Fiscalità internazionale

Il Sud all’offensiva

13.06.2024, Finanza e fiscalità

All’ONU è stato dato il via ai negoziati preparatori della convenzione quadro sulla cooperazione internazionale in materia fiscale. L’esperto di politica fiscale di Alliance Sud è rimasto impressionato dal potere negoziale dei Paesi africani.

 

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

Il Sud all’offensiva

© UN Photo / Manuel Elías

L’ONU non è certo la migliore agenzia di pubbliche relazioni per sé stessa, soprattutto quando si tratta di politica fiscale. Così, a fine aprile, l’opinione pubblica mondiale non si è nemmeno quasi accorta che stava accadendo qualcosa di storico tra le mura della sede delle Nazioni Unite sull’East River a New York: per la prima volta nella storia, i governi dei 196 Stati membri delle Nazioni Unite si sono riuniti per negoziare la concezione futura della convenzione quadro dell’ONU sulla cooperazione fiscale, decisa dall’Assemblea Generale lo scorso dicembre. A trainare il processo è soprattutto il gruppo di Stati africani all’ONU, il cosiddetto “Gruppo Africa”. Mai come negli ultimi sei mesi i Paesi del Sud globale (G77) erano riusciti a portare avanti le loro esigenze in materia di politica fiscale all’ONU.

Entro agosto l’obiettivo è definire l’organizzazione e il contenuto a grandi linee della convenzione fiscale, cioè negoziare i cosiddetti “terms of reference”. Se l’Assemblea Generale li approverà a settembre, si potrà passare alla redazione della convenzione stessa e dei contenuti nel dettaglio. Su questa base potranno essere elaborate riforme fiscali giuridicamente vincolanti, che dovranno essere attuate dagli Stati membri. I Paesi del Sud globale e il movimento globale per la giustizia fiscale hanno quindi un’opportunità unica di porre fine al dominio dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nella politica fiscale internazionale e di rendere l’ONU l’attore centrale, creando così le condizioni organizzative per una politica fiscale multilaterale più equa.

Il dilemma del Nord

Tentativi simili di porre fine al dominio fiscale dei paesi ricchi del Nord se ne sono verificati a più riprese negli ultimi 60 anni. Tuttavia, oggi le chances di riuscita sono più alte che mai, per due motivi:

1.    Con le sue riforme sulla tassazione delle società multinazionali, l’OCSE ha deluso. All’inizio del processo negoziale relativo a BEPS 2.0 (Base Erosion and Profit Shifting) nel gennaio del 2019, che in definitiva ha portato all’imposizione minima nell’autunno del 2022, l’obiettivo dichiarato era ancora quello di prevenire l’evasione fiscale da parte delle multinazionali nel commercio transfrontaliero, distribuire in modo più equo il gettito dell’imposta sull’utile in tutto il mondo e fermare la concorrenza fiscale tra i Paesi, che spinge sempre più al ribasso le imposte sulle imprese. Dopo cinque anni di negoziati l’OCSE non è riuscita a presentare altro che questa versione dell’imposizione minima, il cui gettito aggiuntivo confluisce proprio nelle aree a bassa tassazione per le imprese del Nord e non dove vengono realizzati gli utili. Nel Sud globale c'è grande frustrazione per questo risultato. Ora si intendono risolvere le ingiustizie dell’attuale sistema fiscale internazionale al di là della tassazione delle imprese nell’ambito delle Nazioni Unite.

2.    Gli sviluppi politici mondiali degli ultimi anni e le nuove esperienze di marginalizzazione a livello multilaterale che ne derivano hanno unito i Paesi africani in termini di politica fiscale. Si pensi alla discriminazione dell’accesso ai vaccini durante la pandemia di coronavirus, al rifiuto degli Stati creditori del Nord di adottare misure efficaci contro la crisi del debito sovrano nel Sud globale o ancora all’apatia della comunità internazionale quando urgeva combattere la crisi alimentare in numerosi Stati africani, innescata dalla guerra in Ucraina e dalla crisi di sicurezza delle navi cargo sulle vie marittime. Questa nuova unità africana dà nuovo peso agli interessi di politica fiscale del continente in seno alle Nazioni Unite. Le nazioni africane hanno mostrato un potere che non si vedeva da tempo nella politica economica globale.

