Intervista

Compiere progressi solidi negli Stati fragili

03.10.2023, Cooperazione internazionale

La fragilità dello Stato è uno dei maggiori ostacoli a una lotta efficace e sostenibile contro la povertà. Alliance Sud ha discusso le opportunità e i limiti della cooperazione internazionale (CI) in contesti fragili con Christoph Zürcher, professore di relazioni internazionali all’Università di Ottawa.

Laura Ebneter
Laura Ebneter

Esperta in cooperazione internazionale

Marco Fähndrich
Marco Fähndrich

Responsabile della comunicazione e dei media

Compiere progressi solidi negli Stati fragili

Christoph Zürcher è professore presso la Graduate School of Public and International Affairs dell’Università di Ottawa, Canada. Politologo, svolge attività di ricerca e insegnamento negli ambiti promozione della pace, relazioni internazionali e cooperazione internazionale, con focalizzazione regionale sull’ex Unione Sovietica, in particolare sulla Russia, sul Caucaso e sull’Asia centrale. Nel suo ultimo lavoro di ricerca si è concentrato principalmente sulla misurazione dell’efficacia della cooperazione internazionale in contesti fragili.

© Daniel Rihs

Signor Zürcher, cosa significa vivere in un contesto fragile?
Quando sono stato in Afghanistan nel 2017 per la mia ricerca, la mia vita in quanto straniero era in netto contrasto con la realtà di vita della popolazione. Venivo portato in giro in un SUV blindato, non avevo praticamente accesso alla popolazione locale e, nel migliore dei casi, dialogavo con il mondo politico. La vita quotidiana della gente del posto è segnata da povertà, violenza, paura dell’arbitrio e corruzione. Pertanto, l’orizzonte temporale è a breve termine e le possibilità di pianificazione delle persone sono molto limitate. La domanda su cosa coltivare in campo la stagione successiva o se i bambini debbano andare a scuola difficilmente può trovare risposta in contesti fragili a causa dell’incertezza generale.

Qualche mese fa, ha condotto uno studio sull’efficacia della cooperazione internazionale negli Stati fragili. Cosa l’ha sorpresa maggiormente?
La constatazione principale che la cooperazione internazionale non è riuscita a trasformare i Paesi fragili non mi ha sorpreso. Coincide con i risultati di numerosi altri studi. Per contro, la reazione ai risultati dello studio, che nel frattempo ho presentato più volte, continua a sorprendermi. Ogni volta che presento lo studio, ci sono persone in sala che contestano le evidenze e segnalano singoli progetti che invece hanno avuto successo. È comprensibile, perché i nostri risultati mettono in discussione l’idea stessa dell’efficacia dei loro anni di lavoro. Ma l’immunità di fronte all’evidenza è sorprendentemente alta.

Lei critica il fatto che la cooperazione internazionale non sia riuscita a trasformare i Paesi fragili. Questo “fallimento” non è dovuto semplicemente all’obiettivo troppo ambizioso?
L’idea che si possa trasformare un Paese come l’Afghanistan in una Danimarca con strumenti di cooperazione internazionale è ingenua. Il problema principale è che, dopo 20 anni di lavoro in Afghanistan, lo sapevamo e abbiamo continuato comunque come prima. Mi auguro che si discuta onestamente di ciò che la cooperazione internazionale può o non può ottenere e in quali contesti. Ci è consentito commettere errori, ma dobbiamo anche trarne le dovute conclusioni.

E cosa ha da dire il mondo scientifico al riguardo?
Il nostro studio ha dimostrato che gli investimenti nell’istruzione, nella sanità e nello sviluppo rurale, come il sostegno a favore delle strutture agricole, hanno un certo successo e sono apprezzati dalla popolazione locale. Tuttavia, è stato anche dimostrato che i progressi compiuti possono essere vanificati in breve tempo a causa della situazione politica, economica e sociale. Ma questo non significa che non si debba fornire alcun sostegno.

Lei esige una discussione onesta su nuove strategie in contesti fragili, a partire dal riconoscimento che la cooperazione allo sviluppo non è uno strumento efficace per stabilizzare uno Stato fragile. Quali sono, invece, gli strumenti efficaci?
In sostanza, si tratta di capire quali strumenti funzionano in un determinato contesto e quali no. Credo sia moralmente accettabile decidere di non avviare progetti di democratizzazione e buon governo in contesti fragili, bensì di investire risorse nell’aiuto umanitario e nella promozione della resilienza. I progetti orientati alle persone che non mirano alla grande trasformazione del Paese risultano efficaci.

