Meinung

OMC: la rivincita dell'Africa

15.02.2021, Commercio e investimenti

La nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala è stata eletta a dirigere l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Una vera e propria prima per l'Africa e per una donna.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

OMC: la rivincita dell'Africa

Ngozi Okonjo-Iweala
© Isolda Agazzi

Articolo

Il più grande deposito di nichel del mondo

19.03.2021, Commercio e investimenti

Recentemente il governo della Tanzania ha firmato un contratto con una multinazionale britannica, in cui è previsto che i profitti generati dalla vendita del nichel siano equamente ripartiti e che la fusione del metallo avvenga in loco. Questa tendenza all'interventismo statale è visibile anche nella vicina Zambia. La Svizzera ha riorientato la sua strategia di sviluppo in Africa e deve supportare la giusta ripartizione dei guadagni.

Isolda Agazzi
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Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Il più grande deposito di nichel del mondo

© Daniel Hayduk / AFP

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Una legge che leghi economia e diritti umani

21.06.2021, Commercio e investimenti

Mentre le violazioni dei diritti umani si moltiplicano, come mostra l’esempio della Cina e del Myanmar, la Svizzera non dispone delle basi legali che le permettono di adottare rapidamente misure economiche mirate.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Una legge che leghi economia e diritti umani

Lo Xinjiang, la regione autonoma degli Uiguri in Cina, sta diventando sempre più una "prigione a cielo aperto": la polizia è ovunque, pregare e farsi la barba è ampiamente proibito in pubblico.
© Johannes Eisele / AFP

Medienmitteilung

La Svizzera deve cessare il blocco sui brevetti

25.11.2021, Commercio e investimenti

La conferenza ministeriale dell'OMC, che si terrà a Ginevra dal 30 novembre al 3 dicembre, discuterà della deroga temporanea alla protezione della proprietà intellettuale su vaccini, test e farmaci anti-covid. La Svizzera deve cessare il suo blocco sistematico all'OMC, che dura da più di un anno. Da parte loro, le aziende farmaceutiche devono condividere il loro know-how senza restrizioni.

Isolda Agazzi
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Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

+41 22 901 07 82 isolda.agazzi@alliancesud.ch
La Svizzera deve cessare il blocco sui brevetti

© Tim Reckmann / pixelio.de

Medienmitteilung

Una nuova strategia priva di base giuridica

01.02.2022, Commercio e investimenti

La Commissione della politica estera del Consiglio nazionale (CPE-N) ha tenuto ieri una consultazione sulla nuova strategia economica esterna della Svizzera. Public Eye e Alliance Sud l’accolgono favorevolmente, ma criticano l’assenza di una base legale per questa strategia. La Svizzera deve dotarsi d’una legge efficace sul commercio estero per dare una base solida a questo settore politico molto importante per i diritti dell’uomo e dell’ambiente.

Isolda Agazzi
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Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

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Una nuova strategia priva di base giuridica

© Parlamentsdienste 3003 Bern

Articolo

Glencore vs Colombia sulla miniera di Cerrejón

22.03.2022, Commercio e investimenti

La multinazionale elvetica Glencore è diventata l’unica proprietaria della più grande miniera di carbone a cielo aperto dell’America latina. Ha fatto anche causa alla Colombia per contestare una decisione giudiziaria a favore delle comunità locali.

Isolda Agazzi
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Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Glencore vs Colombia sulla miniera di Cerrejón

L'Arroyo Bruno, un affluente di un fiume molto importante a La Guajira, fu deviato per aumentare l'estrazione di carbone da una cava chiamata La Puente.
© Colectivo de Abogados José Alvear Restrepo (CAJAR)

