Opinione

La soluzione non cresce nelle risaie

06.12.2022, Giustizia climatica

Il circo climatico sul continente africano ha ormai levato le sue tende. Un fondo per le perdite e i danni è finalmente diventato realtà. Non si sa però ancora come sarà organizzato e soprattutto come verrà alimentato.

La soluzione non cresce nelle risaie

© Dr. Stephan Barth / pixelio.de

Il bilancio complessivo della COP27 si può riassumere così: «È buona cosa averne parlato», ma adesso parliamo d’altro. All’inizio della conferenza internazionale sul clima, il «New York Times» ha bacchettato la Svizzera con un articolo che criticava le sue compensazioni all’estero. Un primo progetto condotto nell’ambito d’un accordo bilaterale sul clima tra il Ghana e la Svizzera è stato presentato cinque giorni più tardi. Per compensare le emissioni dell’amministrazione federale, i coltivatori di riso dell’Africa occidentale lavoreranno in modo più rispettoso del clima, riducendo le emissioni di metano. Questo progetto può certo sembrare sensato, ma non tiene in considerazione le sfide più importanti volte a ridurre i gas a effetto serra in Africa, dove 600 milioni di persone vivono senza energia elettrica e i due terzi della corrente sono prodotti oggi a partire da combustibili fossili. Un’elettrificazione decentralizzata, affidabile e senza CO2 è possibile; di conseguenza si dovrebbe utilizzare per tale scopo il denaro del «traffico di indulgenze» legato ai certificati di emissione.  

L’Organizzazione delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo ha attirato l’attenzione su una sfida ancor più seria: un quinto dei Paesi dell’Africa subsahariana dipende dalle esportazioni di petrolio. Anche altre nazioni potrebbero sfruttare i loro giacimenti fossili. La Repubblica democratica del Congo, ad esempio, sta mettendo all’asta nuove concessioni; ma finché gli Stati Uniti estrarranno del gas naturale e l’Australia del carbone, il Nord non può assolutamente predicare l’abbandono a questo Paese, che figura tra quelli più poveri.

Inoltre, sono necessarie somme colossali affinché gli attuali esportatori possano rinunciare alla loro principale fonte di reddito. Un motivo in più per utilizzare i rimanenti proventi petroliferi per questa transizione. Ma finora, la corruzione, le appropriazioni indebite e il malgoverno hanno portato allo sperpero di una gran parte di queste risorse. E qui la Svizzera ha la sua parte di responsabilità, come dimostrato da una sentenza a inizio novembre: alcuni impiegati di Glencore hanno attraversato tutta l’Africa in aereo, con valige piene di denaro contante per ottenere petrolio a basso costo.

È necessaria una regolamentazione del commercio delle materie prime per porre fine al coinvolgimento della Svizzera nella maledizione di queste ultime. La Berna federale potrebbe così mettere a disposizione dell’Africa molte risorse finanziarie in più che non acquistando certificati di emissione compensati con il riso.