È riuscito a individuare differenze tra i vari Paesi donatori?
Questo non era l’oggetto del nostro studio. Ma la mia ipotesi è che i Paesi donatori più piccoli e neutrali perseguano meno interessi politici con la loro CI e siano anche più umili. In contesti fragili, ad esempio, la Svizzera mira ad alleviare le difficoltà e le sofferenze umane, a rafforzare la resilienza, a proteggere i diritti umani e a promuovere la pace. Credo che sia realistico mirare a ottenere tali obiettivi con la cooperazione internazionale. Per contro, la stabilizzazione di un Paese è un processo politico e non può essere realizzata con la sola CI classica.

Negli Stati fragili, quale importanza riveste per la CI la cooperazione diretta con la società civile?
La cooperazione diretta con il governo è spesso inopportuna o inefficace negli Stati fragili. È per questo che la cooperazione con le organizzazioni della società civile locale e soprattutto con le comunità locali può essere particolarmente rilevante. Anche se questi programmi portano raramente a una maggiore sicurezza o legittimità del governo, spesso contribuiscono a migliorare le condizioni di vita in questi contesti difficili.

Si sente di frequente la critica secondo la quale i fondi per lo sviluppo non fanno altro che sostenere i regimi negli Stati autoritari e a mantenerli al potere più a lungo. Vi sono evidenze scientifiche in merito?
In questa critica, è essenziale distinguere quale CI viene prestata. Naturalmente, nel caso dell’aiuto budgetario diretto, questa critica è giustificata. Tuttavia, molti Paesi donatori si astengono dal fornire aiuti budgetari nei Paesi autoritari e fragili. In altri ambiti, il nesso non è osservabile. Non vedo alcuna evidenza che i regimi autoritari siano sostenuti dall’aiuto umanitario e dai progetti di resilienza. Non esiste un nesso provato tra la stabilità del regime e il numero di persone che muoiono di fame. E anche se ci fosse un nesso, l’imperativo morale sarebbe quello di aiutare le persone.

In Paesi come l’Afghanistan, dove la situazione umanitaria attualmente è catastrofica, sempre più organizzazioni si stanno ritirando. Supponiamo che possa progettare nel Paese il programma nazionale di un’agenzia di sviluppo: come investirebbe il denaro per ottenere la massima efficacia?
Di principio, affronterei la questione con molta umiltà, orientandomi alla popolazione del Paese e pianificando programmi su base locale. Punterei sugli investimenti in progetti infrastrutturali minori, sullo sviluppo della resilienza, sull’aiuto umanitario, sui progetti sanitari ed educativi nonché sulla promozione dell’informazione e dei media. Metterei in chiaro fin dall’inizio che ho intenzione di essere presente a lungo termine e realizzerei i progetti in modo partecipativo. Sarebbe una CI a lungo termine, tenace, che agisce in piccoli contesti, orientata alle persone e senza aspirazioni di trasformazione. Inoltre, di tanto in tanto è necessario valutare se i progetti e i programmi sono ancora adatti alle condizioni quadro o se, ad esempio, si può cooperare maggiormente con il governo rispetto a prima. I partenariati a lungo termine e la flessibilità nell’attuazione dovrebbero costituire i punti cardine della CI.

L’efficacia della cooperazione internazionale non viene già sufficientemente misurata?
Di norma, i progetti di cooperazione internazionale vengono valutati regolarmente. Ma il potenziale della misurazione dell’efficacia, cioè la valutazione dei risultati che i progetti e i programmi hanno raggiunto anche al di fuori dei loro obiettivi, è tutt’altro che sfruttato al massimo. In quest’ottica occorre ampliare la cooperazione con la comunità scientifica.

Ci sono ambiti della cooperazione internazionale per cui l’efficacia è difficile da misurare?
Sì, ci sono. Questi includono, ad esempio, progetti di promozione dei media e di capacity building. In tali progetti si investe molto denaro, ma l’efficacia è difficile da misurare. Non è un caso che i progetti di salute e nutrizione producano risultati chiari, perché sono facili da misurare. Al contrario è difficile, ad esempio, misurare l’efficacia di due anni di formazione per i dipendenti pubblici afghani del ministero delle Finanze, ma ciò non significa che non possa essere efficace.

Esistono soglie oltre le quali non ha più senso concentrarsi sulla misurazione dell’efficacia?
No, non credo. In ogni contesto e in ogni progetto ha senso sapere cosa funziona e cosa no.

