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Tonnage Tax, o come affondare le entrate fiscali

03.10.2022, Finanza e fiscalità

Ciò che il Consiglio federale e le lobby delle grandi imprese multinazionali (in seguito: IM) vendono come un’innocua promozione dell’industria navale elvetica, potrebbe diventare un’importante scappatoia fiscale per le IM svizzere di materie prime.

Dominik Gross
Dominik Gross

Esperto in politica fiscale e finanziaria

Tonnage Tax, o come affondare le entrate fiscali

Die Rohstoffbranche profitiert von der Krise – und bald von tieferen Steuern in der Schweiz?
© Stefanie Probst

Per i fautori di una politica fiscale svizzera a bassa imposizione, i commercianti di materie prime sono stati un po’ trascurati in questi ultimi anni nel nostro Paese. Nell’ambito dell’ultima riforma dell’imposizione delle imprese del 2019 (riforma fiscale e finanziamento dell’AVS, RFFA), la Confederazione aveva abolito i vecchi privilegi fiscali per le holding e le società miste (le società svizzere potevano con ciò dichiarare al fisco i guadagni realizzati all’estero senza alcun costo), di cui le IM attive nel commercio di materie prime avevano ampiamente approfittato nel passato. Se da un lato la maggioranza borghese della Berna federale ha creato nuovi sconti speciali per le IM farmaceutiche o di beni di consumo (per compensare i vecchi privilegi), dall’altro il settore delle materie prime è rimasto a mani vuote. Ora questo vuoto verrebbe colmato dalla cosiddetta tassa sul tonnellaggio.

Certo, a prima vista si tratta solo di uno sgravio fiscale per gli armatori svizzeri, ma esistono stretti legami tra questi ultimi e i commercianti di materie prime, come sottolineato anche dal Consiglio federale nel suo messaggio riguardante la tassa sul tonnellaggio. Inoltre, già oggi vale quanto segue: se un commerciante di materie prime accorda alla sua società di navigazione all’interno del gruppo tariffe di trasporto eccessivamente rincarate — impossibili da scoprire nella pratica —, i guadagni in altre società dello stesso gruppo possono essere ridotti, evitando così di pagare delle imposte.

Il ritorno di un concetto già abolito

Durante l’ultima riforma dell’imposizione delle imprese, il Consiglio federale aveva ancora cancellato questa tassa dal menu, soprattutto a causa di dubbi costituzionali. Con la tassa sul tonnellaggio, le navi non devono più essere tassate in funzione dei guadagni che i loro gestori ne ricavano, bensì in funzione del volume del carico. In seguito, l’«utile netto» della navigazione così calcolato dev’essere considerato con gli ulteriori guadagni degli altri settori d’attività di una società. Siccome così alcune imprese devono essere tassate diversamente rispetto all’imposta ordinaria sugli utili, il Consiglio federale ha dubitato a quell’epoca della compatibilità con il principio costituzionale dell’imposizione secondo la capacità economica e ha quindi chiesto due pareri legali su questo soggetto. Pareri che, nel 2015, hanno dato esiti opposti: da una parte Robert Danon, di Losanna, è giunto a una conclusione negativa, mentre dall’altra Xavier Oberson, di Ginevra, ha confermato la compatibilità con la Costituzione.

Va peraltro detto che entrambi i professori di diritto beneficiano di mandati lucrativi presso studi legali commerciali che ottimizzano la fiscalità delle aziende. La grande differenza tra le due perizie è la seguente: contrariamente a Robert Danon, Xavier Oberson giudica che la navigazione marittima sia minacciata nella sua esistenza in Svizzera e quindi considera che, conformemente all’art. 103 della Costituzione federale, l’introduzione di questa imposta forfettaria è giustificata come misura di politica strutturale. L’asserzione è piuttosto bizzarra data l’enorme importanza della navigazione per l’economia mondiale e i suoi stretti legami con i commercianti di materie prime — che fanno parte delle più grandi e più redditizie imprese in Svizzera. All’epoca la faccenda era troppo scottante per il Consiglio federale, mentre oggi, a quanto pare, esso ha superato i suoi dubbi senza che qualcosa sia cambiato nella situazione costituzionale di partenza. Oltre ai dubbi in termini di costituzionalità, il progetto di legge cela anche due altri importanti problemi:

