misura.

Di cosa si tratta >

© Ryan Brown / UN Women

Politica climatica internazionale

Sundarbans National Park, West Bengal, India

Finanziamento climatico

dsleeter_2000

Compensazione climatica all'estero

© Associazione svizzera per la protezione del clima

Politica climatica svizzera

Di cosa si tratta

Canicola, siccità, inondazioni e cicloni: le conseguenze della crisi climatica mettono in pericolo la vita di sempre più persone nel Sud globale. A differenza della Svizzera, i Paesi più poveri non hanno corresponsabilità nella crisi climatica, eppure la loro popolazione ne soffre in maggior misura.

Finora la Svizzera non ha raggiunto gli obiettivi previsti: le sue emissioni di gas serra pro capite sono ancora troppo alte. La sua responsabilità non riguarda però solo il mercato interno: i due terzi dell’impronta ecologica svizzera riguardano l’importazione di merci. La piazza finanziaria elvetica e il commercio di materie prime hanno un ruolo ancor più importante.

Alliance Sud s’impegna affinché la Svizzera ottemperi alla sua responsabilità nella protezione globale del clima. Entro il 2040, essa deve diventare climaticamente neutrale, azzerando il bilancio interno delle sue emissioni e riducendo le sue emissioni legate ai consumi all’estero. Come Stato corresponsabile dell’inquinamento atmosferico, la Svizzera deve pagare la sua giusta quota dei costi sostenuti dal Sud globale per limitare le emissioni, per adattarsi al cambiamento climatico e per compensare i danni e le perdite dovuti alla crisi climatica.

Publikationstyp