Che aspetto avrebbe una CI basata solo su studi di efficacia e prove scientifiche?
Questi aspetti da soli non bastano. Oltre agli studi sull’efficacia e alle prove scientifiche, la pianificazione di progetti e programmi dovrebbe tenere conto anche della probabilità di successo o di fallimento. Nel complesso, ciò renderebbe la cooperazione internazionale più umile, più partecipativa e più a lungo termine. Poiché anche con progetti finanziariamente modesti si possono raggiungere molte persone.

Intervista pubblicata da laRegione il 24. novembre 2023

 

 

Fino a che punto gli aiuti negli Stati fragili possono essere efficaci?

L’analisi sistematica condotta da Christoph Zürcher di 315 valutazioni individuali della cooperazione internazionale per Afghanistan, Mali e Sud Sudan dal 2008 al 2021 mostra che essa non è uno strumento adeguato ad affrontare i problemi principali nei contesti fragili. Si segnalano comunque anche risultati positivi derivanti da progetti nei settori dell’istruzione, della sanità e dello sviluppo rurale. Con questi risultati, Christoph Zürcher invita la comunità internazionale a impegnarsi in un dibattito onesto sugli obiettivi e sull’efficacia della cooperazione internazionale in contesti fragili.

 

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La rivista periodica di Alliance Sud viene pubblicata quattro volte all’anno (in tedesco e francese) ed è possibile abbonarsi gratuitamente. In «global» trovate analisi e commenti riguardanti la politica estera e di sviluppo del nostro Paese.

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Motore dello sviluppo o nuova colonizzazione ?

09.12.2019, Commercio e investimenti

Con la Nuova via della Seta, la Cina sta segnando lo sviluppo globale in un modo senza precedenti. Ma quanto è sostenibile? La Svizzera vuole partecipare e ha firmato un memorandum d'intesa con la Cina.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Motore dello sviluppo o nuova colonizzazione ?

Onori militari per il primo ministro ungherese Viktor Orban al Belt and Road Forum 2017 davanti alla Grande Sala del Popolo di Pechino, Cina.
© Andy Wong / AP / Keystone

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Diritto alle sementi

13.02.2020, Commercio e investimenti

Negli accordi di libero scambio con i paesi del Sud, la Svizzera esige l’introduzione di leggi severe in materia di protezione delle varietà vegetali, che impedirebbero agli agricoltori il libero accesso alle sementi. Ciò è inaccettabile.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Diritto alle sementi

© pixelio.de / Rainer Sturm

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Pomodori al gusto di sangue

22.03.2020, Commercio e investimenti

Cofco Tunhe, il secondo produttore mondiale di concentrato di pomodoro, si trova nello Xinjiang – dove la Cina opprime milioni di Uiguri. La società madre Cofco ha stabilito la sua sede commerciale internazionale a Ginevra. La Svizzera deve agire.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Pomodori al gusto di sangue

Idrissa Diassy (24 anni), senegalese, è una delle vittime indirette della produzione globalizzata di pomodori. Lavora nel Sud Italia.
© Alessandro Bianchi / Reuters

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Ripensare la globalizzazione: il prima possibile

22.06.2020, Commercio e investimenti

Con il «grande lockdown» si moltiplicano gli appelli alla rilocalizzazione delle attività produttive. Occorre adottare un approccio misurato e graduale affinché il rimedio, per i Paesi in via di sviluppo, non si riveli essere peggiore del male.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Ripensare la globalizzazione: il prima possibile

Auf der Ilha de Cabo, einer der angolanischen Hauptstadt Luanda vorgelagerten Insel.
© Alfredo D’Amato/Panos

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Mercosur: studi d’impatto frammentari e parziali

09.12.2020, Commercio e investimenti

Dopo la conclusione dell’accordo di libero scambio, la Seco ha commissionato uno studio d’impatto su alcune questioni ambientali specifiche, omettendo le questioni sociali e di diritti umani.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Mercosur: studi d’impatto frammentari e parziali

Impiego di pesticidi per la coltivazione a grande scala della soia geneticamente modificata in Uruguay. Questo foraggio viene esportato in Cina e nell'UE
© Joerg Boethling

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Il più grande deposito di nichel del mondo

19.03.2021, Commercio e investimenti

Recentemente il governo della Tanzania ha firmato un contratto con una multinazionale britannica, in cui è previsto che i profitti generati dalla vendita del nichel siano equamente ripartiti e che la fusione del metallo avvenga in loco. Questa tendenza all'interventismo statale è visibile anche nella vicina Zambia. La Svizzera ha riorientato la sua strategia di sviluppo in Africa e deve supportare la giusta ripartizione dei guadagni.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Il più grande deposito di nichel del mondo