L’11 gennaio, Glencore, il principale esportatore di carbone termico al mondo, annunciava il riacquisto delle parti di BHP e Anglo American in “Carbones” di Cerrejon, la più grande miniera di carbone a cielo aperto dell’America latina e una delle più grandi del mondo. La multinazionale svizzera ha fatto un buon affare: sborsando per finire solo 101 milioni USD grazie all’aumento della domanda e quindi del prezzo del carbone, è diventata l’unica proprietaria di Cerrejon. Le due altre imprese hanno venduto le loro parti su pressione degli azionisti, che le incitano ad abbandonare l’energia fossile più inquinante per lottare contro la crisi climatica. Eppure Glencore non si è fatta scrupoli, nonostante il suo impegno dichiarato di ridurre l’impronta totale delle emissioni del 15% entro il 2026, del 50% entro il 2035 e di pervenire ad attività a zero emissioni totali entro il 2050.

Una miniera responsabile di gravi violazioni dei diritti umani

« La miniera di Cerrejon è sfruttata da tanti di quegli anni – dal 1985 – che gli abusi di potere e l’asimmetria che esistono fra i proprietari, le comunità e lo Stato sono ampiamente documentati. Si traducono in gravi violazioni dei diritti umani delle comunità afro-indigene, a cominciare dai Wayuu » ci spiega Rosa Maria Mateus di CAJAR, un collettivo di avvocati colombiani che difende i diritti umani da quaranta anni.

« Carbones del Cerrejón è stata dichiarata responsabile innumerevoli volte ed è stata oggetto di sette decisioni giudiziarie, continua. Ma le sanzioni non sono mai applicate perché l’impresa si approfitta dell’estrema povertà di queste comunità. La Guajira, dove si trova la miniera, è il secondo dipartimento più corrotto della Colombia. I bambini muoiono di fame e di sete e l’impresa ne approfitta per offrire compensazioni insufficienti agli occhi delle comunità. Dobbiamo cambiare il modello economico e abbandonare il carbone per fronteggiare la crisi climatica di cui gli abitanti di La Guajira sono le prime vittime».

La diversione dell’Arrojo Bruno condannata dalla Corte costituzionale

Una delle sentenze riguarda il caso dell’Arroyo Bruno, un affluente di un fiume molto importante della Guajira che è stato deviato per aumentare l’estrazione del carbone da un pozzo chiamato La Puente. Questo corso d’acqua è circondato dalla foresta tropicale secca, un ecosistema gravemente minacciato. Nel 2017, la Corte costituzionale colombiana ha stabilito che, autorizzando questa espansione, non erano stati presi in considerazione importanti impatti sociali e ambientali sui diritti delle comunità locali. Si tratta soprattutto della grande vulnerabilità al cambiamento climatico della regione, che soffre di una grave scarsità idrica.

La Corte ha bloccato i lavori, ordinando un nuovo studio d’impatto per determinare la viabilità dell’espansione mineraria a livello di protezione dei diritti delle comunità. Come rappresaglia, Glencore ha fatto causa contro la Colombia presso il CIRDI, il tribunale arbitrale della Banca mondiale, invocando il mancato rispetto dell’accordo di protezione degli investimenti fra la Colombia e la Svizzera. Nella sua azione giudiziaria, la multinazionale afferma che la decisione del tribunale colombiano sull’Arroyo Bruno, che ha impedito l’aumento dello sfruttamento della miniera, è una « misura irragionevole, incoerente e discriminatoria ». Per il momento è stato nominato un arbitro, ma non si sa niente di più, a cominciare dal risarcimento richiesto da Glencore. 

« È il colmo pretendere di essere risarciti per i danni causati! » s’indigna Rosa Maria Mateus. « L'impresa afferma di avere delle politiche ambientali e di piantare alberi, ma abbiamo constatato che mente. Non rispetta gli standard ambientali e non riesce neanche a riparare un minimo dei danni causati. Abbiamo potuto provare l’inquinamento dell’acqua e dell’aria e l’impatto negativo sulla salute della popolazione. Tutto ciò è molto grave, soprattutto visto che in Europa si parla di decarbonizzazione e di lasciare il carbone nel sottosuolo. »

