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Progetto fiscale e finanziamento dell’AVS

22.01.2019, Finanza e fiscalità

Il 19 maggio si voterà sulla riforma dell’imposizione delle imprese, che il Parlamento ha legato al finanziamento supplementare dell’AVS. Dal punto di vista dello sviluppo, la proposta, che fa seguito al rifiuto della RII III, non è un progresso.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

Progetto fiscale e finanziamento dell’AVS

Il collegamento da parte del Parlamento di due affari politici - l'imposizione delle imprese e il finanziamento dell'AVS - è ampiamente definito di mercanteggiamento.
© Pixabay

Dopo l’esito del referendum contro la Riforma fiscale e il finanziamento dell’AVS, gli elettori si pronunceranno di nuovo sulla riforma dell’imposizione delle imprese, rimasta in sospeso. L’analisi della politica fiscale fatta da Alliance Sud mostra che, dal punto di vista della politica di sviluppo, la proposta non contiene alcun progresso significativo rispetto alla riforma dell’imposizione delle imprese III (RII III), che è stata rifiutata due anni fa. Ancora una volta, è previsto di sostituire i vecchi regimi fiscali speciali, che nuociono allo sviluppo, con dei nuovi.

La proposta attuale è volta a dare all’imposizione svizzera delle società una forma accettata internazionalmente e ad abolire definitivamente i vecchi regimi fiscali speciali, riservati esclusivamente ai benefici dei gruppi stranieri tassati in Svizzera. E’ una buona cosa dal punto di vista dello sviluppo. Al contempo però, crea nuove possibilità per le multinazionali di trasferire i profitti. Spostando i profitti verso paesi dalla pressione fiscale ridotta, come la Svizzera, le imprese privano i paesi in via di sviluppo di introiti fiscali potenziali stimati a 200 miliardi di dollari all’anno.

L’analisi dettagliata fatta da Alliance Sud del nuovo strumento di dumping fiscale della Riforma fiscale e finanziamento dell’AVS mostra che la nuova politica fiscale svizzera contemplata non è compatibile con gli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU. La Svizzera, che è il  paese con la più alta densità di sedi di multinazionali per abitante, ha una responsabilità particolare nella lotta contro le disuguaglianze sociali nel mondo e per il finanziamento adeguato dell’Agenda 2030.

Per via del dumping fiscale di giuridizioni dalla fiscalità bassa come la Svizzera, l’imposta sulle società è in diminuzione in tutto il mondo da decenni. Ciò impedisce di fornire i servizi pubblici sanitari, educativi o di infrastrutture più urgenti ai gruppi sfavoriti della popolazione nei paesi in via di sviluppo. La Svizzera non è un parassita del treno che porta nel baratro la fiscalità internazionale delle imprese – è una delle locomotive e lo resterà con la Riforma fiscale e finanziamento dell’AVS. 

Nonostante le lacune notevoli della parte fiscale del disegno di legge, Alliance Sud si astiene dal dare indicazioni di voto sulla Riforma fiscale e il finanziamento dell’AVS. La parte AVS del disegno di legge porta su una questione di politica interna che oltrepassa il mandato di politica di sviluppo dell’organizzazione. Al contempo, i membri di Alliance Sud hanno opinioni divergenti sulla possibilità di pervenire ad una riforma dell’imposizione delle imprese giusta dal punto di vista dello sviluppo al di là della proposta attuale. Ciononostante è chiaro che detta riforma rimane necessaria indipendentemente dal risultato del voto di maggio.

Comunicato stampa

RFFA: vecchi difetti – nuove etichette

08.04.2019, Finanza e fiscalità

Il 19 maggio, gli elettori si pronunceranno sulla Riforma fiscale e finanziamento dell'AVS (RFFA). L'aspetto fiscale del progetto di legge non fa nessun passo in avanti in materia di politica di sviluppo rispetto alla precedente Riforma, la RII III.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

+41 31 390 93 35 dominik.gross@alliancesud.ch
RFFA: vecchi difetti – nuove etichette

Per il Sud.
© Pixabay

La réforme de l'imposition des entreprises (RIE III) a été clairement rejetée en février 2017 grâce à la résistance des syndicats et des partis rouges-verts aux urnes. La partie fiscale de la RFFA – comme c'était déjà l'objectif de la RIE III – con­siste désormais à remplacer les anciens privilèges fiscaux spéciaux accordés aux entreprises des secteurs pharmaceutique, financier et des matières premières, qui doivent être abolis d'ici fin 2019, par de nouvelles incitations à la fraude fiscale. La boîte à brevets, l'impôt sur les bénéfices ajusté en fonction des intérêts ou l'indication des réserves latentes en cas d'immigration doivent être utilisés comme nouveaux instruments.

