Riarmo

La politica degli uomini forti a spese dei più deboli

04.11.2025, Finanziamento dello sviluppo

Invece di pianificare a lungo termine e investire nella sostenibilità, si sta procedendo a un riarmo massiccio. Cosa significa ciò per la lotta alla povertà, il finanziamento per il clima e lo sviluppo sostenibile in generale? Un’analisi di Kristina Lanz.

Kristina Lanz
Kristina Lanz

Esperta in cooperazione internazionale

La politica degli uomini forti a spese dei più deboli

Forzare la pace con le armi rimane un'illusione. 

© Keystone/laif/Meinrad Schade

La guerra in Ucraina ha influito fortemente sul senso di sicurezza in Europa e anche in Svizzera: un’invasione dell’Europa da parte della Russia sembra essere un’eventualità. Se fino a poco tempo fa la NATO poteva contare sulla protezione degli Stati Uniti, da quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca questa sicurezza sta progressivamente venendo meno. Nel 2014, dopo l'invasione russa della Crimea, i Paesi membri della NATO decisero di aumentare la spesa militare al 2% del prodotto interno lordo (PIL). Nel 2024, 23 dei 32 Stati membri della NATO avevano raggiunto questo obiettivo (la spesa militare totale della NATO ammontava a 1470 miliardi di dollari, di cui quasi due terzi attribuibili agli Stati Uniti). Ora, nel mese di giugno di quest’anno, la NATO ha annunciato di voler aumentare la spesa militare al 5% del PIL entro il 2035, ovvero più del doppio. Ma da dove dovrebbero provenire tali fondi e il riarmo globale potrà davvero garantire la pace?
 

Corsa agli armamenti sulle spalle dei più poveri
 

Se l’obiettivo del 5% dovesse essere effettivamente raggiunto entro il 2035, si pone il problema di come finanziare questa massiccia spesa aggiuntiva. La maggior parte dei membri della NATO ha attualmente un debito nazionale relativamente alto: mentre gli Stati Uniti hanno un tasso di indebitamento pari a circa il 120% del PIL, quello medio dei Paesi UE ammonta all’81,5% del PIL. Negli ultimi anni diversi Paesi (tra cui USA, Francia e Italia) hanno già subito un declassamento del proprio rating creditizio da parte di singole agenzie di rating.
 

Mentre aumentano le spese militari, in diversi Paesi si profilano tagli in altri settori, tra cui la sicurezza sociale, la protezione del clima e la cooperazione internazionale. Nel periodo 2022-2023, 15 membri del Comitato di aiuto allo sviluppo dell'OCSE (OCSE-CAS) hanno ridotto i fondi destinati allo sviluppo, aumentando al contempo, nella maggior parte dei casi, le spese per la difesa. Dal 2024 alla prima metà del 2025, altri otto Paesi CAS hanno deciso di ridurre le loro spese per lo sviluppo, in parte con la motivazione di voler finanziare in questo modo l’aumento delle spese militari. Prime stime dell’OCSE prevedono che nel 2025 la spesa pubblica per lo sviluppo potrebbe subire tagli pari fino al 17% e che questa tendenza continuerà nei prossimi anni. L’obiettivo concordato a livello internazionale di destinare lo 0,7% del reddito nazionale lordo (RNL) alla cooperazione allo sviluppo si allontana quindi sempre più (nel 2024 la media OCSE è scesa allo 0,33%; senza contare i costi interni relativi ai richiedenti l’asilo, si scende addirittura a un misero 0,29% del RNL).
 

Al contempo, la crisi climatica sta distruggendo le basi vitali a livello globale, e anche l'Europa e gli Stati Uniti sono sempre più spesso colpiti da eventi meteorologici estremi. Per combattere e adattarsi al cambiamento climatico sono necessari fondi nell’ordine dei miliardi. Inoltre, attualmente, in tutto il mondo circa 123,2 milioni di persone sono in fuga, 673 milioni soffrono di fame e circa 305 hanno urgente bisogno di aiuto umanitario. I bisogni crescono, mentre la disponibilità di fondi diminuisce. Anche in Occidente sempre più persone non riescono più a provvedere al proprio sostentamento e hanno perso fiducia nella politica, il che porta all’ascesa di figure estremiste, populiste e illiberali. Di fronte a una chiara volontà politica di potenziare gli armamenti, diminuiscono gli scrupoli nel finanziare l’aumento delle spese militari persino a scapito della sicurezza sociale, della lotta alla povertà o della protezione del clima.


Che dire della Svizzera?
 

Anche in Svizzera la tendenza va in una direzione simile. Alla fine del 2024, il Parlamento ha deciso di aumentare la spesa militare di 4 miliardi di franchi dal 2025 al 2028, per elevarla all’1% del PIL entro il 2032 (dall’attuale 0,7%). Al contempo, sono stati approvati tagli alla cooperazione internazionale per un totale di 110 milioni di franchi per il 2025 e di 321 milioni di franchi per il periodo 2026-2028. Come se non bastasse, il dibattito sui risparmi non è ancora finito: ulteriori misure in vari ambiti sociali e climatici saranno discusse in autunno nel quadro del pacchetto di sgravio.
 

Mentre si può certamente discutere se un rapido riarmo abbia senso in Svizzera (soprattutto perché è circondata da Paesi della NATO e, nel contesto attuale, un attacco informatico è molto più probabile di un attacco aereo), in confronto a molti nostri vicini europei il nostro Paese non ha problemi di debito. L’attuale tasso d’indebitamento del 17,2% è ridicolmente basso rispetto agli standard internazionali e le misure di risparmio in quest’ottica non sono assolutamente necessarie. Persino la Germania, che ha un tasso notevolmente più alto, pari al 62,5%, ha recentemente deciso di allentare il suo freno all’indebitamento, invero meno rigoroso, in modo da poter contabilizzare le crescenti spese militari su base straordinaria e, allo stesso tempo, creare un fondo speciale di 500 miliardi di euro per le infrastrutture e la protezione del clima. La Svizzera avrebbe quindi un ampio margine per investire sia nel riarmo, sia in una solida cooperazione internazionale, nella sicurezza sociale e nella protezione del clima. Ciò che manca è la volontà politica. 
 

Riarmo globale... e poi?
 

Quindi il mondo si sta riarmando, e in modo massiccio. Per l’istituto di ricerca sui conflitti svedese SIPRI si tratta di una chiara inversione di tendenza: la concezione della sicurezza dominante dalla fine della Guerra Fredda, basata sul controllo degli armamenti, sulle misure di fiducia e sulla trasparenza sta lasciando il posto a una concezione della sicurezza basata sulla forza militare e sugli effetti deterrenti. Secondo il SIPRI, se da un lato il massiccio riarmo può fungere da deterrente nei confronti di potenziali aggressori, dall’altro rischia di accelerare una corsa agli armamenti e di compromettere gli sforzi di dialogo, le misure di fiducia ed eventuali nuovi accordi sul controllo degli armamenti. Sono diverse le voci che mettono in guardia, inoltre, da rischi elevati di inefficienza nell’ambito degli acquisti, prezzi eccessivi, abusi ed elusione dei meccanismi di controllo.
 