Esplorazione della possibilità di un Amicus curiae

Allora cosa fa CAJAR? Rosa Maria Mateus ammette che le possibilità sono limitate. L’unica è l'Amicus curiae, un esposto per rendere udibile la voce delle comunità, che deve essere però autorizzato dal tribunale arbitrale il quale, secondo lei, non offre alcuna garanzia per le vittime visto che si tratta di una giustizia privata creata per proteggere le grandi imprese. « Ma cercheremo di farlo lo stesso e abbiamo appena iniziato a raccogliere i punti di vista delle comunità. Poi vogliamo trasmettere l'Amicus curiae ad organizzazioni amiche come Alliance Sud, affinché ci aiutino a far conoscere la situazione. Le imprese hanno un grande potere mediatico, sono le loro verità che si conoscono, non le tragedie delle vittime. Glencore ha estratto molte risorse dalla Colombia, nonostante l’economia del Paese sia molto debole. Rappresenta una minaccia per la sovranità dello Stato e soprattutto per i tribunali di cui contesta la giurisdizione, riproducendo le pratiche coloniali. »

 

BOX: Terza causa di Glencore contro la Colombia

La Colombia deve fronteggiare una valanga di 17 cause al minimo secondo la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (CNUCED), che tuttavia non annovera l’ultima di Glencore. La strada è stata aperta nel 2016 dalla multinazionale svizzera, che contestava un contratto relativo alla miniera di carbone di Prodeco per il quale ha ottenuto un risarcimento di 19 milioni USD.

Queste cause sono giudicate da un tribunale composto da tre arbitri – uno nominato dalla multinazionale straniera, l’altro dal Paese attaccato e il terzo dalle due parti. I tribunali possono accettare degli Amicus curiae, che sono degli esposti, per lo più scritti, dei punti di vista delle comunità impattate e che vengono inoltrati dalle ONG. Ad oggi, 85 domande d’Amicus curiae sono state presentate, di cui 56 sono state accettate. L’accordo di protezione degli investimenti con la Colombia, sul quale si basa la causa di Glencore, non prevede la possibilità di un Amicus curiae. Questo accordo sarà rinegoziato e, anche se non costituirà la base legale della presente causa, Alliance Sud chiede che questa possibilità vi sia integrata.

Rosa Maria Mateus sarà il 2 maggio a Losanna e il 3 maggio a Ginevra per parlare di questo  caso.

Troisième plainte de Glencore contre la Colombie

BOX: Terza causa di Glencore contro la Colombia

La Colombia deve fronteggiare una valanga di 17 cause al minimo secondo la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (CNUCED), che tuttavia non annovera l’ultima di Glencore. La strada è stata aperta nel 2016 dalla multinazionale svizzera, che contestava un contratto relativo alla miniera di carbone di Prodeco per il quale ha ottenuto un risarcimento di 19 milioni USD.

Queste cause sono giudicate da un tribunale composto da tre arbitri – uno nominato dalla multinazionale straniera, l’altro dal Paese attaccato e il terzo dalle due parti. I tribunali possono accettare degli Amicus curiae, che sono degli esposti, per lo più scritti, dei punti di vista delle comunità impattate e che vengono inoltrati dalle ONG. Ad oggi, 85 domande d’Amicus curiae sono state presentate, di cui 56 sono state accettate. L’accordo di protezione degli investimenti con la Colombia, sul quale si basa la causa di Glencore, non prevede la possibilità di un Amicus curiae. Questo accordo sarà rinegoziato e, anche se non costituirà la base legale della presente causa, Alliance Sud chiede che questa possibilità vi sia integrata.

Rosa Maria Mateus sarà il 2 maggio a Losanna e il 3 maggio a Ginevra per parlare di questo  caso.