Dominik Gross, expert financier chez Alliance Sud, déclare : « Avec la RFFA, la Suisse veut continuer à importer des profits des multinationales étrangères. Les mécanismes correspondants recevront simplement de nouveaux noms. » Ce sont les pays en développement qui en subissent le plus les conséquences : les transferts de bénéfices des multinationales vers des juridictions à faible fiscalité comme la Suisse privent les communautés du monde entier de centaines de milliards de dollars de recettes fiscales potentielles chaque année. Dominik Gross : « C'est de l'argent qui serait nécessaire d'urgence pour lutter contre la pauvreté dans les pays du Sud ou pour la transition vers des infra­structures respectueuse du climat. »

Dans son document d’analyse détaillée sur la RFFA, Alliance Sud met en lumière les points suivants dans une perspective de développement :

  • Les anciens privilèges fiscaux accordés aux multinationales ne seront plus tolérés par l'UE et l'OCDE à partir de 2020. Ils devront être abolis d'ici la fin de l'année, quel que soit le résul­tat du vote sur la RFFA. Charles Juillard, président de la Conférence des directeurs financiers cantonaux, a déclaré à Radio RSF que le Département fédéral des finances l'avait récemment confirmé.
  • L'alternative la plus probable à la RFFA serait un mini-modèle sans nouveaux privilèges, comme le PDC l'avait déjà proposé lors de la consultation sur la proposition fiscale 17 de l'époque – avant de la lier au financement AVS.
  • Les nouvelles déductions fiscales sur les gains de brevets dans le cadre de la boîte à bre­vets sont difficiles à calculer. Selon les informations de l'administration fédérale, elles entraî­neront une réduction maximale de 70 % du bénéfice imposable et permettront ainsi d'atteindre un taux effectif d'imposition de seulement 9 %. La Suisse resterait ainsi une locomotive de la concur­rence fiscale internationale, ruineuse pour la population.
  • Le couplage de l'impôt sur le bénéfice ajusté en fonction des intérêts à un taux d'imposition minimum cantonal n'a aucun effet sur le développement. Pour les Etats dont les recettes fis­cales sont déduites, il importe peu que les bénéfices des sociétés correspondantes soient trans­férés dans différents cantons suisses ou qu'ils soient tous concentrés dans quelques cantons (pour l'instant, cela ne serait possible qu'à Zurich).
  • La nouvelle règle de remboursement en vertu du principe de l'apport en capital (PAC) ne s'applique pas lorsque les actionnaires concernés sont des personnes morales. Les réser­ves issues du capital d'une société qui s'installe en Suisse ou d'une filiale d'un groupe étranger après le 24 février 2008 (introduction de la PAC) sont également exemptées de la règle de rem­boursement. Dans tous ces cas, même après l'introduction de la RFFA, les sociétés peuvent ainsi rembourser à leurs actionnaires - en particulier aux actionnaires étrangers - leurs réserves de capi­taux à investir en toute exonération fiscale et continuer ainsi à éviter complètement l'imposition des dividendes en Suisse.
  • En augmentant sensiblement la part de l'impôt fédéral direct du canton, la Confédération subventionne des réductions d'impôts massives pour toutes les entreprises cantonales selon le principe de l'arrosoir. Cela donne un nouvel élan à la spirale descendante des taux d'imposition normaux dans la concurrence fiscale inter cantonale. Etant donné que les cantons sont également impliqués individuellement dans la « course internationale vers le bas », cette mesure est également préjudiciable à la politique de développement. En avril 2018, la Confédé­ration suisse des syndicats a supposé que le taux moyen de l'impôt cantonal sur les bénéfices serait réduit de 40 % à la suite de la proposition fiscale. La RFFA n'y change rien. La boîte à bre­vets et l'impôt sur les bénéfices ajusté en fonction des intérêts n'entravent pas cette spirale des­cendante – contrairement à ce que l'on prétend souvent. C'est ce que montrent les concepts de mise en œuvre de la RFFA de nombreux cantons.