Il riarmo dell’Europa e della Svizzera può sembrare ragionevole alla luce delle minacce attuali, ma che cosa ne sarà a medio e lungo termine di tutte le nuove armi prodotte (senza contare che l’industria bellica poggia su quella dei combustibili fossili, la quale ora è tornata a crescere)? Come possiamo immaginarci il mondo tra un decennio considerando che la protezione del clima, la sicurezza sociale e la cooperazione internazionale vengono smantellate in fretta e furia a favore della militarizzazione?
 

Verso una concezione di sicurezza a 360 gradi
 

Non sembra tuttavia troppo tardi per investire in una concezione globale e olistica della sicurezza. Una concezione a 360 gradi, in cui la sicurezza militare non sia contrapposta alla sicurezza sociale, alla cooperazione internazionale o al finanziamento internazionale a tutela del clima, ma sia considerata uno dei vari elementi, di uguale importanza, di una politica di sicurezza olistica a lungo termine. 
 

Diversi esperti ed esperte in materia di sicurezza contestano la logica del riarmo frettoloso e sostengono che, piuttosto, sono necessari un migliore coordinamento e una cooperazione intereuropea. Questo aspetto è stato sottolineato anche dal primo ministro spagnolo Sánchez, che ha respinto esplicitamente l’obiettivo del 5%, dichiarandolo irragionevole e controproducente. I suoi toni sono stati chiari: la Spagna non è disposta a risparmiare sul welfare, sulla cooperazione internazionale o sulla transizione energetica per precipitarsi ad acquistare equipaggiamenti pronti all’uso dall’estero. Si aggraverebbero così i problemi di dipendenza dagli Stati Uniti e di interoperabilità dell’effettivo di equipaggiamenti europei.
 

In parallelo, a livello nazionale occorre compiere ogni sforzo per ripristinare la fiducia della popolazione nella politica. Per esempio tramite investimenti nella previdenza per la vecchiaia, nella sicurezza sociale e nella sanità, così come nella transizione energetica e nella protezione dell’ambiente. In termini di politica estera, occorre intensificare l’impegno nell’ambito del multilateralismo, gli sforzi diplomatici, il finanziamento a tutela del clima e la cooperazione internazionale, poiché la sicurezza può essere garantita a lungo termine solo attraverso la cooperazione, il dialogo e il rispetto degli obblighi internazionali per il bene comune. La Spagna dimostra che è possibile comprendere la politica di sicurezza in senso lato e concepirla in maniera globale senza contrapporla ad altri ambiti. In quanto Paese ricco e con un tasso di indebitamento irrisorio, la Svizzera potrebbe permettersi di seguire l’esempio e, anzi, essere un modello per altri Paesi.
 

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La rivista periodica di Alliance Sud viene pubblicata quattro volte all’anno (in tedesco e francese) ed è possibile abbonarsi gratuitamente. In «global» trovate analisi e commenti riguardanti la politica estera e di sviluppo del nostro Paese.

Sviluppo sostenibile

Una nuova Svizzera per un mondo più giusto

24.07.2025, Finanziamento dello sviluppo

Le principali crisi globali richiedono più mezzi, più multilateralismo e una maggiore coerenza della Confederazione laddove ha un impatto negativo sui Paesi più poveri. In una pubblicazione intitolata «Il nuovo Deal», il team di Alliance Sud delinea le soluzioni multilaterali necessarie per risolvere i problemi più urgenti e mostra come la Svizzera debba cambiare per promuovere uno sviluppo sostenibile in modo credibile.

Una nuova Svizzera per un mondo più giusto

Gli abitanti di Tchabula, in Congo, rovistano tra i rifiuti delle miniere alla ricerca di rame e cobalto.
© Pascal Maitre/Panos Pictures

Da quando negli Stati Uniti è ritornato al potere Donald Trump, in tutto il mondo è scoccata l'ora dei negazionisti. Crisi climatica, disuguaglianze sociali, conflitti e Paesi soffocati dal debito pubblico: tutti temi che non vengono affrontati, o che vengono affrontati solo per servire da pretesto agli oligarchi della tecnologia con l’intenzione di colonizzare Marte. Ma credere che le crisi multiple possano scomparire come per magia, è realistico quanto immaginare paesaggi fioriti su Marte. Affinché le crisi non diventino incontrollabili, il nostro pianeta ha bisogno di una trasformazione radicale e rapida dei suoi modelli di produzione e consumo. Ciò presuppone una transizione energetica equa che combatta la povertà mondiale e dia a tutti la possibilità di condurre una vita dignitosa. 

Tuttavia, stiamo attraversando la più grave crisi del multilateralismo dalla Seconda guerra mondiale. Gli attacchi contro le organizzazioni multilaterali come le Nazioni Unite, il disimpegno dai suoi organi vitali e il congelamento dei contributi finanziari fungono da palla di demolizione proprio della potenza mondiale che ha svolto un ruolo decisivo nella costruzione dell'architettura multilaterale. Questo sistema non era certamente perfetto, tutt'altro, ma come ha detto l'ex segretario generale dell'ONU Dag Hammarskjöld: «Le Nazioni Unite non sono state create per portarci in paradiso, ma per salvarci dall'inferno». Nessuno dei problemi mondiali può essere risolto, nemmeno in parte, senza il multilateralismo, senza la cooperazione tra i paesi nel rispetto reciproco e su un piano di parità. Ecco perché, nelle ore più buie del multilateralismo, dobbiamo parlarne più che mai.

Paradossalmente, le misure unilaterali adottate da Trump potrebbero fungere da catalizzatore per una cooperazione internazionale più forte e incoraggiare gli altri Stati a collaborare più strettamente, afferma l’economista indiana Jayati Ghosh, docente presso l'Università del Massachusetts ad Amherst e copresidente della Commissione indipendente per la riforma della fiscalità internazionale delle imprese (ICRICT). A suo avviso, molti leader politici sembrano averlo capito e rimangono fedeli al multilateralismo. I negoziati internazionali sulla fiscalità, la protezione del clima e il finanziamento dello sviluppo stanno procedendo (confronta box su Siviglia), anche senza la partecipazione dello Zio Sam. In questo contesto di incertezza e sconvolgimenti, il clima attuale potrebbe offrire un'occasione unica per costruire un movimento veramente internazionale a favore di un cambiamento progressista. Ma ci vogliono coraggio e convinzione, come ha dichiarato il primo presidente del Burkina Faso, Thomas Sankara, in un'intervista realizzata nel 1985 dal giornalista svizzero Jean-Philippe Rapp: «Non si possono realizzare trasformazioni fondamentali senza un minimo di follia. In questo caso, si tratta di anticonformismo, del coraggio di voltare le spalle alle formule conosciute, di inventare il futuro». 

