Comunicato stampa

La Svizzera resta il nr. 1 dei paradisi fiscali

29.10.2015, Finanza e fiscalità

Secondo la nuova classifica del Financial Secrecy Index, la piazza finanziaria svizzera continua ad essere in testa nel nascondere i soldi dell’evasione fiscale e nel dissimulare i flussi finanziari illeciti.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

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La Svizzera resta il nr. 1 dei paradisi fiscali

Articolo

La piazza finanziaria protegge gli amici di Putin

03.03.2022, Finanza e fiscalità

Con la guerra in Ucraina, la Svizzera ufficiale ha palesato le contraddizioni tra i principi della sua politica estera e i suoi interessi in materia di politica econo-mica estera. È finalmente giunto il momento di superarle.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

La piazza finanziaria protegge gli amici di Putin

Manifestazione per la pace a Berna il 26 febbraio 2022: la società civile fa pressione sul Consiglio federale affinché rafforzi le sanzioni contro la Russia.
© Marco Fähndrich / Alliance Sud

L'invasione russa in Ucraina ha portato alla luce le principali debolezze della politica estera elvetica. Come già avvenuto nei mesi precedenti, quando le tensioni tra Russia, Ucraina e NATO continuavano a crescere, il Consiglio federale ha recitato, durante la prima settimana di guerra, il ruolo che corrisponde all’immagine che la Svizzera ufficiale dà nel mondo in materia di politica estera. Si tratta in particolare dei principi di neutralità, di mediazione diplomatica tra le parti in conflitto ("buoni uffici") e dell’insistenza sul rispetto dei diritti umani e dei popoli. Il ministro degli Affari esteri e presidente della Confederazione Ignazio Cassis ha così proposto ai belligeranti un incontro a Ginevra per intavolare dei negoziati di pace. Nel frattempo il governo ucraino ha però preferito rivolgersi a Israele. E al tempo stesso, i belligeranti si parlano in Bielorussia, vicino alla frontiera ucraina. Il nostro Paese non ha nessun ruolo. È dunque lecito pensare che i buoni uffici della Svizzera interessino attualmente soprattutto la Svizzera.

Nell’impiccio tra UE/USA e la lobby della piazza finanziaria

Dunque, mentre la diplomazia svizzera lavorava per le persone presenti nelle tribune in queste ultime settimane e questi ultimi mesi, il Consiglio federale ha impiegato quattro lunghe giornate caotiche per aderire completamente alle sanzioni dell’Unione europea contro la Russia. Quattro giorni durante i quali i russi facoltosi, vicini al regime, hanno potuto riorganizzare le loro costruzioni transnazionali di società, investimenti e conti, nelle quali alcune banche svizzere e altri prestatori di servizi finanziari svolgono (o hanno svolto) un ruolo, in modo tale che non possano più essere colpite dalle sanzioni. Ad ogni modo, la NZZ riferisce come sia molto grande, vista dall’interno della piazza finanziaria, la frenesia negli affari russi. La maniera in cui le banche reagiscono alle sanzioni sembra essere una questione strategica: alcune puntano su un’applicazione estremamente restrittiva per ridurre al minimo i rischi giuridici, considerevoli in questo contesto; altre cercano invece di essere il meno trasparenti possibile, per rendersi ancor più attrattive agli occhi dei clienti russi. È ipotizzabile che la pressione politica sul Consiglio federale, esercitata dall’UE e dagli Stati Uniti affinché prendesse delle sanzioni, ha dovuto superare quella esercitata dai rappresentanti politici della piazza finanziaria per far sì che il nostro governo, a maggioranza di destra, si decidesse a prendere questa misura.