© Daniel Hayduk / AFP

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Una legge che leghi economia e diritti umani

21.06.2021, Commercio e investimenti

Mentre le violazioni dei diritti umani si moltiplicano, come mostra l’esempio della Cina e del Myanmar, la Svizzera non dispone delle basi legali che le permettono di adottare rapidamente misure economiche mirate.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Una legge che leghi economia e diritti umani

Lo Xinjiang, la regione autonoma degli Uiguri in Cina, sta diventando sempre più una "prigione a cielo aperto": la polizia è ovunque, pregare e farsi la barba è ampiamente proibito in pubblico.
© Johannes Eisele / AFP

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Glencore vs Colombia sulla miniera di Cerrejón

22.03.2022, Commercio e investimenti

La multinazionale elvetica Glencore è diventata l’unica proprietaria della più grande miniera di carbone a cielo aperto dell’America latina. Ha fatto anche causa alla Colombia per contestare una decisione giudiziaria a favore delle comunità locali.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Glencore vs Colombia sulla miniera di Cerrejón

L'Arroyo Bruno, un affluente di un fiume molto importante a La Guajira, fu deviato per aumentare l'estrazione di carbone da una cava chiamata La Puente.
© Colectivo de Abogados José Alvear Restrepo (CAJAR)

L’11 gennaio, Glencore, il principale esportatore di carbone termico al mondo, annunciava il riacquisto delle parti di BHP e Anglo American in “Carbones” di Cerrejon, la più grande miniera di carbone a cielo aperto dell’America latina e una delle più grandi del mondo. La multinazionale svizzera ha fatto un buon affare: sborsando per finire solo 101 milioni USD grazie all’aumento della domanda e quindi del prezzo del carbone, è diventata l’unica proprietaria di Cerrejon. Le due altre imprese hanno venduto le loro parti su pressione degli azionisti, che le incitano ad abbandonare l’energia fossile più inquinante per lottare contro la crisi climatica. Eppure Glencore non si è fatta scrupoli, nonostante il suo impegno dichiarato di ridurre l’impronta totale delle emissioni del 15% entro il 2026, del 50% entro il 2035 e di pervenire ad attività a zero emissioni totali entro il 2050.

Una miniera responsabile di gravi violazioni dei diritti umani

« La miniera di Cerrejon è sfruttata da tanti di quegli anni – dal 1985 – che gli abusi di potere e l’asimmetria che esistono fra i proprietari, le comunità e lo Stato sono ampiamente documentati. Si traducono in gravi violazioni dei diritti umani delle comunità afro-indigene, a cominciare dai Wayuu » ci spiega Rosa Maria Mateus di CAJAR, un collettivo di avvocati colombiani che difende i diritti umani da quaranta anni.

« Carbones del Cerrejón è stata dichiarata responsabile innumerevoli volte ed è stata oggetto di sette decisioni giudiziarie, continua. Ma le sanzioni non sono mai applicate perché l’impresa si approfitta dell’estrema povertà di queste comunità. La Guajira, dove si trova la miniera, è il secondo dipartimento più corrotto della Colombia. I bambini muoiono di fame e di sete e l’impresa ne approfitta per offrire compensazioni insufficienti agli occhi delle comunità. Dobbiamo cambiare il modello economico e abbandonare il carbone per fronteggiare la crisi climatica di cui gli abitanti di La Guajira sono le prime vittime».

La diversione dell’Arrojo Bruno condannata dalla Corte costituzionale

Una delle sentenze riguarda il caso dell’Arroyo Bruno, un affluente di un fiume molto importante della Guajira che è stato deviato per aumentare l’estrazione del carbone da un pozzo chiamato La Puente. Questo corso d’acqua è circondato dalla foresta tropicale secca, un ecosistema gravemente minacciato. Nel 2017, la Corte costituzionale colombiana ha stabilito che, autorizzando questa espansione, non erano stati presi in considerazione importanti impatti sociali e ambientali sui diritti delle comunità locali. Si tratta soprattutto della grande vulnerabilità al cambiamento climatico della regione, che soffre di una grave scarsità idrica.

La Corte ha bloccato i lavori, ordinando un nuovo studio d’impatto per determinare la viabilità dell’espansione mineraria a livello di protezione dei diritti delle comunità. Come rappresaglia, Glencore ha fatto causa contro la Colombia presso il CIRDI, il tribunale arbitrale della Banca mondiale, invocando il mancato rispetto dell’accordo di protezione degli investimenti fra la Colombia e la Svizzera. Nella sua azione giudiziaria, la multinazionale afferma che la decisione del tribunale colombiano sull’Arroyo Bruno, che ha impedito l’aumento dello sfruttamento della miniera, è una « misura irragionevole, incoerente e discriminatoria ». Per il momento è stato nominato un arbitro, ma non si sa niente di più, a cominciare dal risarcimento richiesto da Glencore. 