La Svizzera si impegna a favore del multilateralismo, della pace e dei diritti umani soltanto quando i suoi interessi economici non sono messi in discussione. Non appena si tratta di riforme economiche globali che incidono sui vantaggi competitivi della sua piazza finanziaria e commerciale, la politica svizzera ostacola qualsiasi soluzione. Così facendo il nostro Paese vive a spese di altri Stati e delle loro popolazioni. Trae profitto dal trasferimento di utili e dall'evasione fiscale, dalla sua piazza finanziaria fatta su misura per persone molto facoltose, dal suo ruolo di hub mondiale delle materie prime e dal suo status di sede di multinazionali che violano i diritti umani e inquinano l'ambiente. Inoltre, la sua impronta climatica è molte volte superiore a quella che consentirebbe un'equa distribuzione del bilancio globale di CO2. La Svizzera può quindi impegnarsi a favore di soluzioni multilaterali per una transizione giusta solo se cambia sé stessa. Potrebbe allora, insieme all'UE e ai paesi del Sud globale, difendere i valori democratici e il multilateralismo. E opporsi all'autoritarismo sia in Occidente, sia in Oriente. 

 

Il nuovo Deal

In una pubblicazione intitolata «Il nuovo Deal», il team di Alliance Sud delinea le soluzioni multilaterali necessarie per risolvere i problemi più urgenti e mostra come la Svizzera debba cambiare per promuovere uno sviluppo sostenibile in modo credibile. Le proposte formulate sono in parte del tutto nuove (ad esempio una Convenzione delle Nazioni Unite sulle materie prime); alcune sono già da tempo oggetto di discussione nel sistema multilaterale (come il trasferimento di tecnologie) e altre sono già in fase di negoziazione (come la Convenzione fiscale delle Nazioni Unite). 

Oltre al finanziamento internazionale per il clima, la transizione equa richiede pure il proseguimento degli aiuti pubblici allo sviluppo per sostenere i paesi del Sud globale in situazioni di emergenza o di conflitto e per consolidare la loro gestione della spesa pubblica. Ciò vale in particolare per i Paesi più poveri che, a causa dell'evasione fiscale, non dispongono di risorse sufficienti per finanziare il proprio sviluppo, sono stati esclusi dal sistema commerciale globalizzato e sono schiacciati dal peso del debito. Quest’ultimo ha raggiunto livelli senza precedenti, tanto che molti Paesi poveri spendono di più per gli interessi che per l’educazione o la sanità.

In questo contesto la Svizzera non può certo tirarsi indietro, visto che (es)trae gran parte della sua prosperità economica dal Sud globale. Eppure si colloca attualmente tra i paesi con il peggior impatto su altri Paesi, principalmente a causa della sua piazza finanziaria e del suo ruolo di hub per il commercio di materie prime. Finché questa situazione non sarà corretta, la Svizzera dovrà dare prova di maggiore solidarietà e contribuire all'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) superando lo 0,7 % del reddito nazionale lordo (RNL) concordato anni fa a livello internazionale. Invece di ridurre i suoi contributi come sta facendo, la Svizzera dovrebbe destinare all’APS almeno l'1% del suo RNL (senza tenere conto dei costi legati all'asilo che rimangono nel Paese). 

In Svizzera ogni riforma ambiziosa (Sankara direbbe folle) si scontra però con un argomento in apparenza schiacciante: «è troppo costosa». Ma non appena ci si libera dalla morsa della politica di austerità e dall'ossessione del freno all'indebitamento, la situazione appare completamente diversa. Aumento dell'imposta minima sulle imprese, imposta federale sulle grandi fortune, abolizione del segreto bancario nazionale, eliminazione dell'esenzione fiscale sul cherosene e introduzione di una tassa sui biglietti aerei: tutte queste misure proposte da Alliance Sud sono perfettamente razionali e realizzabili in poco tempo. Consentirebbero di sbloccare ogni anno 19,5 miliardi di franchi supplementari per una Svizzera rispettosa del mondo. Un aumento anche solo moderato del tasso di indebitamento della Confederazione, molto basso nel raffronto internazionale, creerebbe un ulteriore margine di manovra finanziario. Insomma, la Svizzera ha i mezzi necessari per investire in un futuro sostenibile, creando nel contempo maggiore giustizia sociale e una vita migliore per tutti.

Manifestanti a Siviglia

© Marisol Ruiz / Society for International Development (SID)

 

Siviglia: finita la siesta, si risveglia il multilateralismo

A Siviglia, in una Spagna che si sta profilando come uno dei Paesi più attivi e convinti in materia di sviluppo sostenibile e cooperazione allo sviluppo, si è conclusa a inizio luglio la quarta Conferenza internazionale delle Nazioni Unite sul finanziamento dello sviluppo (FfD4). L'importante conferenza dell'ONU è stata oscurata dalla non partecipazione degli Stati Uniti e dalla completa dissoluzione dell'agenzia per lo sviluppo USAID avvenuta il 1° luglio. Benché la dichiarazione finale ignori in larga misura la crisi del debito, infonde un barlume di speranza il fatto che il resto della comunità internazionale su alcuni temi abbia trovato un consenso minimo per fare dei passi avanti in modo congiunto. Ma vi è ancora molto da fare e per la Svizzera il cammino è ancora più lungo. 

«Finora la Svizzera ufficiale non ha brillato quando si è trattato di rafforzare il multilateralismo, la cooperazione allo sviluppo e la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile», afferma Dominik Gross, esperto di politica finanziaria e fiscale di Alliance Sud, che ha seguito i lavori a Siviglia. In ambito fiscale la Svizzera è uno dei paesi che maggiormente sottrae mezzi ai Paesi più poveri. Una Convenzione fiscale nel quadro delle Nazioni Uniti, propugnata soprattutto dai paesi africani, permetterebbe ai Paesi più poveri di generare loro stessi le risorse di cui hanno urgentemente bisogno. 

Anche le disparità tra ricchi e poveri devono essere affrontate di petto. A Siviglia il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz ha dichiarato: «Non occorre essere detentori del premio Nobel per capire perché sia necessario tassare i super-ricchi. Abbiamo creato i paradisi fiscali. Avremmo potuto regolamentarli, ma li abbiamo tollerati. Esistono perché avvantaggiano i super-ricchi. Abbiamo bisogno di norme globali, abbiamo bisogno di regole su scala mondiale.»

A Siviglia vi è stata una massiccia presenza del mondo economico, che negli ultimi anni ha investito molto di meno rispetto alle aspettative nei Paesi più poveri e certo non laddove i bisogni sono più impellenti. È ora di guardare in faccia alla cruda realtà e prendere le misure politiche necessarie per favorire (e non ostacolare) lo sviluppo dei Paesi più poveri invece dei profitti aziendali. Sia sul piano internazionale, sia in Svizzera. Nell’interesse di tutti.