Non c’è però alcuna garanzia che le sanzioni finanziarie contro i ricchi russi siano davvero qualcosa in più di una politica simbolica. Le strutture offshore con le quali i ricchi del mondo intero gestiscono oggi il loro denaro sono transnazionali e così intrecciate l’una nell’altra che spesso risulta quasi impossibile, per le autorità, attribuire chiaramente dei fondi patrimoniali a delle persone precise. Il New York Times ha così riferito che Vladimir Putin, sanzionato dagli Stati Uniti e dalla Svizzera, era probabilmente il più ricco dei russi, ma che nessuno sapeva dove si trovava esattamente il suo denaro. Persino il presidente delle Confederazione Cassis ha dovuto ammettere, alcuni giorni fa, che non si sapeva se Putin avesse a disposizione dei conti in Svizzera. L'applicazione delle sanzioni si scontra qui con il modello commerciale tradizionale della piazza finanziaria svizzera, che si basa sulle camere oscure piuttosto che sulla trasparenza. Le banche e i consulenti finanziari continuano a proporre, in Svizzera, dei servizi che favoriscono l’evasione fiscale, il riciclaggio di denaro sporco, la corruzione e gli affari criminali. È ciò che hanno mostrato recentemente – come in precedenza numerose altre fughe di notizie – i "Suisse Secrets"; una vasta collezione di dati provenienti dall’amministrazione patrimoniale globale di Credit Suisse (CS), che è stata trasmessa alla Süddeutsche Zeitung da un whistleblower. Nessuno ha saputo dare una risposta precisa alla seguente domanda: a quanto ammontano le somme di denaro russo gestite dalle banche in Svizzera? La NZZ ha scritto tra i 50 e i 150 miliardi di franchi. Già solo quest’ampia differenza tra i due valori è rivelatrice dell’assenza di trasparenza della nostra piazza finanziaria. Queste stime non considerano in ogni caso i capitali dei russi domiciliati in Svizzera. La somma degli averi di questi residenti dovrebbe situarsi nello stesso ordine di grandezza di quella degli stranieri. Un domicilio in Svizzera è infatti molto interessante per i ricchi, anche in termini di gestione patrimoniale, poiché essi beneficiano della protezione ancora molto rigida del segreto bancario nazionale. La "Goldküste" zurighese, le stazioni alpine come Gstaad o St. Moritz, nonché le rive dei laghi di Zugo e di Ginevra sono la prova che i ricchi russi vivono volentieri in Svizzera, anche se magari solo parzialmente.

Una banca all’origine d’un nuovo scandalo

Da parte sua, CS non ha fatto solamente brutte figure sulla stampa di queste ultime settimane con i "Suisse Secrets". Il Financial Times ha rivelato ieri che la grande banca svizzera negli ultimi giorni aveva domandato a degli hedge fund e ad altri investitori, sotto l’effetto delle sanzioni, di distruggere dei documenti di alcuni clienti russi sanzionati. La banca aveva accordato loro dei crediti per i quali, a fungere da garanzia, c’erano yacht, beni immobiliari e altri "giocattoli" simili. Alla fine del 2021, la banca aveva "trasferito" una parte di questi rischi di credito ai relativi hedge fund. Si suppone che, con questa esortazione, CS abbia voluto aiutare i clienti russi a sfuggire alle sanzioni. Alla luce degli scandali che una delle principali banche svizzere ha prodotto quasi tutte le settimane in questi ultimi mesi, il principio di base della filosofia svizzera in materia di compliance, ossia l’autocontrollo delle banche sul rispetto del loro dovere di diligenza, sembra quasi uno scherzo.

La reazione estremamente esitante del Consiglio federale di fronte allo scoppio della guerra in Ucraina, e il simultaneo comportamento commerciale molto sleale di una delle due grandi banche elvetiche, nuocciono alla reputazione della Svizzera e minacciano così anche la credibilità della sua politica estera. La scorsa settimana, il ministro degli Affari esteri Cassis ha giustificato ancora la rinuncia iniziale del Consiglio federale ad applicare le sanzioni dell’UE e degli Stati Uniti, sostenendo che si voleva tener aperta la via del dialogo con Putin. Scuse simili non sono una novità ma, contrariamente al mito, costituiscono la funzione reale della neutralità svizzera: essa rappresenta, specialmente in caso di conflitto, soprattutto una possibilità di (continuare a) fare degli affari con tutte le parti, piuttosto che permettere alla diplomazia di svolgere un vero ruolo di mediatore tra le parti in guerra.
L'affermazione di quest’ultima è sempre stata, ed è sempre, più facile da giustificare politicamente. È ciò che è successo durante la Seconda Guerra mondiale con la Germania nazista oppure negli anni ’80 del secolo scorso con l’aggiramento delle sanzioni economiche negli scambi con il Sudafrica dell’apartheid. Considerando i nuovi e drammatici grandi conflitti nel mondo, la Svizzera non sembra più potersi permettere, fino a nuovo avviso, una strategia di politica estera così ambigua. Il fatto che la Svizzera, dopo aver inizialmente rifiutato le sanzioni americane ed europee, le abbia finalmente adottate (o abbia dovuto farlo), è in ogni caso un segnale.