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A chiunque prenda, verrà dato

23.02.2023, Finanza e fiscalità

Con la nuova imposizione minima, in origine l’OCSE intendeva rendere un po’ più equo il sistema fiscale internazionale applicato alle imprese. Il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati hanno trasformato tale intenzione nel suo contrario.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

A chiunque prenda, verrà dato

L'attuazione svizzera dell'imposizione minima OCSE è nell'interesse delle imprese, ma non del Sud globale. Nella foto: l'ex consigliere federale Ueli Maurer, a destra, con il vicecancelliere André Simonazzi.
© ANTHONY ANEX / Keystone SDA

Sul piano tecnico l’imposizione minima è indubbiamente molto complessa, ma a livello di pura politica interna il suo calcolo è molto semplice. L’ex ministro delle finanze svizzero Ueli Maurer è stato molto rapido nel farlo quando il Consiglio federale ha presentato il progetto per l’attuazione nazionale dell’imposizione minima a giugno dello scorso anno: «Se la Svizzera non prende i soldi in più, lo faranno gli altri», ha dichiarato. Tuttavia, per chi si batte a favore di una maggiore giustizia fiscale globale, come Alliance Sud, il ragionamento va fatto al contrario: i Paesi del Sud globale che ospitano controllate di gruppi di imprese svizzeri ricevono i soldi in più solo se non li prende la Svizzera.

Il fulcro dell’attuazione svizzera dell’imposizione minima è la cosiddetta imposta integrativa nazionale (nel linguaggio dell’OCSE “Domestic Minimum Top-up Tax, DMTT”). Essa garantisce che le multinazionali che in precedenza pagavano meno del 15% di imposte sui loro utili contabilizzati in Svizzera saranno ora soggette a percentuali fiscali aggiuntive che porteranno le aliquote effettive al minimo OCSE del 15%. Per esempio, una multinazionale attiva nel ramo delle materie prime del Cantone di Zugo finora pagava l’11% di imposte sugli utili. In futuro dovrà pagare imposte supplementari fino a coprire la differenza del 4%. Fin qui tutto bene, ma l’imposta integrativa nazionale nasconde un’insidia per la politica di sviluppo, che non sostiene affatto: tutto il gettito fiscale aggiuntivo rimane nel Cantone di Zugo, dove ha sede la multinazionale specializzata in materie prime. I Paesi del Sud del mondo dove l’impresa estrae le materie prime che poi commercia da Zugo rimangono a mani vuote. A torto, perché i profitti su cui i gruppi di imprese pagano le tasse in Svizzera spesso non sono realizzati qui, ma nei Paesi produttori del Sud globale - nel caso di un’impresa di materie prime, ad esempio, in una miniera di rame in un Paese africano.

I Paesi del Sud in cui le multinazionali svizzere hanno controllate ricevono i soldi dell’imposizione minima solo se la Svizzera non li prende. In altre parole, solo se la Svizzera non introduce l’imposta integrativa nazionale. Potrebbe farlo senza problemi poiché, a differenza dell’ultima riforma del sistema fiscale internazionale applicato alle imprese, questa volta l’OCSE, il G20 e l’UE non si basano su sanzioni contro i Paesi che non si adeguano, ma proprio su quegli incentivi di natura economica che Ueli Maurer ha splendidamente riassunto nella citazione sopra riportata.

L’attuazione svizzera non è un contributo a una maggiore giustizia fiscale globale

Per i Paesi economicamente svantaggiati del Sud del mondo in cui operano le multinazionali svizzere, l’imposizione minima non rappresenta un passo avanti, anzi si tratta addirittura di un passo indietro, per i seguenti motivi.

a) L’aliquota dell’imposizione minima è troppo bassa: le aliquote fiscali sugli utili nei Paesi produttori del Sud globale sono generalmente comprese tra il 25% e il 35%. L’imposizione minima del 15%, molto più bassa, non garantisce loro alcun gettito aggiuntivo. Nella primavera del 2021, gli Stati Uniti avevano chiesto un’aliquota fiscale minima del 21% sotto la nuova amministrazione democratica di Biden. Poi la Svizzera, insieme ad altri Paesi a bassa tassazione come l’Irlanda e il Lussemburgo, ha negoziato con successo una riduzione dell’aliquota. È quanto dimostra una lettera di Ueli Maurer al Segretario generale dell’OCSE Mathias Corman dell’autunno 2021.