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Comunicato stampa

A Siviglia la Svizzera non può certo concedersi una siesta

30.06.2025, Finanziamento dello sviluppo

Prende il via oggi a Siviglia la quarta Conferenza internazionale delle Nazioni Unite sul finanziamento dello sviluppo (FfD4). Domenica sera organizzazioni della società civile di tutto il mondo hanno manifestato per un ordine economico internazionale più equo. La dichiarazione finale è già stata redatta e non contiene progressi decisivi per affrontare le varie crisi globali. Tuttavia, formula importanti dichiarazioni d'intenti in materia di politica fiscale e di riduzione del debito che chiamano in causa anche la Svizzera.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

+41 31 390 93 35 dominik.gross@alliancesud.ch
Marco Fähndrich
Marco Fähndrich

Responsabile della comunicazione e dei media

+41 31 390 93 34 marco.faehndrich@alliancesud.ch
A Siviglia la Svizzera non può certo concedersi una siesta

L'importante conferenza dell'ONU è oscurata dal debito pubblico record nel Sud globale, dalla non partecipazione degli Stati Uniti e dalla completa dissoluzione dell'agenzia per lo sviluppo USAID annunciata per il 1° luglio. A Siviglia, però, fino a giovedì le discussioni non si limiteranno al «finanziamento dello sviluppo» nel senso dell’aiuto pubblico allo sviluppo. Al centro dell'attenzione vi è la questione di come i Paesi più poveri possano generare maggiori risorse proprie. Pertanto, anche le misure contro l'evasione fiscale e i flussi finanziari illeciti figurano in modo prominente nell'agenda. Altrettanto importanti sono i temi della riduzione del debito, del commercio, dell'architettura finanziaria internazionale e del ruolo delle imprese e dei relativi incentivi statali; tutti temi che impegnano in modo particolare i Paesi ricchi come la Svizzera.

«Finora la Svizzera ufficiale non ha brillato quando si è trattato di rafforzare il multilateralismo, la cooperazione allo sviluppo e la coerenza delle politiche per lo sviluppo sostenibile», afferma Dominik Gross, esperto di politica finanziaria e fiscale di Alliance Sud. «Ci aspettiamo che la Svizzera prenda sul serio le discussioni e i processi delle Nazioni Unite e collabori in modo costruttivo, invece di bloccare o trascurare tali questioni a vantaggio dei propri interessi di parte», afferma Dominik Gross.

Documento informativo per i media
Nel nostro documento informativo per i media (in francese) potete leggere in quali settori la Svizzera dovrebbe assumersi urgentemente maggiori responsabilità.

Il nuovo deal
Il numero speciale della rivista «global» (in francese) delinea come potrebbe essere una nuova Svizzera per un mondo più giusto. La pubblicazione «Il nuovo deal» è disponibile qui.

Per maggiori informazioni sul posto:
A Siviglia: Dominik Gross, esperto di politica finanziaria e fiscale, Alliance Sud,
+41 78 838 40 79, dominik.gross@allliancesud.ch

Per domande generiche:
Marco Fähndrich, responsabile dei media, Alliance Sud,
Tel. 079 374 59 73, marco.faehndrich@alliancesud.ch

Comunicato stampa

Rinnovare i finanziamenti all'UNRWA per sostenere il cessate il fuoco

13.02.2025, Cooperazione internazionale, Finanziamento dello sviluppo

A quattro giorni dalla riunione della Commissione della politica estera del Consiglio degli Stati (CPE), una decina di organizzazioni ribadiscono l'assoluta necessità di mantenere i finanziamenti all'UNRWA per consolidare l'accordo di cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Consegnando alla CPE una lettera in questo senso e con un’azione simbolica si chiede alla Svizzera di rimanere fedele alla sua tradizione umanitaria.

Laura Ebneter
Laura Ebneter

Esperta in cooperazione internazionale

+41 31 390 93 32 laura.ebneter@alliancesud.ch
Rinnovare i finanziamenti all'UNRWA per sostenere il cessate il fuoco

Consegna della lettera all'entrata della Cancelleria federale. © Luisa Baumgartner / Alliance Sud

A fine gennaio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) ha lasciato la sua sede nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, e trasferito temporaneamente il personale internazionale in Giordania. Questa misura fa seguito all'adozione da parte del Parlamento israeliano di una legge senza precedenti, contraria al diritto internazionale, che vieta la presenza dell'UNRWA in Israele e a Gerusalemme Est, che il paese occupa dal 1967.

"La legge israeliana entra in vigore in un momento in cui gli aiuti umanitari sono più neces-sari che mai. La vita, la salute e il benessere di milioni di palestinesi sono a rischio. La Svizzera deve chiedere al governo israeliano di permettere all'UNRWA di operare in tutto il Territorio palestinese occupato, continuando a sostenere finanziariamente l'agenzia ONU”, afferma Michael Ineichen, responsabile advocacy di Amnesty Svizzera.

Dall'entrata in vigore del cessate il fuoco a Gaza, l'UNRWA ha fornito il 60% di tutti gli aiuti umanitari nel Territorio Palestinese Occupato. Rimane l'attore umanitario più importante in quel territorio. Solo l'agenzia delle Nazioni Unite dispone della rete necessaria per fornire servizi come rifugi di emergenza, strutture igienico-sanitarie, cure mediche e attrezzature, distribuzione di cibo e acqua. Il successo del cessate il fuoco dipende da questi aiuti essenziali.

In seguito alla sentenza della Corte internazionale di giustizia del gennaio 2024, la Svizzera ha ancor più l'obbligo di adottare misure per prevenire il genocidio e fornire aiuti umanitari alla popolazione civile di Gaza. In qualità di Stato depositario delle Convenzioni di Ginevra, la Svizzera sta inoltre organizzando una conferenza degli Stati parte delle Convenzioni di Ginevra con l'obiettivo di rafforzare la protezione della popolazione palestinese. Un motivo in più per impegnarsi a fondo per i diritti umani dei palestinesi, in particolare contribuendo alla fornitura di beni e servizi essenziali.

“Amnesty International chiede quindi alla Commissione di autorizzare il mantenimento del sostegno all'UNRWA. Un'interruzione dei finanziamenti sarebbe in contraddizione con gli impegni internazionali della Svizzera e comprometterebbe gli sforzi per la pace e la stabilità nella regione. Il sostegno del nostro Paese è ancora più necessario dopo la decisione del Presidente americano Trump di porre fine ai finanziamenti per l'agenzia ONU”, conclude Michael Ineichen.

Le seguenti organizzazioni hanno co-firmato la lettera aperta (tedesco / francese): Alliance Sud, Forum für Menschenrechte in Israel/Palästina, Frieda – Die feministische Friedenorganisation, Associazione Svizzera-Palestina, Gruppo per una Svizzera senza esercito GSsE, Ina autra senda - Swiss Friends of Combatants for Peace, Jüdische Stimme für Demokratie und Gerechtigkeit in Israel/Palästina, Médecins du Monde Svizzera, medico international svizzera, Palestine Solidarity Switzerland, Pane per tutti/HEKS, Peace Watch Switzerland.

Già nell'aprile del 2024, le organizzazioni all'origine della lettera consegnata oggi alla CPE avevano presentato al Consiglio federale e al Parlamento una petizione per il cessate il fuoco e il mantenimento dei finanziamenti all'UNRWA, accompagnata da oltre 45’000 firme. In ottobre, alcune di queste organizzazioni hanno esposto le conseguenze di un ritiro del sostegno svizzero all'UNRWA in una lettera aperta rivolta alla stessa commissione.

Comunicato stampa

Cooperazione allo sviluppo: non si può fare lo stesso con meno mezzi

29.01.2025, Cooperazione internazionale, Finanziamento dello sviluppo

La Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e la Segreteria di Stato dell’economia (SECO) hanno annunciato come intendono attuare i tagli alla cooperazione internazionale decisi dal Parlamento. L'impatto drammatico sulle popolazioni dei Paesi e dei programmi colpiti viene tuttavia minimizzato.