Ad aprile, la cerchia rappresentante il Sud globale si è dimostrata altrettanto sicura di sé nei negoziati e ha avanzato sistematicamente richieste fondate. Tali richieste nell’ambito della politica fiscale internazionale spaziano da vari aspetti della tassazione delle imprese, alla lotta ai flussi finanziari sleali, all’imposizione dell’economia digitale, a tasse ambientali e climatiche, alla tassazione dei patrimoni elevati, a questioni relative allo scambio di informazioni nonché alla trasparenza fiscale e agli incentivi fiscali. Dall’inizio di giugno è consultabile la prima bozza scritta per la struttura di base della convenzione (terms of reference). Il documento tiene conto delle richieste del G77 in quasi tutti i punti e costituisce la base per il prossimo ciclo di negoziati.

La Svizzera segue senza particolari ambizioni

L’offensiva del Sud mette i Paesi OCSE in una posizione difficile: da un lato, vogliono trasferire all’ONU il minor numero possibile di questioni precedentemente negoziate all’interno dell’OCSE e dei forum correlati, perché essi stessi sono tra i beneficiari delle riforme decise finora. Lo si sa: questo vale anche per la Svizzera. Nel frattempo, si limita a seguire i Paesi dell’OCSE nel processo delle Nazioni Unite, senza particolari ambizioni. All’inizio del processo, la Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali (SIF) sperava di non dover nemmeno partecipare ai negoziati, perché considerava il processo una farsa. Evidentemente, si è trattato di un errore di valutazione. Se il gruppo dell’OCSE tenta di ostacolare il processo ONU aggrappandosi all’OCSE come forum autorevole in termini di questioni fiscali globali, offende ancora una volta i Paesi del Sud a livello multilaterale. Alla luce degli attuali grandi conflitti geopolitici con la Russia e la Cina, “l’Occidente” non può più permetterselo. Dopo tutto, a nessuno conviene che l’Africa, il continente più grande, vada a spasso nel campo geopolitico della Russia e della Cina.

Nei negoziati fiscali dell’ONU, i Paesi dell’OCSE si nascondono dietro la loro presunta panacea chiamata “capacity building”. In altre parole, sostengono volentieri le autorità fiscali del Sud globale con più know-how e fondi, al fine di catturare gli evasori fiscali. Everlyn Muendo del Tax Justice Network Africa (TJNA) nella sala conferenze 3 (a differenza dell’OCSE, nella sala dei negoziati dell’ONU la società civile è presente e può intervenire) ha dato una risposta appropriata a questa domanda: «We cannot capacity build our way out of the imbalance of taxing rights between developed and developing countries and out of unfair international tax systems».

Non è la mancanza di know-how e di capacità tecniche a costare al Sud globale il gettito fiscale, ma il sistema fiscale internazionale stesso e l’iniqua ripartizione dei diritti fiscali tra Nord e Sud che è inscritta in questo sistema. Nel prossimo futuro, il Gruppo Africa e i suoi alleati non si accontenteranno di un risultato negoziale che non offra la prospettiva di cambiamenti fondamentali del sistema fiscale internazionale. Il prossimo ciclo di negoziati si terrà a New York nei mesi di luglio e agosto.

 

 

L'esperto Dominik Gross durante le trattative a New York:

Global Logo

global

La rivista periodica di Alliance Sud viene pubblicata quattro volte all’anno (in tedesco e francese) ed è possibile abbonarsi gratuitamente. In «global» trovate analisi e commenti riguardanti la politica estera e di sviluppo del nostro Paese.

Global, Opinione

La fiaba del freno all'indebitamento: Tremotino al governo?

05.04.2024, Cooperazione internazionale, Finanza e fiscalità

La Confederazione deve davvero risparmiare? Urge un ripensamento, poiché il tasso d’indebitamento è il miglior amico della cooperazione internazionale. Grazie ad esso, la Svizzera può facilmente permettersi di contabilizzare i costi degli aiuti all’Ucraina come spese straordinarie, salvando così la cooperazione allo sviluppo nei Paesi del Sud globale.

La fiaba del freno all'indebitamento: Tremotino al governo?

Andreas Missbach, Direttore di Alliance Sud  / © Daniel Rihs

 

A lezione di storia s’impara che i progressi scientifici figurano nelle note a piè di pagina. Recentemente ho avuto il piacere di constatare che questo vale anche per la Berna federale. In una nota a piè di pagina del piano finanziario di legislatura, l’Amministrazione federale delle finanze sottolinea la discrepanza tra lo standard internazionale sulla sostenibilità del debito e la prassi svizzera.