b) L’imposizione minima non impedisce il trasferimento degli utili: le multinazionali trasferiscono gli utili che realizzano con la produzione in Paesi ad alta tassazione a Paesi a bassa tassazione con aliquote fiscali molto ridotte. In questo modo risparmiano parecchie tasse nei Paesi produttori, ma allo stesso tempo permettono ai Cantoni svizzeri di tassare a basse aliquote utili che non sono nemmeno stati realizzati nel nostro Paese. Ne è un esempio il caso del commerciante di materie prime agricole svizzero-lussemburghese Socfin. Inoltre, l’équipe di economisti guidata dal professore di Stanford Gabriel Zucman mostra che l’anno scorso le multinazionali hanno trasferito 111 miliardi di dollari di utili in Svizzera. Il 39% del gettito totale dell’imposta sull’utile in Svizzera, pari a 22,7 miliardi di dollari, proviene da questo fenomeno di profit shifting. Tuttavia, il calcolo non include il trasferimento degli utili da molti Paesi del Sud, perché mancano i dati fiscali necessari. Comunque, casi come quello citato della Socfin di Friburgo dimostrano che gli importi di tale trasferimento di utili probabilmente siano molto più elevati. Da uno studio degli economisti Petr Janský e Miroslav Palanský del 2019 emerge che ogni anno almeno 80 miliardi di euro di utili vengono trasferiti dai Paesi in via di sviluppo a Paesi a bassa tassazione come la Svizzera. Tuttavia, ad oggi resta impossibile dire con esattezza quanto di questo denaro finisca in Svizzera a causa dei già citati problemi di dati nei Paesi d’origine nonché per la mancanza di trasparenza degli standard contabili svizzeri. Anche con l’introduzione dell’imposizione minima, la Svizzera continua a essere un obiettivo attraente per il trasferimento di utili dai Paesi in via di sviluppo.

c) L’imposizione minima limita l’autonomia fiscale dei Paesi del Sud del mondo: se la Svizzera introdurrà l’imposizione minima, priverà i Paesi del Sud globale che ospitano controllate di multinazionali svizzere del diritto di tassare tali controllate secondo le proprie leggi fiscali nazionali. Questi Paesi non potranno più applicare misure unilaterali alle controllate delle grandi imprese svizzere, come una ritenuta alla fonte sui pagamenti transfrontalieri infragruppo superiore al 9% (che è la soglia ancora consentita dalle nuove norme OCSE). Ciò comporta ulteriori perdite fiscali nei Paesi interessati.

Quindi questa riforma non solo lascia a mani vuote i Paesi economicamente svantaggiati del Sud globale, ma limita ulteriormente la loro indipendenza fiscale. Per cercare almeno di ridurre questa ingiustizia globale, Alliance Sud a marzo 2022 ha proposto che una parte delle entrate aggiuntive previste in Svizzera venga restituita ai Paesi a basso reddito del Sud del mondo. Ciò avrebbe potuto avvenire facilmente mediante gli strumenti del finanziamento della cooperazione internazionale o del finanziamento climatico internazionale. Nella discussione parlamentare sul disegno di legge svizzero, tuttavia, non è stata prestata attenzione all’impatto che l’imposta integrativa svizzera avrà sui Paesi del Sud globale. Sviluppi come questo potrebbero anche essere una delle ragioni per cui importanti economie africane come la Nigeria e il Kenya hanno annunciato che non introdurranno l’imposizione minima. Tuttavia ciò serve a poco a questi Paesi se hanno a che fare con multinazionali la cui sede si trova in un Paese che, come la Svizzera, vuole introdurre un’imposta integrativa nazionale: il gettito fiscale aggiuntivo viene percepito in quest’ultimo e i diritti di tassazione del Paese nei confronti delle controllate sono ridotti.