Cooperazione allo sviluppo: non si può fare lo stesso con meno mezzi

A causa della crisi climatica e politica in Bangladesh i bisogni rimangono immensi © Keystone / EPA / STR

 

Per evitare equivoci: la responsabilità dei tagli di 110 milioni di franchi nel budget 2025 e di 321 milioni di franchi nel piano finanziario per i prossimi anni è esclusivamente della maggioranza borghese che in Parlamento ha preso queste decisioni. Tuttavia, l'affermazione che «attraverso un’attenta definizione delle priorità dovrebbe comunque essere possibile ottenere gli effetti auspicati» invia un segnale sbagliato. È ovvio che la cooperazione allo sviluppo che può essere portata avanti nonostante i tagli è ancora efficace. Ma è altrettanto chiaro che non si può fare lo stesso di prima con 110 milioni in meno. Ed è chiaro che saranno le popolazioni del Sud globale a risentirne in modo tangibile quando progetti di successo verranno cancellati.

Le necessità in Bangladesh e Zambia in particolare – i programmi della DSC saranno interrotti in entrambi i Paesi – non sono certo diminuiti. Il Bangladesh si trova in una situazione politicamente instabile, che sta avendo un impatto sull'industria tessile del Paese. Lo Zambia soffre di una crisi del debito; secondo il Fondo Monetario Internazionale, sussiste ancora «un alto rischio di “distress” del debito complessivo ed esterno». Questo anche perché il Paese ha sofferto e continua a soffrire di un'aggressiva evasione fiscale da parte di società straniere. La multinazionale Glencore, ad esempio, non ha mai pagato le tasse sui profitti in Zambia, anche quando i prezzi del rame erano alti. Entrambi i Paesi sono inoltre particolarmente colpiti dalla crisi climatica, che sta minacciando i precedenti successi di sviluppo. Il Bangladesh a causa delle tempeste e dell'innalzamento del livello del mare e lo Zambia perché la produzione di energia elettrica è diminuita drasticamente, dato che i fiumi trasportano molta meno acqua.

Anche in ambito multilaterale i tagli non possono essere assorbiti senza conseguenze. Ad esempio, sono stati cancellati i pagamenti a UNAIDS. Eppure l'AIDS è ancora una delle maggiori cause di morte in Africa e quasi un quinto dei pazienti africani affetti da HIV non riceve ancora farmaci salvavita. Sono previsti anche «ulteriori tagli trasversali» e vengono colpiti i contributi alle spese generali delle ONG, sebbene il Consigliere federale Ignazio Cassis avesse affermato in Parlamento la scorsa estate che queste organizzazioni partner contribuiscono all'attuazione della cooperazione internazionale a basso costo. Concretamente, ciò significa che numerose famiglie contadine, ad esempio, non avranno un approvvigionamento idrico sicuro nella lotta contro la crisi climatica, molti giovani non avranno un posto di apprendistato e più bambini andranno a letto affamati. I responsabili dei tagli non devono crogiolarsi, ma guardare in faccia questa cruda realtà.

Commento per i media

Un quadro deformato per la cooperazione internazionale

19.12.2024, Finanziamento dello sviluppo

La sessione invernale si conclude con tagli milionari al credito quadro 2025-2028 (-151 milioni di franchi) e al budget 2025 per la cooperazione allo sviluppo (-110 milioni di franchi). Le decisioni del Parlamento avranno conseguenze drammatiche per i Paesi più poveri e sono state caratterizzate da molte false argomentazioni, critica Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud.

Un quadro deformato per la cooperazione internazionale

© Servizi parlamentari / Tim Loosli

Il mercanteggiamento a favore dell'esercito è stato caratterizzato da cifre liberamente interpretate, false argomentazioni e un trucco procedurale. Il 9 dicembre, per pochi minuti, entrambe le Camere federali si sono espresse contro i tagli al credito quadro della Strategia della cooperazione internazionale 2025-2028. Con il sostegno della maggioranza del centro, il Consiglio nazionale ha seguito il Consiglio degli Stati con 95 voti contro 94 e ha respinto tutti i tagli. Ma poi è successo qualcosa che non era mai accaduto prima: il freno alla spesa non è stato sbloccato. Questo perché per le decisioni di bilancio superiori a 20 milioni, il Parlamento deve sempre deliberare in una risoluzione separata, ciò che normalmente è una questione di routine. Questa decisione richiede inoltre la maggioranza assoluta, ossia 101 voti a favore in Consiglio nazionale, mentre le astensioni contano come no. Mancavano solo due voti. Ciò ha dato al PLR l'opportunità di proporre ancora una volta dei tagli. Questi sono state accettati solo con il voto decisivo della Presidente del Consiglio nazionale del PLR, ovvero con 96 voti contro 95.

Oltre ai 151 milioni della cooperazione bilaterale allo sviluppo della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC), è stato tagliato anche l'aiuto umanitario all'Ucraina (-200 milioni). Questo dopo che i membri del Consiglio nazionale avevano ripetutamente sottolineato durante il dibattito che non erano senza cuore e che non avrebbero certamente tagliato gli aiuti umanitari. Il Consiglio degli Stati ha corretto la cifra riducendola ai -151 milioni della DSC, evitando un imbarazzo totale per la Svizzera e un freddo gelido nelle case dell’Ucraina.

In generale, i fatti non hanno giocato alcun ruolo nel dibattito. Per esempio, l'efficacia scientificamente comprovata della cooperazione allo sviluppo o il fatto che non vi sia nessun altro settore dell'Amministrazione federale in cui si effettuano più controlli e c'è più trasparenza, il che significa che sappiamo esattamente “cosa succede con tutti i soldi all'estero”. Anche le cifre inventate sulla cooperazione internazionale (CI) sono state gonfiate, talvolta arrivando addirittura a due terzi di troppo. L'affermazione spesso sentita che l'esercito è stato ridotto alla fame “negli ultimi anni” a favore della CI è altrettanto priva di fatti. Dal 2015, la crescita della cooperazione internazionale è sempre stata inferiore (1,7% in media) alla crescita del bilancio federale (2,6%), mentre la crescita delle spese dell'esercito è stata significativamente superiore (3,9%). La fame ha un aspetto diverso e viene patita altrove.

Non ha aiutato neanche il fatto che il budget (vincolante) della CI per il 2025 sia stato negoziato contemporaneamente al credito quadro 2025-2028. La cooperazione internazionale sarà ora tagliata di 110 milioni di franchi svizzeri per il prossimo anno. Questo dimostra chiaramente che i crediti quadro sono solo il contesto in cui i parlamentari possono presentarsi sotto una luce migliore (o meno cattiva). Nel bilancio sono stati effettuati tagli anche alla cooperazione multilaterale e alla cooperazione allo sviluppo della SECO, che erano state risparmiate nel credito quadro. E la DSC ha a disposizione meno fondi di quanto il credito quadro lasci intendere.

I 30 milioni di franchi che mancano all'aiuto multilaterale equivalgono all'incirca all'intero impegno della Svizzera nella lotta contro l'AIDS, la tubercolosi e la malaria. In termini concreti, il denaro mancante dalla cooperazione bilaterale significherà che meno alunni potranno essere istruiti nei campi profughi, che molte famiglie contadine non avranno un approvvigionamento idrico sicuro nella lotta contro la crisi climatica, che molti giovani non avranno un posto di apprendistato e che più bambini andranno a letto affamati. Natale ha un aspetto diverso.