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© Rosa María Mateus
« Les enfants meurent de faim et de soif et l'entreprise en profite pour offrir des compensations insuffisantes aux yeux des communautés. Nous devons changer le modèle économique et abandonner le charbon pour faire face à la crise climatique dont les habitants de La Guajira sont les premières victimes. »

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La Svizzera davanti a un tribunale arbitrale

25.08.2020, Commercio e investimenti

La Svizzera non è al riparo dall'arbitrato internazionale: per la prima volta, è stata sporta denuncia contro di essa. È un'occasione d'oro per riequilibrare gli accordi di protezione degli investimenti a favore dei paesi ospitanti.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

La Svizzera davanti a un tribunale arbitrale

© Isolda Agazzi / Alliance Sud

Prima o poi doveva succedere. Per la prima volta nella sua storia, la Svizzera è oggetto di una causa davanti all’ICSID (Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative agli investimenti), il tribunale arbitrale della Banca mondiale che dirime le controversie legate agli accordi di protezione degli investimenti. Ironia della sorte, è un paradiso tropicale che potrebbe portare la Svizzera all’inferno: un’entità giuridica domiciliata alle Seychelles e controllata da un cittadino elvetico, che pretende agire a nome di tre Italiani che avrebbero subito perdite per via di un decreto federale urgente del 1989, il quale vieta di rivendere edifici non agricoli per cinque anni. Un documento (RS 211.437.1) così vecchio che non si trova neanche su internet... Il denunciante si basa sull’accordo di protezione degli investimenti (API) Svizzera – Ungheria e reclama 300 milioni CHF di compensazione. La Svizzera contesta tutto (comunicato stampa del 20.08.2020).

37 cause di imprese svizzere contro degli Stati

Per quanto campata in aria possa sembrare questa faccenda, dimostra che la Svizzera non è immune da questo meccanismo tanto criticato dell’arbitrato internazionale, che permette ad un investitore straniero di fare causa ad uno Stato ospite – ma non il contrario – se quest’ultimo vara una nuova regolamentazione per proteggere l’ambiente, la salute, i diritti dei lavoratori o l’interesse pubblico.

Finora Berna era riuscita nell’exploit quasi unico al mondo di evitarlo, mentre 37 cause d’imprese svizzere (o che si pretendono tali) sono state identificate ad oggi dall’UNCTAD. L’ultima riguarda Chevron contro le Filippine, sulla base del trattato di protezione degli investimenti Svizzera – Filippine. Un affare di cui non si sa quasi niente, salvo che porta su un giacimento di gas offshore. Chevron, impresa svizzera? A priori non si direbbe, ma la multinazionale americana deve aver fatto “treaty-shopping”, come si dice in gergo, aver trovato che l’API Svizzera – Filippine serviva al meglio i suoi interessi ed essere riuscita a farsi passare per un’azienda elvetica. Ciò mentre è impigliata da decenni in guai giudiziari in Ecuador per avere inquinato l’Amazzonia.

Sopprimere l’ISDS

Sono anni che Alliance Sud chiede alla Svizzera di riequilibrare gli accordi di protezione degli investimenti con i paesi di accoglienza (115 ad oggi, esclusivamente paesi in via di sviluppo) per garantire meglio i loro diritti. Ultimamente il Sudafrica, la Bolivia, l’Ecuador, l’India, l’Indonesia e Malta hanno denunciato i loro e vogliono rinegoziarne di più equilibrati, o non ne vogliono più. L’elemento più contestato è precisamente l’arbitrato internazionale (ISDS), un meccanismo della giustizia privata che prevede che l’investitore scelga un arbitro, lo Stato accusato un altro e i due si mettano d’accordo su un terzo. Tre giudici che possono condannare lo Stato a pagare compensazioni di centinaia di milioni di dollari. Alliance Sud chiede di rinunciare completamente all’ISDS o, alla peggio, di usarlo solo come ultima spiaggia, dopo aver esaurito i ricorsi interni.