Misure di promozione della piazza economica

Secondo la volontà del Parlamento, solo il 25% del gettito aggiuntivo dell’imposizione minima rimarrebbe al governo federale. Il restante 75% andrebbe ai Cantoni. Ad approfittarne sono soprattutto le due note regioni di bassa imposizione fiscale Zugo (commercianti di materie prime) e Basilea Città (industria farmaceutica). Anche il modo in cui verranno utilizzate le entrate fiscali aggiuntive è già in gran parte chiaro. Nel caso della Confederazione, in conformità con il Decreto federale le entrate devono essere utilizzate esplicitamente per misure di promozione della piazza economica. Molti Cantoni hanno già annunciato misure di questo tipo, probabilmente soprattutto sotto forma di riduzioni delle imposte sul capitale o delle imposte sulle persone fisiche con redditi elevati (ad esempio manager del gruppo). Sono in discussione anche nuovi accordi speciali tra le autorità fiscali cantonali e le multinazionali in cui lo Stato si fa carico di una parte dei costi operativi, misure di promozione della ricerca per start-up (legate al settore farmaceutico) (a Basilea) o addirittura sovvenzioni per i salari nelle multinazionali.

Insomma, il gettito aggiuntivo dell’imposizione minima in Svizzera non sarà utilizzato a beneficio della comunità, come richiesto dalla sinistra in Parlamento, ma tornerà alle multinazionali stesse. Entrate aggiuntive che, si noti bene, di solito derivano dal trasferimento degli utili dei gruppi da Paesi con aliquote fiscali superiori al 20 o 25 per cento. Dal punto di vista delle multinazionali, questo è un trucco sofisticato: le entrate fiscali che le grandi imprese multinazionali svizzere sottraggono agli altri Paesi trasferendo i loro utili in Svizzera e facendoli tassare qui con aliquote molto più basse verranno ora riutilizzate in Svizzera a beneficio proprio di queste imprese. Non c’è da stupirsi che associazioni di imprese come Economiesuisse o Swiss Holdings vogliano a tutti i costi questa riforma, anche se a prima vista i loro membri dovranno pagare più tasse di prima.

Le scappatoie fiscali minano ulteriormente l’imposizione minima

Ma non è tutto: il concetto di attuazione dell’imposizione minima, presentato al Parlamento dal Consiglio federale, è anche pieno di scappatoie fiscali. Il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati non si sono occupati nemmeno di queste negli ultimi mesi. Pertanto c’è un certo rischio che, contrariamente alle aspettative, l’imposizione minima non porti ad alcun significativo gettito aggiuntivo in Svizzera. Viene quindi naturale sospettare che la maggioranza borghese a Berna voglia introdurre l’imposizione minima principalmente per proteggere le multinazionali svizzere da un’ulteriore tassazione in altri Paesi.

In ultima analisi, ciò va a scapito delle popolazioni in Svizzera e nel mondo. Le multinazionali svizzere nei Paesi poveri del Sud del mondo non si limitano a sfruttare la manodopera o a inquinare l’ambiente. Con il loro dumping fiscale, impediscono anche lo sviluppo di buoni sistemi di istruzione, sanità e infrastrutture. La legislazione svizzera sull’imposizione delle imprese in questo viene in loro aiuto in modo decisivo. Alliance Sud non può accettare un’altra riforma dell’imposizione dei grandi gruppi di imprese che in ultima analisi avvantaggia soprattutto i gruppi stessi. Essa danneggia direttamente i Paesi in via di sviluppo. La Svizzera dovrebbe invece astenersi dall’introdurre l’imposizione minima, dando così ai Paesi produttori delle multinazionali svizzere la possibilità di tassarle come meglio credono.

Per ulteriori informazioni:
Dominik Gross, esperto di politica fiscale, Alliance Sud, tel. +41 78 838 40 79

Articolo, Global

New York anziché Parigi!

18.06.2023, Finanza e fiscalità

Nel 2016, l'OCSE prometteva una riforma del sistema fiscale internazionale che avrebbe tenuto conto anche degli interessi dei Paesi del Sud mondiale. Sette anni dopo, si nota chiaramente che l’OCSE ha fallito nelle sue proprie ambizioni.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

New York anziché Parigi!