Per ulteriori informazioni:
Andreas Missbach, Direttore di Alliance Sud, Tel. +41 31 390 93 30, andreas.missbach@alliancesud.ch

 

AFGHAN FUND

«L’economia va stabilizzata»

01.10.2024, Finanziamento dello sviluppo

Mentre miliardi di riserve valutarie afghane sono trattenute in Svizzera, la popolazione dell’Afghanistan versa in una situazione economica drammatica. Shah Mehrabi, co-direttore del Fondo per l’Afghanistan, esige versamenti mirati.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

«L’economia va stabilizzata»

La quantità di banconote afghane nel Paese è molto variabile. I commercianti di banconote sono onnipresenti a Kabul.
© Keystone/EPA/Samiullah Popal

Tre anni dopo la presa del potere da parte dei talebani, l’Afghanistan è sull’orlo dell’abisso. I diritti delle bambine e delle donne vengono calpestati: sono diventate praticamente invisibili negli spazi pubblici – impianti sportivi, hammam, saloni di bellezza e parchi sono per loro tabù. La formazione scolastica per loro termina con la scuola elementare e sul posto di lavoro subiscono una rigida segregazione di genere. I media e l’opposizione sono vittime di repressione. La povertà affligge ormai metà della popolazione e il 90% non riesce più a soddisfare i propri bisogni alimentari di base.

«L’economia si trova in una situazione estremamente precaria, soprattutto a causa delle restrizioni imposte al settore bancario, della soppressione degli scambi e del commercio, dell’indebolimento e dell’isolamento delle istituzioni pubbliche e della quasi totale assenza di investimenti esteri e di sostegno finanziario da parte di donatori esteri in settori come l’agricoltura e l’industria manifatturiera», come hanno dichiarato le Nazioni Unite a inizio anno.

Nel frattempo, miliardi di dollari amministrati a Ginevra dal Fondo per il popolo afghano (Afghan Fund) rimangono inutilizzati. Il Fondo è stato istituito due anni fa per gestire le riserve di valuta estera della Banca centrale dell’Afghanistan (DAB), che sono state congelate quando i talebani hanno preso il potere nell’agosto 2021. Allora, la Federal Reserve Bank di New York deteneva 7 miliardi di dollari di queste riserve valutarie, mentre altri 2,1 miliardi si trovavano in Europa e in altri Paesi. Per evitare che il denaro depositato negli Stati Uniti venga reclamato dalle vittime dell’11 settembre, il presidente Biden ha proposto di conservarne la metà all’estero. Così 3,5 miliardi di dollari sono confluiti in un conto presso la Banca dei regolamenti internazionali, con sede a Basilea, e a Ginevra è stata istituita una fondazione per la gestione del denaro: l’Afghan Fund. Il suo scopo è quello di amministrare i fondi e di restituirne una parte alla DAB qualora soddisfi condizioni rigorose. Alla fine di giugno 2024 i valori patrimoniali, compresi gli interessi, ammontavano a 3,84 miliardi di USD.

Deflazione dannosa

Eppure oggi, a distanza di due anni, non è ancora stato restituito un centesimo. Per quale motivo? «Innanzitutto, c’è una mancanza di comprensione delle regole: questo denaro non è destinato a scopi umanitari, ma a stabilizzare il sistema finanziario», ci risponde Shah Mehrabi, uno dei due co-direttori afghani del Fondo, in collegamento telefonico dagli Stati Uniti. Professore del Montgomery College del Maryland, rammenta prima di tutto alcuni aspetti macroeconomici: le riserve valutarie sono valori patrimoniali detenuti dalle banche centrali in valute estere per garantire la solvibilità di un Paese e influenzare la politica monetaria. L’obiettivo è proteggere le banche centrali da una rapida svalutazione della moneta nazionale. Tali riserve svolgono un ruolo decisivo nello stabilizzare i tassi di cambio, nel rafforzare la fiducia della popolazione, nel fornire liquidità al sistema bancario e nel coprire i costi delle importazioni.

«Ora la DAB ha segnalato che la massa monetaria, cioè la quantità di moneta in circolazione, è diminuita» aggiunge il professore. «A cosa è dovuta la diminuzione? Uno dei fattori è il congelamento delle riserve. Se c’è meno denaro in circolazione, le persone possono comprare meno, l’attività economica diminuisce e questo, a sua volta, influisce sui prezzi e sui tassi di cambio. È proprio quello che si osserva in Afghanistan: le imprese non hanno i mezzi per investire, il che porta a una riduzione della domanda di beni e servizi. Quindi abbassano i prezzi sempre di più per incoraggiare la gente ad acquistare. La conseguenza è una deflazione, che è altrettanto dannosa per l’economia quanto l’inflazione».

Istituita una struttura solida

«Abbiamo raggiunto molti risultati», prosegue. Ma quali, esattamente? Per quanto riguarda la governance del Fondo, conferma che è stata creata una struttura solida: è stato adottato uno statuto ed è stato nominato un Consiglio di fondazione con il compito di rendere conto in maniera trasparente della gestione del patrimonio. Il Consiglio è composto da Shah Mehrabi stesso, da Anwar-ul-Haq Ahady, ex direttore della DAB e già ministro delle finanze, da Jay Shambaugh, rappresentante del Dipartimento del tesoro USA, e dall’ambasciatrice Alexandra Baumann, capo della divisione Prosperità e sostenibilità del DFAE. Le decisioni vengono prese all’unanimità, il che significa che di fatto ogni membro ha diritto di veto.
I membri del Consiglio di fondazione hanno sviluppato una strategia d’investimento proattiva e hanno commissionato a una società di consulenza l’elaborazione di misure di compliance e audit. In tal modo intendono lottare contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. Hanno assunto un segretario esecutivo, sviluppato una strategia di comunicazione e istituito un comitato consultivo internazionale.

«Versamenti mirati possibili»

«Le misure che abbiamo adottato facevano parte dei requisiti che devono essere soddisfatti prima di poter effettuare qualsiasi erogazione di fondi», continua Shah Mehrabi. «Secondo me ora le condizioni per effettuare versamenti mirati volti a stabilizzare il tasso di cambio, stampare banconote e pagare le importazioni sono date. Tuttavia, devono avvenire a piccole dosi, poiché iniettare troppo denaro alla volta genererebbe inflazione».

Aggiunge che, malgrado le notevoli sfide, l’Afghani (la moneta nazionale) è rimasto stabile, in particolare rispetto al dollaro, grazie alla solida politica monetaria della DAB. Vi rientrano aste di valuta estera, controlli più severi sul contrabbando, aumento delle esportazioni, aiuti umanitari e rimesse. «Tuttavia, questa stabilità ha portato anche a una deflazione dovuta al crollo dei prezzi a livello globale e all’apprezzamento dell’Afghani. Attualmente il tasso di deflazione si attesta al -9,2% ed è quindi leggermente migliorato rispetto al tasso precedente (-9,7 %). Per attenuare ulteriormente la deflazione, la banca centrale potrebbe dover ridurre le aste di dollari e aumentare la circolazione di banconote afghane», conclude il co-direttore del Fondo.