Gli Stati dovrebbero poter depositare una contro-causa per violazione dei diritti umani

Se gli accordi di protezione degli investimenti proteggono solo i diritti degli investitori stranieri, una prima breccia a favore del diritto alla salute si è aperta con la sentenza di Philip Morris contro l’Uruguay (luglio 2016) che ha dato torto al fabbricante svizzero di sigarette da A a Z. Un secondo barlume di speranza si è acceso alla fine del 2016, quando un tribunale arbitrale ha dato torto a Urbaser, un’impresa spagnola che gestiva la fornitura d’acqua a Buenos Aires ed era fallita dopo la crisi finanziaria del 2001 – 2002. Gli arbitri hanno statuito che un investitore deve rispettare pure i diritti umani. Per la prima volta hanno accettato anche il principio della “contro-causa” dell’Argentina contro Urbaser per violazione del diritto all’acqua della popolazione... salvo poi finire per decidere che, in fondo, Urbaser non lo aveva violato (!). Hanno considerato che la contro-causa era ricevibile perchè l’API Argentina – Spagna permette “alle due parti” di fare causa.

Scuotere l’albero da cocco

Purtroppo non è il caso degli API svizzeri, che permettono solo all’investitore di sporgere denuncia e non ad ambedue le parti[1]. L’aggiornamento degli accordi in corso, o la rinegoziazione di nuovi, è l’occasione di introdurre questa modifica. Che resta però modesta visto che la denuncia iniziale può provenire solo dall’investitore: vittime della violazione del diritto all’acqua, alla salute, o dei diritti sindacali, non possono sporgere denuncia per primi contro le multinazionali straniere. Possono solo, nel migliore dei casi, rispondere alla loro.

Adesso che un investitore delle Seychelles ha scosso l’albero da cocco, e qualunque sia l’esito di questa causa, speriamo che la Svizzera farà sforzi seri per riequilibrare i suoi accordi d’investimento. Ormai è chiaramente anche nel suo interesse.

                                                 

[1] Vedi per esempio l’art. 10.2 dell’API con la Georgia, il più recente API svizzero.

Questo testo è stato pubblicato nel blog di Isolda Agazzi “Lignes d’horizon” su Le Temps.

Comunicato stampa

Ora serve una legge sul commercio estero

07.03.2021, Commercio e investimenti

Per la prima volta, il popolo svizzero ha potuto votare su un accordo di libero scambio. Il risultato stretto del voto mostra chiaramente che è necessario un cambio di direzione nella politica economica. Alliance Sud, la Società per i popoli minacciati (GfbV) e Public Eye chiedono una legge che assicuri trasparenza e coerenza nella politica economica estera. Dopo il voto di oggi, il Consiglio federale e il Parlamento lo devono alla popolazione.

Isolda Agazzi
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Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

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Ora serve una legge sul commercio estero

Durante la campagna, le nostre tre organizzazioni hanno contribuito al dibattito con valutazioni e analisi diversificate. Sono più di dieci anni che cerchiamo di portare la politica commerciale nell'arena pubblica e non abbiamo mai visto un tale interesse. Questo è gratificante!

Il risultato del referendum, un segnale per i futuri accordi di libero scambio

Questo dimostra che il commercio non è più solo una questione di negoziatori che si svolgono a porte chiuse. La gente è sempre più critica nei confronti degli accordi commerciali che tengono in poco conto l'ambiente e i diritti umani. Questo è già evidente nelle discussioni sui prossimi accordi di libero scambio (ALS) con i paesi del Mercosur e con la Malaysia. Al momento non si sa se uno di questi accordi conterrà capitoli di sostenibilità vincolanti o se sarà sancito il tanto citato "approccio PPM" (process and production methods), che lega le concessioni doganali alle condizioni di produzione. Seguiranno altri referendum.