Una strada principale davanti alla sede delle Nazioni Unite a New York.
© Ed JONES / AFP / Keystone

«Affinché il denaro resti in Svizzera»: è ciò che si poteva leggere sui manifesti dei favorevoli all’introduzione dell’imposta minima dell’OCSE nel nostro Paese. Con questo semplice slogan, le associazioni di multinazionali d’economiesuisse e di SwissHoldings hanno vinto la votazione del 18 giugno, con l’aiuto benevolo dei partiti borghesi. Il Consiglio federale potrà applicare l’imposta minima a partire dal 1° gennaio 2024. Se questa genererà effettivamente introiti supplementari consistenti in Svizzera, essi serviranno a promuovere la nostra piazza economica. Così, nel nostro Paese, le entrate supplementari saranno trasferite proprio alle imprese multinazionali (IMN) che ogni anno privano altri Paesi di oltre 100 miliardi di dollari di substrato fiscale e garantiscono ai Cantoni svizzeri con una bassa tassazione, come Zugo e Basilea Città, delle abbondanti entrate d’imposte sul reddito. Il fatto stesso che una tale attuazione dell’imposta minima sia possibile lo dimostra: l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), con sede a Parigi, ha fallito nei suoi sforzi dell’ultimo decennio per rendere il sistema fiscale mondiale un po’ più equo. In ciò, nulla di troppo sorprendente. In effetti, anche se più di 140 Paesi, tra cui alcune nazioni emergenti e in via di sviluppo, hanno partecipato ai negoziati su questa «riforma», a spuntarla sono stati ancora una volta gli interessi dei Paesi ricchi del nord globale.

Parità di trattamento? Solo all’ONU!

Questa realtà ha anche a che fare con la storia del cosiddetto «quadro inclusivo» (inclusive framework), creato nel 2016 dall’OCSE. La promessa allora fu quella di voler mettere tutti i Paesi in condizioni d’uguaglianza. Ma la condizione d’adesione a questo quadro è l’adozione delle regole contro l’erosione della base d’imposta e il trasferimento degli utili (base erosion and profit shifting, BEPS) che solo i 39 Paesi membri dell’OCSE (soprattutto gli Stati ricchi del Nord mondiale) avevano elaborato negli anni precedenti. Un centinaio di Paesi in sviluppo è stato escluso dal processo. Le regole in questione sono quindi fatte su misura per le nazioni benestanti del Nord. Il prezzo dell’adesione al «quadro inclusivo» è di conseguenza elevato per le nazioni in via di sviluppo. I Paesi del Sud mondiale, che ospitano una gran parte della produzione nell’economia mondiale odierna, non beneficeranno affatto dei circa 250 miliardi d’introiti supplementari che l’OCSE s’aspetta a livello planetario grazie all’introduzione dell’imposta minima.

Bisogna quindi trovare un’alternativa ed essa sta per emergere a New York: alla fine dello scorso anno, l’Assemblea generale dell’ONU ha adottato, su iniziativa del gruppo dei Paesi africani e del G-77 (il gruppo di tutti i Paesi in sviluppo), una risoluzione che dà il via a un progetto di convenzione fiscale dell’ONU. Ad esempio, analogamente alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che definisce il ritmo e traccia l’orientamento della politica climatica mondiale dal 1992, questa convenzione creerebbe un quadro multilaterale veramente inclusivo per la politica fiscale internazionale. Un simile approccio consentirebbe di elaborare e negoziare dei principi di politica fiscale che potrebbero rimediare allo squilibrio fondamentale tra il Nord e il Sud nell’attuale sistema fiscale mondiale. Una convenzione fiscale dell’ONU permetterebbe di creare regole multilaterali per un sistema fiscale radicato a livello transnazionale e non più basato su accordi bilaterali. Certo, nel sistema attuale alcuni accordi multilaterali completano le regole iscritte nelle convenzioni bilaterali in materia di doppia imposizione (CDI), ma in fin dei conti sono queste ultime che determinano il modo in cui i Paesi si ripartiscono il substrato fiscale proveniente dai flussi finanziari transfrontalieri nell’economia mondiale. Spesso ciò avviene a scapito dei Paesi in sviluppo che, dato il loro minore potere economico, escono regolarmente perdenti nei negoziati bilaterali sulle CDI con i Paesi del Nord.  