•    Livello d’imposizione: sarebbe fortemente ridotto rispetto agli ordinari tassi d’imposizione sugli utili in tutti i cantoni svizzeri. Come dimostrato dai giuristi Mark Pieth e Kathrin Betz, nel loro nuovo libro sulle compagnie di navigazione in Svizzera, l’introduzione della tassa sul tonnellaggio si tradurrebbe in un tasso effettivo d’imposizione sugli utili pari mediamente al 7% circa. Questo tasso è nettamente inferiore all’11% accordato a Glencore e ad altre IM dall’hub di materie prime di Zugo, il cantone fiscalmente più vantaggioso. Il Consiglio federale intende inoltre autorizzare delle riduzioni fiscali supplementari, tanto più elevate quanto i sistemi di propulsione delle navi sono più rispettosi dell’ambiente. Se viene accordata la tassazione massima del 20%, l’imposizione media può abbassarsi fino a 5,6 punti percentuali. È particolarmente scioccante che il Consiglio federale voglia escludere gli utili imposti dalla tassa sul tonnellaggio dalla nuova imposizione minima dell’OCSE, che deve garantire che le IM siano tassate almeno al 15% in Svizzera. L’introduzione della tassa sul tonnellaggio aggira quindi gli sforzi internazionali volti a frenare la corsa verso il basso delle imposte sulle imprese, in ogni caso già basse.

•    Assenza di standard ambientali e sociali sulle navi: il Consiglio federale e, finora, anche la Commissione dell’economia del Consiglio nazionale (che probabilmente non delibererà prima di metà novembre) non vogliono legare il nuovo privilegio fiscale a un cosiddetto requisito di bandiera. Un tale obbligo significherebbe che le compagnie marittime potrebbero approfittare della tassa sul tonnellaggio solo per le navi battenti bandiera svizzera o di un Paese dell’area SEE (nazioni dell’UE, più Islanda, Norvegia e Liechtenstein). Ciò inciterebbe gli armatori a non delocalizzare le proprie navi verso i cosiddetti Paesi di bandiera di convenienza, che servono all’industria navale come zone quasi prive di leggi, nelle quali devono a malapena rispettare le prescrizioni statali per le loro attività. Per le navi battenti bandiera svizzera, il nostro Paese potrebbe obbligare gli armatori a rispettare standard ambientali e lavorativi migliori. Secondo Mark Pieth e Kathrin Betz, la tassa sul tonnellaggio avrebbe comunque dei vantaggi indiretti, malgrado i problemi che solleva. Secondo loro, gli armatori che dovessero immatricolare almeno il 60% della loro flotta nello spazio SEE o in Svizzera dovrebbero sottostare, in alcune circostanze, alle regole dell’UE contro la demolizione selvaggia nell’Asia del Sud. Tuttavia il dibattito sulla responsabilità delle imprese in Svizzera dimostra pure che la volontà di applicare norme più severe nell’ambito dell’economia e dei diritti umani è estremamente debole in seno alla maggioranza borghese della Berna federale.  

Discutibile sul piano costituzionale, elusiva dell’imposta minima dell’OCSE e priva di standard ambientali e sociali: nella versione trattata attualmente dalla Commissione dell’economia del Consiglio nazionale, l’introduzione della tassa sul tonnellaggio farebbe onore alla reputazione ambigua della Svizzera come paradiso fiscale per le IM. Inoltre, ad approfittarne sarebbero proprio le IM per le quali la guerra e la crisi energetica generano utili record: basata a Baar nel canton Zugo, Glencore (il secondo più grande commerciante di petrolio al mondo, dopo Vitol, pure con sede in Svizzera) ha così realizzato un guadagno record di 12 miliardi di dollari nel primo semestre 2022. Invece di dare a questi profittatori della guerra occasioni supplementari di dumping fiscale, il Consiglio nazionale e il Consiglio degli Stati dovrebbero gravare questi profitti legati alla guerra con un’imposta sui guadagni in eccesso e investirli nella lotta contro le molteplici crisi che scuotono il pianeta.