È necessaria un’inversione della politica estera

Il Consiglio federale e il Parlamento farebbero quindi bene a cogliere l’occasione data dalle crisi attuali per invertire il rapporto tra la politica estera e la politica economica estera della Svizzera: i valori fondamentali della politica estera svizzera non dovrebbero più servire da foglia di fico morale per i difficili interessi economici esteri. La pratica di quest’ultima dovrebbe invece orientarsi sui principi della prima. D’altronde la Svizzera s’è impegnata in favore di tale coerenza politica quando ha promesso, nel 2015, con tutti gli Stati membri dell’ONU, di attuare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU, che sono quindi stati integrati nell’Agenda 2030. Quest’ultima si basa sul principio della coerenza politica per lo sviluppo sostenibile. In teoria, questo principio significa che nessun settore politico dovrebbe contraddire gli obiettivi d’un altro.

A medio termine, come primo passo efficace verso una politica fiscale e finanziaria svizzera, coerente dal punto di vista del diritto internazionale e dei diritti umani, la Berna federale potrebbe aumentare la trasparenza delle costruzioni offshore. Per questo, è necessario un registro pubblico che indichi i proprietari effettivi di un conto bancario o di una società di comodo. A breve termine, il Consiglio federale deve mettere in piedi una task force che riunisca tutte le istituzioni federali interessate (Dipartimento federale delle finanze (DFF), Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA), Ministero pubblico della Confederazione (MPC), Ufficio di comunicazione in materia di riciclaggio di denaro (MROS)). Essa potrebbe permettere la messa in atto effettiva delle sanzioni, esaminando le strutture patrimoniali reali delle persone sanzionate e stabilendo così un legame tra i nomi e i patrimoni. Altri Paesi hanno già deciso di costituire una task force simile, in particolare la Germania e gli Stati Uniti.

Delle società più giuste, più ecologiche e più democratiche sono la miglior assicurazione contro i despoti brutali come Vladimir Putin. Una politica commerciale ed economica che favorisce l’equilibrio politico, distribuendo equamente le ricchezze, è a sua volta una condizione necessaria alla loro costruzione. La Svizzera, nel suo ruolo di centro finanziario e commerciale importante, dispone di leve efficaci su scala mondiale che le permettono di contribuire a degli sviluppi di questo tipo.

Articolo, Global

Un cucù troppo grande per il nido svizzero?

27.06.2023,

La prossima crisi finanziaria è altrettanto prevedibile quanto le colonne al tunnel del San Gottardo. Ma nessuno sa esattamente quando avverrà e quale attore dell’enorme e molto complesso sistema finanziario la provocherà.

Un cucù troppo grande per il nido svizzero?

Nel corso degli ultimi 200 anni, c’è stato un solo periodo senza una grande crisi finanziaria, più precisamente dal 1945 al 1973. Per quale motivo? Durante i «trenta gloriosi», il periodo di boom economico del secondo dopoguerra, le banche, ma anche l’importazione e l’esportazione di capitali, erano fortemente regolamentate. Inoltre, le valute non erano liberamente convertibili. Era anche l’epoca in cui i fallimenti bancari erano rari.

Ma da dove viene la previsione secondo cui la crisi attuale, dopo il crollo di Credit Suisse nelle braccia di UBS, non sarebbe terminata nemmeno in Europa? Dalla storia, che ci ricorda come i forti aumenti dei tassi d’interesse negli Stati Uniti hanno già preceduto numerose grandi crisi finanziarie.