In franchi, nonostante la pandemia, nel 2022 il debito era inferiore rispetto al periodo 2002-2008, quando la Svizzera non era affatto in crisi. In ogni caso, non è il debito assoluto a essere decisivo, ma il suo rapporto rispetto al prodotto interno lordo. Quanto è elevato dunque questo tasso? Diamo un’occhiata all’ultima edizione delle cosiddette Basi della gestione finanziaria della Confederazione, una pubblicazione dell’Amministrazione federale delle finanze destinata alle e ai parlamentari. Nel 2022 il tasso d’indebitamento, secondo la definizione dell’UE, era del 26,2% e il tasso d’indebitamento netto, calcolato secondo il metodo del Fondo Monetario Internazionale (FMI), del 15,3%. Tuttavia, secondo il piano finanziario di legislatura (pubblicato un mese dopo le Basi citate), il tasso d’indebitamento netto era pari al 18,1%. Evidentemente non sono solo il Dipartimento della Difesa e il capo dell’esercito ad avere problemi con le cifre.

La ministra delle finanze Karin Keller-Sutter ha dichiarato alla NZZ che il freno all’indebitamento è il suo migliore amico. A noi invece sembra che il freno all’indebitamento sia più simile a Tremotino, che nella fiaba dei fratelli Grimm canzona beffardo: «Nessuno lo sa, nessuno lo sa...». Tuttavia – e questa frase non si potrà mai ripetere abbastanza – indipendentemente dal modo in cui si misura il tasso d’indebitamento della Svizzera, bisogna riconoscere che è ancora ridicolmente basso rispetto agli standard internazionali.

I benefici di un basso indebitamento compensano i suoi costi? È ciò che si chiede Marius Brülhart, professore di economia politica all’Università di Losanna. Poiché ridurre il debito non è gratis. Come sottolinea il professore, ogni franco utilizzato per rimborsare il debito pubblico è un franco che non è disponibile per altri servizi pubblici. E lo scrive sulla rivista di politica economica della SECO. Anche il presidente del Centro Gerhard Pfister ha capito il messaggio, propugnando un finanziamento straordinario per i costi legati all’Ucraina (rifugiati e ricostruzione).

C’è quindi un barlume di speranza all’orizzonte? Urge un ripensamento, poiché il tasso d’indebitamento è il miglior amico della cooperazione internazionale. Grazie ad esso, la Svizzera può facilmente permettersi di contabilizzare i costi degli aiuti all’Ucraina come spese straordinarie, salvando così la cooperazione allo sviluppo nei Paesi del Sud globale.

 

Pubblicato sul Corriere del Ticino il 3 aprile 2024

Global Logo

global

La rivista periodica di Alliance Sud viene pubblicata quattro volte all’anno (in tedesco e francese) ed è possibile abbonarsi gratuitamente. In «global» trovate analisi e commenti riguardanti la politica estera e di sviluppo del nostro Paese.

Comunicato stampa

Le banche svizzere devono annullare i debiti

03.06.2020, Finanza e fiscalità

La crisi del coronavirus ha fatto precipitare molti Paesi in via di sviluppo in situazioni d'emergenza eccezionali. Le banche svizzere devono assumersi le proprie responsabilità in quanto principali creditori di questi paesi e annullare i debiti.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

+41 31 390 93 35 dominik.gross@alliancesud.ch
Le banche svizzere devono annullare i debiti

© Pixabay

Medienmitteilung

Europäische Steuertransparenz als Trugbild

02.06.2021, Finanza e fiscalità

EU-Staaten und EU-Parlament haben sich gestern auf die Einführung eines Public Country-by-Country-Reporting (pCbCR) geeinigt. Innerhalb der EU-Länder werden Gewinnverschiebungen für multinationale Konzerne nun riskanter. Umso wichtiger, dass sich nun auch der Steuerfluchthafen Schweiz zu mehr Transparenz verpflichtet.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

+41 31 390 93 35 dominik.gross@alliancesud.ch
Europäische Steuertransparenz als Trugbild