I talebani non sono riconosciuti dalla comunità internazionale

Tuttavia, la situazione politica è molto complessa. L’attuale regime non è riconosciuto dalla comunità internazionale. Anche se la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) aprirà un ufficio umanitario a Kabul in autunno, i contatti con i rappresentanti talebani restano di natura puramente tecnica. Le vie legali e diplomatiche sono limitate, il che complica la capacità di agire del Fondo. Tuttavia, alla DAB non sono state imposte sanzioni internazionali. Quanto ai talebani, non riconoscono l’Afghan Fund e vogliono la restituzione del denaro. Almeno, comunque, secondo l’economista con alcuni dei beni patrimoniali congelati dagli Stati Uniti qualcosa è stato fatto, a differenza dei 2,1 miliardi di dollari congelati dall’UE.

«Non possiamo lasciare che il popolo afghano continui a soffrire. Procedere attivamente ai versamenti ora è nell’interesse di tutti. L’aiuto umanitario da solo non risolverà il problema, è fondamentale mirare a uno sviluppo a lungo termine. È ora di agire», conclude Merhabi, il cui mandato per l’Afghan Fund è stato prorogato per altri due anni a settembre, così come quello degli altri membri del Consiglio di fondazione.

 

 

La DSC torna a Kabul

Come la maggior parte dei Paesi, la Svizzera per il momento non intende riavviare la sua cooperazione allo sviluppo a lungo termine in Afghanistan. Comunque, torna con una presenza sul territorio. «La DSC aprirà un ufficio umanitario a Kabul nell’autunno del 2024», conferma Alain Clivaz, portavoce. «Si installerà nei locali dell’ex ufficio di cooperazione chiuso nel 2021. L’ufficio umanitario comprenderà quattro membri del Corpo svizzero di aiuto umanitario (CSA) in loco. Il team della DSC è responsabile dell’attuazione, dell’accompagnamento e della supervisione dei progetti finanziati dalla DSC».

Il portavoce del DFAE sottolinea che la situazione sul piano della sicurezza in Afghanistan rimane complessa e comporta notevoli rischi per tutte le attività nel Paese. Tuttavia, assicura che la DSC sta monitorando attentamente la situazione e dispone di un piano di sicurezza ad ampio raggio per il suo personale, elementi che consentono il ritorno a Kabul.«L’ufficio della DSC stabilisce contatti con i rappresentanti talebani a livello tecnico, se sono necessari per l’attuazione dei progetti», conclude.

Per Alliance Sud la presenza sul territorio è importante, ma l’aiuto umanitario da solo non può sostituire un’economia funzionante. La Svizzera deve fare in modo che il denaro gestito dal Fondo per l’Afghanistan venga restituito alla DAB, con la dovuta cautela. Ciò per evitare che la popolazione afghana sia doppiamente penalizzata: da un lato da un regime repressivo e dalle sanzioni, dall’altro dalla messa al bando da parte della comunità internazionale

 

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Comunicato stampa

Messaggio sull’esercito: un attacco frontale a una politica di sicurezza olistica

19.09.2024, Finanziamento dello sviluppo

Il Consiglio nazionale ha deciso oggi di finanziare l'aumento di quattro miliardi del budget dell'esercito attingendo in parte al bilancio della cooperazione internazionale (CI). Si tratta di un attacco frontale a una politica di sicurezza olistica.

Messaggio sull’esercito: un attacco frontale a una politica di sicurezza olistica

 © Keystone / Anthony Anex

La settimana scorsa, durante i dibattiti sulla Strategia della cooperazione internazionale 2025-2028, il Consiglio degli Stati si era espresso con 31 a 13 voti contro il finanziamento dell'esercito a spese della CI. Con la decisione odierna, il Consiglio nazionale ha cambiato rotta e vorrebbe prendere i fondi supplementari per l’esercito anche dalla cooperazione internazionale.

In questo modo, il Consiglio nazionale non riconosce che la cooperazione internazionale è parte integrante di una politica di sicurezza olistica. «Finanziare l'esercito a spese della cooperazione internazionale mina la tradizione umanitaria della Svizzera», afferma Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud, il centro di competenza svizzero per la cooperazione internazionale e la politica di sviluppo. A suo avviso «è miope, in termini di politica di sicurezza, rafforzare i pompieri a scapito delle misure di protezione antincendio.»

Nell’attuale rapporto sulla politica di sicurezza sta scritto chiaro e tondo che la Svizzera «contribuisce a rafforzare la sicurezza e la stabilità internazionali offrendo i suoi buoni uffici, contribuendo al promovimento della pace, impegnandosi a favore del diritto internazionale, dello Stato di diritto e dei diritti umani, combattendo le cause dell’instabilità e dei conflitti attraverso la cooperazione allo sviluppo e ricorrendo agli aiuti umanitari per sopperire alle necessità della popolazione civile.»

Inoltre, i crediti d'impegno della Strategia CI 2025-2028 hanno già dovuto assorbire 1,5 miliardi di franchi svizzeri di finanziamenti per l'Ucraina. La Commissione di esperti Gaillard ha anche concluso nel suo rapporto che la cooperazione allo sviluppo ha già dovuto attuare riduzioni significative per compensare i fondi aggiuntivi previsti dal Consiglio federale per l'Ucraina. Ulteriori tagli metterebbero a rischio la comprovata cooperazione internazionale della Svizzera.

Per ulteriori informazioni:
Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud, 031 390 93 30, andreas.missbach@alliancesud.ch

Strategia 2025 – 2028

Cooperazione allo sviluppo sull’orlo del precipizio

21.06.2024, Cooperazione internazionale, Finanziamento dello sviluppo

A metà maggio il Consiglio federale ha adottato il messaggio sulla Strategia di cooperazione internazionale 2025-2028, insistendo nel finanziare gli aiuti all’Ucraina a spese del Sud globale e ignorando i risultati della consultazione pubblica.

Laura Ebneter
Laura Ebneter

Esperta in cooperazione internazionale

Cooperazione allo sviluppo sull’orlo del precipizio

© Ruedi Widmer

A livello di contenuti, nella strategia 2025-2028 il Consiglio federale non rivela grandi sorprese e si concentra su temi e strategie di attuazione già collaudati. E lo fa in un mondo che, secondo la strategia, è più frammentato, instabile e imprevedibile. In questo contesto, il Consiglio federale opta per una maggiore flessibilità: il suo motto attuale. Una flessibilità che è necessaria per affrontare le crisi odierne, come ha dichiarato il consigliere federale Ignazio Cassis in conferenza stampa. Tuttavia, leggendo la strategia ci si rende subito conto che flessibilità in realtà significa che l’intera somma destinata ad aiutare l’Ucraina, pari a 1,5 miliardi di franchi, proverrà dal bilancio della cooperazione internazionale (CI) e quindi gli importi per altri Paesi e programmi saranno ridotti in modo “flessibile”.