I tassi d’interesse più alti delle banche centrali spostano l’intera struttura dei prezzi nei mercati finanziari. Le obbligazioni di Stato emesse quando i tassi d’interesse sono bassi, ad esempio, si rivelano poco redditizi visto il tasso d’interesse basso che prevale durante tutta la loro durata di vita – talvolta diversi decenni. Per contro, le nuove obbligazioni emesse hanno un tasso d’interesse più elevato, ciò che fa abbassare il corso delle obbligazioni a basso tasso d’interesse, e quindi il loro valore. Le società finanziarie che devono valutare le vecchie obbligazioni nei loro conti al corso attuale, o addirittura venderle, sono confrontate a un problema.

Bolle e «zombi»

L’aumento dei tassi d’interesse è anche sinonimo di pericolo, visto che in questi ultimi anni era molto vantaggioso indebitarsi. Di conseguenza il mercato finanziario si è gonfiato. Dalla grande crisi finanziaria del 2008, il volume degli investimenti finanziari mondiali è più che raddoppiato fino al 2021, mentre il prodotto interno lordo (PIL) mondiale è aumentato solo di un terzo nello stesso periodo. Oggi il mercato finanziario è quindi oltre cinque volte e mezzo più voluminoso di tutti i beni e servizi prodotti nel mondo (ossia il PIL del pianeta).

I tassi d’interesse bassi hanno permesso di «far leva» sulle rendite. Semplificando grossolanamente, si può spiegare il tutto così: un hedge fund (un fondo speculativo non regolamentato, rivolto soprattutto a una clientela molto ricca) ha una possibilità di investimento che rende il 5%. Investe 100 milioni e realizza un utile 5 milioni, che però è ampiamente insufficiente. Dunque si fa prestare dalle banche 1 000 milioni al 2% d’interesse per investirli di nuovo con una rendita del 5 %. Con la differenza d’interesse del 3%, realizza un utile supplementare di 30 milioni. La rendita totale è ormai salita a 35 milioni al posto di 5 (deve pagare 20 milioni d’interessi alla banca, ma guadagna al tempo stesso 50 milioni con il credito reinvestito: la differenza è dunque di 30 a suo favore). E questo, semplificando ancora una volta, è il motivo per cui i patrimoni più importanti hanno conosciuto una crescita eccezionale negli ultimi anni.   

Ma i tassi d’interesse bassi permettono anche di mantenere in vita dei modelli commerciali o delle imprese che, in circostanze «normali», sarebbero falliti. Anche la Banca centrale americana chiama queste imprese, che in realtà non sono più redditizie, delle imprese «zombi». A fine marzo, con l’abituale linguaggio ovattato delle istituzioni specializzate, la Banca d’Inghilterra ha avvertito che le obbligazioni societarie più rischiose sono «particolarmente vulnerabili» agli aumenti dei tassi d’interesse e «i rischi geopolitici accresciuti rafforzano la probabilità che vengano a delinearsi delle vulnerabilità finanziarie».

Attualmente è considerato come particolarmente sensibile alla crisi anche il Commercial Real Estate (CRE), cioè gli immobili commerciali, soprattutto negli Stati Uniti. Oltre al fatto che si è costruito troppo generosamente con del denaro a buon mercato, va aggiunta anche l’incertezza legata agli immobili adibiti a uffici: ci si chiede infatti se saranno ancora tutti necessari nell’era del telelavoro.  

Non c’è dubbio che qualche impresa e alcuni fondi immobiliari falliranno, ma… «who cares»? Se le autorità di regolamentazione e le autorità di mercato s’interessano a questa questione, ciò è dovuto ai meccanismi ben conosciuti della crisi finanziaria mondiale del 2008. In effetti, i debiti dell’immobiliare commerciale non sono semplicemente depositati presso una qualsiasi banca regionale americana (alcune delle quali già barcollano pericolosamente o stanno praticamente fallendo), ma sono pure stati mescolati e legati in prodotti derivati o, detto in altre parole, in attività finanziarie di secondo ordine che fungono da valore di base. Questi attivi sono stati in seguito frazionati in «parti di rischio» e poi rivenduti.

È quindi impossibile sapere chiaramente chi è seduto su dei crediti inesigibili e quali istituti finanziari hanno prestato del denaro agli attori che hanno accettato dei crediti potenzialmente inesigibili. Il miglior modo per immaginarsi la situazione è di far ricorso all’analogia della salsiccia: se uno degli ingredienti fosse della carne avariata, sarebbe impossibile vedere se ogni fetta è toccata dal problema. Dunque si tralascia l’intera salsiccia. Durante l’ultima crisi finanziaria mondiale del 2007/2008, le ipoteche private hanno avuto un effetto domino simile. In fin dei conti la sfiducia sui mercati finanziari era tale che le banche non si prestavano più denaro. Un’evoluzione simile potrebbe riprodursi anche oggi.