© Rainer Sturm / pixelio.de

Comunicato stampa

Una riforma fiscale fatta dai ricchi per i ricchi

02.07.2021, Finanza e fiscalità

L'OCSE ha annunciato ieri che 130 Paesi del cosiddetto “Inclusive Framework” hanno concordato una riforma della tassazione internazionale delle grandi imprese multinazionali. Ciò che suona bene beneficerà solo i ricchi.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

+41 31 390 93 35 dominik.gross@alliancesud.ch
Una riforma fiscale fatta dai ricchi per i ricchi

Comunicato stampa

Record per il denaro sporco dei paesi in sviluppo

29.01.2024, Finanza e fiscalità

A causa di flussi finanziari illeciti, ogni anno si producono buchi miliardari nei budget dei paesi in sviluppo. Responsabili sono gli evasori fiscali e i potentati corrotti che investono il loro denaro in paradisi fiscali.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

+41 31 390 93 35 dominik.gross@alliancesud.ch
Record per il denaro sporco dei paesi in sviluppo

© Bernd Kasper/pixelio.de

Comunicato stampa

La Svizzera resta il nr. 1 dei paradisi fiscali

29.10.2015, Finanza e fiscalità

Secondo la nuova classifica del Financial Secrecy Index, la piazza finanziaria svizzera continua ad essere in testa nel nascondere i soldi dell’evasione fiscale e nel dissimulare i flussi finanziari illeciti.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

+41 31 390 93 35 dominik.gross@alliancesud.ch
La Svizzera resta il nr. 1 dei paradisi fiscali

Comunicato stampa

Riforma del sistema fiscale per le società

03.06.2015, Finanza e fiscalità

La Commissione indipendente per la riforma della tassazione societaria internazionale (ICRICT) chiede una riforma del sistema fiscale internazionale applicabile alle società. (in francese)

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

+41 31 390 93 35 dominik.gross@alliancesud.ch
Riforma del sistema fiscale per le società

Premio nobel Joseph Stieglitz, membro della ICRICT
© Creative commons

Comunicato stampa

La tanto decantata “rivoluzione fiscale” è assente

08.10.2021, Finanza e fiscalità

Finalmente qualcosa di concreto dall'OCSE: i rappresentanti dei 140 Paesi che partecipano alle negoziazioni si riuniscono oggi per decidere sull'attuazione concreta della nuova tassazione minima dei gruppi di imprese sulle modalità per una più equa distribuzione di una piccola parte degli esorbitanti profitti dei gruppi digitali. È già chiaro che i risultati saranno deludenti dal punto di vista della politica di sviluppo. E che il paradiso fiscale svizzero se la caverà con poco.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

+41 31 390 93 35 dominik.gross@alliancesud.ch
La tanto decantata “rivoluzione fiscale” è assente

© Harry Hautumm / pixelio.de

Questa riforma (nota come BEPS 2.0, “Base Erosion and Profit Shifting”, o erosione della base d’imposizione e trasferimento dei profitti), riguarda da una parte la ridistribuzione degli utili dei gruppi di imprese dai Paesi sede ai Paesi mercato dei gruppi (pilastro 1) e dall’altro l'introduzione di una tassa minima transnazionale effettiva per le grandi imprese multinazionali (pilastro 2). Malgrado questi approcci promettenti, la tanto decantata “rivoluzione fiscale” è assente.

“La riforma BEPS 2.0 lascia molto a desiderare per due ragioni principali”, dice Dominik Gross, esperto di politica fiscale internazionale presso Alliance Sud. “In primo luogo, l’insieme dell'industria estrattiva e il settore finanziario sono esclusi dal primo pilastro e solo una minima parte dei profitti è ridistribuita. In secondo luogo, l'aliquota minima del 15% prevista nel secondo pilastro è ben troppo bassa”. I Paesi che ospitano la sede legale di molti gruppi multinazionali, come la Svizzera, possono decidere autonomamente se vogliono introdurre la nuova tassa minima; al contrario, il Sud è ancora una volta lasciato nel dimenticatoio. I Paesi dell'Africa, dell'America Latina e altri Paesi in via di sviluppo hanno generalmente aliquote fiscali del 25 o del 30%. Per i gruppi di imprese specializzati in materie prime, in particolare, vale quindi ancora la pena di trasferire i loro profitti nella sede legale svizzera.