È giunta l’ora di un’imposizione globale

Una convenzione quadro dell’ONU in materia di politica fiscale sarebbe anche la condizione preliminare all’introduzione d’una tassazione globale delle IMN. Nell’attuale sistema fiscale, le differenti società nazionali delle IMN sono trattate come delle imprese individuali. Le IMN dovrebbero quindi essere tassate in ogni Paese in funzione degli utili che realizzano in un determinato Paese. Tuttavia, ormai da decenni, i trasferimenti degli utili sono un gran problema per i Paesi con delle aliquote fiscali relativamente elevate. Tassando i loro utili non dov’è stato creato il valore aggiunto, ma dove gli utili sono più bassi, le IMN privano ogni anno numerosi Paesi di miliardi d’entrate fiscali. Una tassazione globale renderebbe obsoleti i trasferimenti degli utili, poiché le diverse società d’una IMN non sarebbero più tassate per Paese e quindi le IMN non sarebbero più incitate a contabilizzare i loro utili laddove le aliquote fiscali sono più basse. Invece di ciò, tutti gli utili di tutti i Paesi nei quali l’IMN è attiva sarebbero addizionati e il substrato dell’imposta sugli utili verrebbe attribuito a ogni nazione secondo una formula che terrebbe conto del numero di dipendenti per Paese, della cifra d’affari e dei valori fisici (ad esempio le fabbriche). In seguito ogni Paese tasserebbe questi utili secondo le proprie regole fiscali.  

L’ufficio del segretario generale dell'ONU António Guterres sta redigendo un rapporto sulla creazione di una convenzione fiscale che sarà presentata in settembre a New York, dopo la consultazione degli Stati membri dell’ONU e delle parti coinvolte. L’Alleanza globale per la giustizia fiscale (Global Alliance for Tax Justice, GATJ) e la Rete europea sul debito e lo sviluppo (Eurodad), di cui Alliance Sud è membro, sono molto coinvolte in questo processo.

La Svizzera dice no

All’Assemblea generale, la Svizzera ha votato a favore della risoluzione. Tuttavia, rispondendo a un’interpellanza del consigliere nazionale socialista e copresidente di Swissaid Fabian Molina, che s’interrogava sulla posizione del Consiglio federale sulla questione di una convenzione fiscale dell’ONU, il Consiglio federale sottolinea che sostiene «un resoconto del quadro istituzionale della cooperazione internazionale in materia fiscale» in seno all’ONU, ma rifiuta la creazione d’una convenzione fiscale delle stesse Nazioni Unite. Sembra dunque convinto di saper meglio dei Paesi in sviluppo quale sia la miglior cosa per loro. Così, in un vecchio stile coloniale-paternalistico, scrive: «Il Consiglio federale, d’altra parte, giudica discutibile l’utilità d’una convenzione fiscale delle Nazioni Unite per difendere la posizione dei Paesi in sviluppo».

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La rivista periodica di Alliance Sud viene pubblicata quattro volte all’anno (in tedesco e francese) ed è possibile abbonarsi gratuitamente. In «global» trovate analisi e commenti riguardanti la politica estera e di sviluppo del nostro Paese.

Imposizione delle imprese

Imposizione delle imprese

A livello planetario, la Svizzera è una delle più importanti sedi per le multinazionali e grazie alla sua imposta sugli utili molto bassa è anche una meta prediletta per i trasferimenti dei profitti. 

Di cosa si tratta >

Di cosa si tratta

Le multinazionali svizzere trasferiscono annualmente utili pari a oltre 100 miliardi di dollari nel nostro Paese, a bassa imposizione. Nei cantoni di Zugo, Basilea Città, Vaud o Ginevra aumentano così le entrate fiscali. Nei Paesi che non possono permettersi di promuovere un’evasione fiscale aggressiva, esse decrescono drammaticamente. I profitti non vengono tassati dove sono stati generati, bensì dove le multinazionali pagano meno imposte.

Dal 2016, la Svizzera ha rivisto più volte la sua legge sull’imposizione delle imprese. Le possibilità di trasferimento degli utili da parte delle multinazionali sono però state a malapena limitate. Esse privano soprattutto i Paesi del Sud globale d’un importante substrato fiscale. Alliance Sud s’impegna affinché quest’evasione fiscale venga arginata, grazie a una maggior trasparenza e a una miglior cooperazione, specialmente con i Paesi del Sud.