Banche ombra o NBFI

Dal 2008, il ruolo delle banche ombra (dette anche fantasma o parallele) è aumentato in maniera sproporzionata e oggi, secondo il Consiglio di stabilità finanziaria, esse rappresentano più della metà del sistema finanziario mondiale. Sotto questo termine sono inclusi i fondi speculativi, le società di capitale-investimento (private equity) e gli investitori istituzionali che in parte fanno le stesse cose delle banche, ma che non sono regolamentati e sorvegliati come loro. Essi rimangono quindi all’ombra e sono generalmente domiciliati nei paradisi fiscali. Per mostrarsi rassicuranti, le autorità di regolamentazione non parlano più di sistema bancario parallelo, ma d’istituti finanziari non bancari (non-banking financial institutions, NBFI). Gli NBFI sono però poco trasparenti e piuttosto incomprensibili: gli hedge fund, ad esempio, speculano con denaro proprio e con molto denaro preso in prestito su tutto ciò che si muove e che promette un qualsiasi tipo di rendita — dalla caduta del corso delle azioni ai fallimenti societari, passando per la meteo (sì, avete letto bene, esistono dei prodotti derivati sulla meteo). I fondi di capitale-investimento investono il loro denaro in società a rischio e finanziano le acquisizioni d’imprese. Le banche ombra includono anche le società di finanziamento e d’investimento come Blackrock, i fondi indicizzati, i fondi del mercato monetario o i family offices dei super ricchi. Anche le casse pensioni e i gruppi assicurativi ricorrono al settore bancario «nascosto».
 
Ma ciò non significa che, da un lato le banche ombra, e dall’altro gli istituti bancari che tutti conosciamo, operano fianco a fianco. In realtà, i due sono molto intricati tramite debiti e investimenti. E numerosi attori dell’ombra, ad esempio alcuni fondi speculativi, sono particolarmente indebitati. Per questo motivo il sistema bancario parallelo è considerato come il principale candidato alla caduta della prima tessera del domino.

Ma cosa significa questo per la Svizzera? Secondo l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari (Finma), la nuova UBS detiene ormai 35 000 miliardi di franchi di prodotti derivati e strutturati. Martin Wolf, capo commentatore economico del Financial Times e autore di un’opera di riferimento sulla crisi finanziaria mondiale, su questo tema ha confidato alla NZZ am Sonntag che è estremamente improbabile che il management comprenda i rischi ai quali è esposta la propria banca, indipendentemente da ciò che esso dice. Sempre secondo Wolf, la questione è anche davvero complessa: esistono delle pretese nei confronti di così tante controparti di cui si ignorano molte cose (...). La sua conclusione: «Se fossi svizzero, mi direi che questo nuovo cucù, l’UBS, è forse un po’ troppo grande per il nostro nido».

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Nel 2017 la Svizzera ha introdotto lo scambio automatico internazionale d’informazioni relative ai dati dei clienti bancari (SAI); nel frattempo il nostro Paese li gestisce con oltre 100 Stati. Spesso ciò viene interpretato dall’opinione pubblica elvetica come un’abolizione del segreto bancario svizzero. In realtà, l’introduzione del SAI è un passo importante per identificare meglio le persone facoltose che evadono il fisco con l’aiuto delle banche in Svizzera e di altri intermediari finanziari.

Tuttavia, il SAI non ha segnato la fine del segreto bancario che, come in passato, resta ancorato e immutato nelle relative leggi. Inoltre, molti Paesi del Sud globale non beneficiano ancora di questo scambio di dati con la Svizzera. Dato che il segreto bancario nel territorio nazionale resta inviolato, i clienti stranieri delle banche svizzere sono fortemente incentivati a spostare il loro domicilio in Svizzera per eludere il SAI con i loro Paesi d’origine. Alliance Sud lavora per favorire delle riforme che permettano di modificare questa situazione.