Secondo un calcolo degli economisti Petr Janský e Miroslav Palanský (2019), i Paesi a basso e medio reddito perdono 30 miliardi di dollari di entrate fiscali ogni anno a causa del trasferimento dei profitti da parte delle multinazionali. Al contrario, secondo un gruppo di economisti guidati dall'esperto fiscale Gabriel Zucman, la Svizzera ricava il 38% delle sue entrate fiscali totali dal trasferimento di profitti da altri Paesi, cioè più di 100 miliardi di dollari all'anno. Il nostro Paese non dovrà rinunciare a questa manna.

Dominik Gross conclude: “Chiunque in Svizzera si impegni in favore di una politica fiscale più equa a livello mondiale e per un cambiamento di paradigma nei territori locali a bassa imposizione fiscale non può affidarsi all'OCSE per una soluzione esterna dei problemi. È necessario fare affidamento sulle forze progressiste della politica svizzera”. Queste ultime possono sostenere l'introduzione di una pubblicazione delle dichiarazioni Paese per Paese (“Country-by-Country Reportings”, CbCR), che migliorerebbe la trasparenza fiscale dei gruppi di multinazionali in Svizzera. Inoltre, le forze progressiste dovrebbero esigere che il Consiglio federale sostenga un rafforzamento del ruolo dell'ONU sulla scena internazionale. È l'unico modo per garantire che i Paesi del Sud possano far valere i loro interessi su un piano di parità nel futuro sviluppo di un sistema fiscale internazionale più equo.

Per maggiori informazioni: 
Dominik Gross, Esperto di politica fiscale internazionale presso Alliance Sud, tel. +41 78 838 40 79

Articolo

I turisti del vertice di Roma

03.11.2021, Finanza e fiscalità

La nuova aliquota fiscale minima globale dell’OCSE e del G20 distribuisce la ricchezza secondo la tradizione del mondo (post)coloniale: favorisce il Nord esacerbando le disuguaglianze planetarie.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

I turisti del vertice di Roma

L'acqua della Fontana di Trevi con le sue molte monete.
© Wolfgang Dirscherl / pixelio.de

I capi di governo dei Paesi del G20 hanno concluso il loro incontro lanciando monete nella Fontana di Trevi, un rito che quasi tutti i turisti che scoprono la Città Eterna compiono. E visti i risultati del vertice in termini di politica climatica e fiscale, oltre che di pandemia, si era tentati di credere che le persone più potenti del mondo non fossero fondamentalmente altro che turisti: persone poco desiderose di plasmare attivamente il mondo, ma mosse dall’ambizione di essere favorite qualora si tenti di arricchirsi a sue spese. Monete nella fontana allora!

“Why don’t you come on back to the war, don’t be a tourist”, dice una canzone di Leonard Cohen. Nel caso del vertice del G20 di Roma, la “guerra” - al di là della pandemia - sarebbe stata la lotta contro la crisi climatica e l'iniquo sistema di tassazione globale dei gruppi di imprese multinazionali. Poco prima della Conferenza sul clima di Glasgow iniziata questa settimana (COP26), il vertice sarebbe stato un'ottima occasione per iniziare a riflettere assieme, anche ai più alti livelli politici, a queste tre grandi sfide politiche globali contemporanee – ma ne eravamo ben lontani!

Riforma inutile della fiscalità delle imprese da parte dell'OCSE e del G20

Negoziata da più di 120 Paesi nel quadro dell'OCSE in assenza di molti Paesi africani, la riforma della fiscalità delle imprese, ormai approvata a Roma dai Paesi del G20 nei suoi punti essenziali, dimostra in modo esemplare che quello che viene celebrato come un “accordo storico” dal presidente americano Biden o dal cancelliere tedesco designato Scholz, e che viene presentato acriticamente come una “rivoluzione fiscale globale” da molti media - anche svizzeri - non è obiettivamente più di un'increspatura sull’acqua provocata dal lancio di  una moneta.

In realtà, si tratta, da un lato della redistribuzione dei profitti dei gruppi aziendali dai Paesi sede ai Paesi mercato (pilastro 1) e, dall’altro,  dell'introduzione di una tassa minima effettiva per le multinazionali (pilastro 2). La riforma BEPS 2.0 (“Base Erosion and Profit Shifting”, o erosione della base d’imposizione e trasferimento dei profitti) lascia molto a desiderare dal punto di vista della politica di sviluppo per due ragioni principali.