Oggi qui, domani là

Alla conferenza stampa del 10 aprile concernente la conferenza di pace sul Bürgenstock e l’aiuto all’Ucraina, il consigliere federale Ignazio Cassis aveva tematizzato la continua riallocazione di risorse nell’ambito della CI, spiegando che l’allocazione di fondi è un processo strategico e dinamico e non una circostanza statica. Un tale approccio dinamico può avere una certa efficacia, ad esempio nel coniugare in modo flessibile i tre pilastri della CI, ossia l’aiuto umanitario, la cooperazione allo sviluppo e la promozione della pace (concetto noto anche come nexus ). Spesso comunque i confini tra questi approcci sono labili.

Una cooperazione internazionale che sposta costantemente le proprie risorse tra diverse regioni e da un Paese all’altro non può costruire partenariati seri e a lungo termine. Eppure, per operare con efficacia ed efficienza, sono proprio questi ciò che serve. Occorrono fiducia e impegno a lungo termine, cioè relazioni che si instaurano e curano attraverso i programmi della cooperazione allo sviluppo. Oppure, per riprendere le parole del consigliere federale Cassis in occasione di un incontro con le ONG nel 2022: «affidabilità, fiducia e prevedibilità». Se la CI della Svizzera finisce in balia di considerazioni geopolitiche, le mancheranno le reti e il personale necessari sul campo. La guerra in Ucraina ha segnato l’inizio di una nuova fase, ma ciò non deve indurre la CI svizzera ad abbandonare ciò che ha costruito in molti anni e i risultati ottenuti con i suoi Paesi partner.

Sul filo del rasoio

Con la decisione di finanziare gli aiuti all’Ucraina attingendo dal bilancio della cooperazione internazionale, il Consiglio federale sta dicendo di no su vari fronti. In primo luogo, è un diniego al Sud globale, che da anni chiede ai Paesi benestanti di adempiere l’obiettivo riconosciuto a livello internazionale dello 0,7% del reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS). Con il progetto del Consiglio federale entro il 2028 la Svizzera raggiungerà un APS dello 0,36% (esclusi i costi dell’asilo). Dov’è dunque la tradizione umanitaria, di cui si parla spesso e volentieri, quando ne abbiamo più bisogno?

In secondo luogo, è anche un diniego alle organizzazioni, ai partiti e ai Cantoni che hanno partecipato alla consultazione. Una netta maggioranza (75%) di coloro che hanno risposto a una domanda a questo riguardo ha dichiarato esplicitamente che gli aiuti all’Ucraina non devono andare a scapito di altre regioni e priorità della CI, come l’Africa subsahariana o il Medio Oriente. Nessuno dei partiti politici, eccetto l’UDC (il quale d’altronde, secondo il programma di partito, vorrebbe abolire la cooperazione allo sviluppo) sostiene il finanziamento della ricostruzione dell’Ucraina con i fondi della CI. Purtroppo, per la sua attuazione il Parlamento non ha ancora trovato una soluzione che abbia il sostegno della maggioranza nel dibattito sulle finanze federali.

Una Svizzera sempre meno credibile

All’estero non è passato inosservato il fatto che la Svizzera si stia adagiando sul suo comodo e redditizio status speciale di Paese neutrale e stia partecipando in maniera insufficiente alla difesa dell’Ucraina, indipendentemente dal fatto che il sostegno sia di natura militare o umanitaria. Con un tasso di indebitamento del 17,8% del prodotto interno lordo, la Svizzera sul piano internazionale non può spiegare in modo credibile perché non può stanziare ulteriori fondi per l’Ucraina. Allo stesso tempo, con le loro proposte di finanziamento per il riarmo dell’esercito e la tredicesima mensilità AVS, l’UDC e il PLR alimentano l’idea che la Svizzera possa abbandonare completamente i suoi obblighi internazionali.

Così il nostro Paese si isola sempre di più, perdendo credibilità a livello internazionale. Addio ruolo di mediatore, addio tradizione umanitaria e partner affidabile. Il Consiglio federale ha interpretato bene i segni dei tempi, ma ha scelto la strada dell’isolamento. Solo il Parlamento può ancora correggere il tiro e invertire la direzione per l’Ucraina e il Sud globale.

 

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Comunicato stampa

La «chambre de destruction» minaccia la sicurezza della Svizzera

04.06.2024, Finanziamento dello sviluppo

La decisione del Consiglio degli Stati di togliere due miliardi di franchi alla cooperazione allo sviluppo è fatale e mette a repentaglio la sicurezza della Svizzera. I tagli alla cooperazione allo sviluppo di oggi sono le crisi di domani e la reputazione internazionale della Svizzera ne sarebbe irrimediabilmente danneggiata.

La «chambre de destruction» minaccia la sicurezza della Svizzera

Sessione estiva al Consiglio degli Stati: Grande assente: la solidarietà.

© Servizi del parlamento, 3003 Bern

 

Secondo i dati dell’ONU, nel 2024 nel mondo circa 300 milioni di persone dipendono dall’aiuto umanitario. Sono colpite da guerre, catastrofi naturali o fame e hanno urgente bisogno di cibo, acqua potabile, assistenza medica, accesso all’istruzione o protezione. L’aiuto umanitario garantisce la sopravvivenza, mentre la cooperazione allo sviluppo è fondamentale affinché le persone possano uscire dalla povertà nel lungo periodo.

I risparmi previsti dal Consiglio degli Stati destinati all’esercito, insieme ai contributi per l’Ucraina, significherebbero tagli equivalenti a un terzo del budget. Vorrebbe dire interrompere progetti in corso funzionanti e distruggere strutture messe in piedi nel corso di decenni per le persone che hanno più bisogno di aiuto. La prevenzione dei conflitti a lungo termine non deve scivolare in secondo piano a causa della corsa alle armi innescata dall’aggressione russa all’Ucraina. La cooperazione allo sviluppo fornisce un contributo indispensabile alla sicurezza della Svizzera sul lungo periodo.

Finanziare il riarmo dell’esercito a spese dei più poveri significherebbe che la cooperazione allo sviluppo, già indebolita dai tagli e dal finanziamento degli aiuti all’Ucraina, non sarebbe più in grado di adempiere al suo mandato costituzionale. I 500 milioni di franchi all’anno che verrebbero a mancare corrispondono a molto più dell’intero sostegno della Svizzera all’Africa. La Svizzera si vedrebbe costretta ad abbandonare la popolazione di interi Paesi. Dovrebbe ritirare il suo sostegno a organizzazioni multilaterali come il Programma alimentare mondiale, che salva le persone dalla fame, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) o la Banca africana di sviluppo. Le conseguenze per la reputazione internazionale della Svizzera, già criticata per la sua mancanza di impegno, sarebbero disastrose.

«I politici dell’insicurezza nel Consiglio degli Stati stanno accettando un’ulteriore instabilità, che spinge la gente a fuggire. Non si preoccupano neppure del fatto che con una tale decisione la Svizzera si esporrebbe ancor di più alle critiche sul piano internazionale. Il Consiglio nazionale deve far rinsavire la chambre de destruction», sostiene Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud, centro di competenza per la cooperazione internazionale e la politica di sviluppo.

 

Per ulteriori informazioni:

Andreas Missbach, direttore di Alliance Sud, tel. 031 390 93 30, andreas.missbach@alliancesud.ch

Laura Ebneter, esperta di cooperazione internazionale presso Alliance Sud, tel. 031 390 93 32, laura.ebneter@alliancesud.ch