ALS con la Cina come il punto più basso dei diritti umani

Alla Svizzera è mancata finora la base giuridica per contrastare le violazioni dei diritti umani aggravate dalla sua politica economica estera. L'esempio più lampante è l'accordo di libero scambio con la Cina (ALE). L'esistenza del lavoro forzato nei campi uiguri nello Xinjiang è ben nota, tuttavia la Svizzera fa poco per impedire che i prodotti provenienti da questi campi siano importati in Svizzera e con una tariffa preferenziale, nel quadro dell'ALS. Secondo la Segreteria di Stato dell'economia (SECO), l'ultima riunione del "comitato misto”, dove si potevano discutere questioni di diritto del lavoro nel quadro dell'ALS con la Cina, ha avuto luogo nel 2016. Allo stesso tempo, il Consiglio federale sostiene di non avere alcuna base legale per impedire l'importazione in Svizzera di prodotti provenienti dal lavoro forzato e si è limitato a organizzare una tavola rotonda con i responsabili del settore tessile per "informarli" sulla situazione nello Xinjiang. Questo è assolutamente insufficiente.

È ora di approvare una legge sul commercio estero

Anche se la Cina è un esempio lampante, anche il commercio con paesi che violano gravemente i diritti umani - si pensi alla Birmania di oggi, alla Bielorussia o all'Arabia Saudita che sostiene la guerra in Yemen - è soggetto a pochissime condizioni e controlli.

Per Alliance Sud, Public Eye e la Società per i Popoli Minacciati, è giunto il momento di elaborare una legge sul commercio estero che sottometta la politica commerciale ai diritti umani, come è stato proposto dal professore emerito Thomas Cottier in un parere legale commissionato dalle nostre organizzazioni. Il popolo svizzero se lo merita.

 

Contatti:
Isolda Agazzi, Alliance Sud, +41 79 434 45 60
Angela Mattli, Società per i popoli minacciati  , +41 79 378 54 30
Thomas Braunschweig, Public Eye, 044 277 79 11

Articolo

Olio di palma dall’Indonesia: solo se sostenibile

01.02.2021, Commercio e investimenti

Il 7 marzo il popolo si pronuncerà sul referendum contro l’accordo di libero scambio con l’Indonesia. Alliance Sud non combatte questo accordo, ma aspetta di vedere come saranno applicate le disposizioni sulla sostenibilità.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Olio di palma dall’Indonesia: solo se sostenibile

L’olio di palma viene estratto dalla polpa dei frutti della palma da olio.
© Pixabay

Alliance Sud, assieme ad altre ONG, aveva chiesto che l’olio di palma fosse escluso dall’accordo di libero scambio con l’Indonesia, a causa dell’impatto di questa coltura estensiva sulla deforestazione, nonché sui diritti dei lavoratori, dei piccoli agricoltori e delle popolazioni autoctone. Questa richiesta era stata formulata anche dal Consiglio nazionale nella mozione Grin, adottata il 28 febbraio 2019 a larga maggioranza, ma respinta di stretta misura dal Consiglio degli Stati.  

Malgrado quest’insuccesso, l’accordo di libero scambio con l’Indonesia non instaura il libero scambio per l’olio di palma, poiché per la prima volta esso include una disposizione speciale, chiamata PPM (process and production methods), che subordina la riduzione dei dazi doganali al rispetto di criteri sociali e ambientali. È una rivendicazione formulata già molto tempo fa da Alliance Sud e da altre ONG, alla quale però il Consiglio federale s’era sempre opposto prima d’ora. Si tratta dunque di un’importante vittoria politica.

Le nostre ONG partner, attive sul posto, vedono in questo approccio un impulso importante, che intendono utilizzare anche nei negoziati, ancora in corso, per l’accordo di libero scambio con l’Unione europea.

L’accordo prevede peraltro dei contingenti d’importazione, cosicché l’olio di palma non sarà importato senza dazi doganali. Viene accordata solo una riduzione dal 20 al 40 % dei dazi doganali (il dazio attuale è superiore al 100%) e questa riduzione tariffaria verrà applicata solo a una quantità limitata e dovrà rispondere a certe condizioni di sostenibilità. Del resto, per poter beneficiare di una riduzione tariffaria, l’olio di palma certificato dovrà essere importato in contenitori speciali: ciò costa più caro e assorbirà quindi una parte della riduzione tariffaria.