In primo luogo, l'intera industria estrattiva e il settore finanziario sono esclusi dal primo pilastro per ragioni tecniche. I Paesi poveri del Sud, che sono fortemente dipendenti dalle industrie estrattive, non avranno quindi diritti aggiuntivi per tassare i profitti di queste industrie. Inoltre, il primo pilastro ridistribuisce solo una piccolissima parte dei profitti, e solo nelle aziende con un fatturato annuo di 20 miliardi di dollari e un tasso di profitto superiore al 10%. A livello mondiale, solo un centinaio di aziende sono interessate; in Svizzera con ogni probabilità riguarda soltanto i giganti Novartis, Roche, Nestlé e Schindler. I principali beneficiari di questa ridistribuzione saranno i Paesi ricchi dotati di grandi mercati interni come gli Stati Uniti o la Germania.

In secondo luogo, l'aliquota fiscale minima del 15% prevista nel secondo pilastro è troppo bassa e può essere applicata unicamente dal Paese in cui ha sede la società interessata. E di nuovo solo a condizione che l'azienda abbia un fatturato annuo superiore a 750 milioni di euro.

I Paesi in via di sviluppo sono rimasti al palo

Secondo un calcolo degli economisti Petr Janský e Miroslav Palanský (2019), i Paesi a reddito medio-basso (“lower-middle-income countries”; che si trovano senza eccezione nell'emisfero Sud), perdono circa 30 miliardi di dollari di entrate fiscali all'anno a causa del trasferimento dei profitti delle multinazionali del Nord. Questi importi esorbitanti per i Paesi poveri sono di estrema importanza in termini di politica climatica: corrispondono a sei volte (e saranno ancora meno nella realtà) le risorse finanziarie promesse dalla comunità internazionale nel quadro del Fondo verde per il clima (GCF) per l'adattamento al cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo dal 2020 al 2023. E il GCF non include nemmeno i finanziamenti delle perdite e dei danni (“Loss&Damage”), cioè i risarcimenti per perdite e danni (ad esempio, terreni, infrastrutture o biodiversità) già causati dalla crisi climatica, in particolare dalle tempeste. Analogamente, per colmare questo deficit di finanziamento, una migliore mobilitazione delle risorse finanziarie nazionali (“domestic revenue mobilization”) è indispensabile per i Paesi in via di sviluppo.

Oggi, la fiscalità internazionale delle imprese va in senso del tutto opposto rispetto a tale obiettivo. La recente riforma fiscale non cambierà nulla. Lo dimostrano i casi di evasione fiscale resi pubblici di recente riguardanti imprese come Socfin (commercio di olio di palma e  di gomma), Glencore (petrolio, rame, carbone e altre materie prime) e Nestlé (prodotti alimentari), in cui il nostro Paese a bassa tassazione gioca sistematicamente un ruolo centrale. Mentre lo studio pubblicato in ottobre da Pain pour le prochain (Pane per tutti), Netzwerk Steuergerechtigkeit Deutschland (Rete tedesca per la giustizia fiscale) e Alliance Sud rivela che Socfin paga la maggior parte delle sue tasse a Friburgo, in Svizzera (anche se una parte importante delle sue attività si svolge nelle piantagioni in Sierra Leone, Liberia e Cambogia e il valore aggiunto è quindi generato anche in questi Paesi), l'esempio di Nestlé in Marocco sottolinea la necessità urgente di un’amministrazione fiscale nazionale forte: a causa di calcoli poco chiari sui prezzi di trasferimento, l'azienda tradizionalmente considerata svizzera rischia di dover pagare tasse arretrate record di 110 milioni di dollari. Questo non sarebbe stato possibile senza il controllo minuzioso delle autorità fiscali - ma sono proprio queste risorse che mancano a molti Paesi in via di sviluppo.

Rimane da sperare che nelle prossime due settimane i protagonisti chiave della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici a Glasgow non siano troppo influenzati dai turisti VIP di Roma e che agiscano piuttosto che fare una gita di piacere. Le principali richieste dal punto di vista della politica mondiale sono sul tavolo delle negoziazioni: i Paesi ricchi devono mettere a disposizione 100 miliardi di dollari all'anno per combattere la crisi climatica, come hanno promesso dieci anni fa, e compensare i Paesi poveri per i danni che hanno subito (“Loss&Damage”).