L’attuazione è decisiva

Tuttavia, questo non è un assegno in bianco per l’accordo di libero scambio, poiché solo l’attuazione permetterà di giudicare la credibilità dell’approccio.

Come previsto nell’ordinanza d’esecuzione, che il Consiglio federale ha da poco pubblicato e che è sottoposta attualmente a consultazione, sono previsti diversi marchi per misurare la sostenibilità, a cominciare dall’RSPO (Round-table on sustainable palm oil), che le ONG criticano da molto tempo. Certo, questo marchio è stato completamente rivisto nel 2018 per migliorare i criteri, specialmente in materia di rispetto dei diritti del lavoro e dei diritti umani, ma è ancora troppo presto per dire se esso rafforzerà i meccanismi di controllo e di sanzione.

Il Consiglio federale lascia peraltro al settore privato il compito di controllare l’applicazione effettiva del marchio RSPO, invece di occuparsene: questo è un punto che noi critichiamo.

Comitato misto inefficace e rafforzamento dei diritti di proprietà intellettuale

L’accordo di libero scambio non si limita all’olio di palma. Il capitolo sulla sostenibilità riguarda tutti i prodotti importati. Tuttavia, come in tutti gli accordi di libero scambio della Svizzera, non è previsto nessun meccanismo efficace in caso di violazione. Se c’è un problema, la discussione è lasciata alla buona volontà del comitato misto, composto unicamente da rappresentanti governativi.

In fin dei conti, l’accordo di libero scambio con l’Indonesia contiene, come quasi tutti gli accordi di libero scambio della Svizzera, delle disposizioni più severe sulla proprietà intellettuale che rendono più difficile, lunga e onerosa la commercializzazione di medicamenti generici (TRIPS +) e rendono più complicato – per i piccoli agricoltori – l’utilizzo, lo stoccaggio e la commercializzazione delle loro sementi (UPOV).

Malgrado i problemi esposti sopra, l’accordo con l’Indonesia costituisce un precedente interessante sul quale bisogna costruire e che vorremmo veder utilizzato in tutti gli accordi di libero scambio della Svizzera. Tuttavia, sappiamo già che l’approccio PPM non è stato adottato nell’accordo con il Mercosur, i cui negoziati sono stati conclusi, ma che non è ancora stato firmato, né ratificato. Per questo non possiamo che esprimere il nostro rammarico.

Accordi di protezione degli investimenti

Accordi di protezione degli investimenti

Gli accordi di protezione degli investimenti della Svizzera sono squilibrati e favoriscono le sue multinazionali quando investono all’estero. Alliance Sud chiede che vengano riequilibrati per permettere allo Stato ospite di definire delle regole nell’interesse pubblico e per escludere il meccanismo di risoluzione delle controversie mediante arbitrato.

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Di cosa si tratta

Con uno stock d’investimenti diretti all’estero di oltre 1'460 miliardi di franchi, le imprese svizzere sono tra i dieci principali esportatori di capitali al mondo. Per proteggerle, il Consiglio federale ha concluso 111 accordi di protezione degli investimenti (API) con dei Paesi in via di sviluppo, con la significativa eccezione del Trattato della Carta dell’Energia, che include anche gli Stati membri dell’UE e la stessa UE.

Ora, questi accordi conferiscono quasi esclusivamente dei diritti agli investitori stranieri e degli obblighi agli Stati d’accoglienza. Oltre a ciò, essi includono un meccanismo di risoluzione delle controversie denominato «Investor-state dispute settlement, ISDS». Questo meccanismo è unico nel diritto internazionale e permette a un’impresa straniera di sporgere denuncia contro lo Stato d’accoglienza se si ritiene lesa sulla base del trattato in vigore tra lo Stato d’origine e quello di accoglienza. Alliance Sud chiede di riequilibrare gli accordi e di escludere l’ISDS.