« È il colmo pretendere di essere risarciti per i danni causati! » s’indigna Rosa Maria Mateus. « L'impresa afferma di avere delle politiche ambientali e di piantare alberi, ma abbiamo constatato che mente. Non rispetta gli standard ambientali e non riesce neanche a riparare un minimo dei danni causati. Abbiamo potuto provare l’inquinamento dell’acqua e dell’aria e l’impatto negativo sulla salute della popolazione. Tutto ciò è molto grave, soprattutto visto che in Europa si parla di decarbonizzazione e di lasciare il carbone nel sottosuolo. »

Esplorazione della possibilità di un Amicus curiae

Allora cosa fa CAJAR? Rosa Maria Mateus ammette che le possibilità sono limitate. L’unica è l'Amicus curiae, un esposto per rendere udibile la voce delle comunità, che deve essere però autorizzato dal tribunale arbitrale il quale, secondo lei, non offre alcuna garanzia per le vittime visto che si tratta di una giustizia privata creata per proteggere le grandi imprese. « Ma cercheremo di farlo lo stesso e abbiamo appena iniziato a raccogliere i punti di vista delle comunità. Poi vogliamo trasmettere l'Amicus curiae ad organizzazioni amiche come Alliance Sud, affinché ci aiutino a far conoscere la situazione. Le imprese hanno un grande potere mediatico, sono le loro verità che si conoscono, non le tragedie delle vittime. Glencore ha estratto molte risorse dalla Colombia, nonostante l’economia del Paese sia molto debole. Rappresenta una minaccia per la sovranità dello Stato e soprattutto per i tribunali di cui contesta la giurisdizione, riproducendo le pratiche coloniali. »

 

BOX: Terza causa di Glencore contro la Colombia

La Colombia deve fronteggiare una valanga di 17 cause al minimo secondo la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (CNUCED), che tuttavia non annovera l’ultima di Glencore. La strada è stata aperta nel 2016 dalla multinazionale svizzera, che contestava un contratto relativo alla miniera di carbone di Prodeco per il quale ha ottenuto un risarcimento di 19 milioni USD.

Queste cause sono giudicate da un tribunale composto da tre arbitri – uno nominato dalla multinazionale straniera, l’altro dal Paese attaccato e il terzo dalle due parti. I tribunali possono accettare degli Amicus curiae, che sono degli esposti, per lo più scritti, dei punti di vista delle comunità impattate e che vengono inoltrati dalle ONG. Ad oggi, 85 domande d’Amicus curiae sono state presentate, di cui 56 sono state accettate. L’accordo di protezione degli investimenti con la Colombia, sul quale si basa la causa di Glencore, non prevede la possibilità di un Amicus curiae. Questo accordo sarà rinegoziato e, anche se non costituirà la base legale della presente causa, Alliance Sud chiede che questa possibilità vi sia integrata.

Rosa Maria Mateus sarà il 2 maggio a Losanna e il 3 maggio a Ginevra per parlare di questo  caso.

Troisième plainte de Glencore contre la Colombie

BOX: Terza causa di Glencore contro la Colombia

La Colombia deve fronteggiare una valanga di 17 cause al minimo secondo la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo (CNUCED), che tuttavia non annovera l’ultima di Glencore. La strada è stata aperta nel 2016 dalla multinazionale svizzera, che contestava un contratto relativo alla miniera di carbone di Prodeco per il quale ha ottenuto un risarcimento di 19 milioni USD.

Queste cause sono giudicate da un tribunale composto da tre arbitri – uno nominato dalla multinazionale straniera, l’altro dal Paese attaccato e il terzo dalle due parti. I tribunali possono accettare degli Amicus curiae, che sono degli esposti, per lo più scritti, dei punti di vista delle comunità impattate e che vengono inoltrati dalle ONG. Ad oggi, 85 domande d’Amicus curiae sono state presentate, di cui 56 sono state accettate. L’accordo di protezione degli investimenti con la Colombia, sul quale si basa la causa di Glencore, non prevede la possibilità di un Amicus curiae. Questo accordo sarà rinegoziato e, anche se non costituirà la base legale della presente causa, Alliance Sud chiede che questa possibilità vi sia integrata.

Rosa Maria Mateus sarà il 2 maggio a Losanna e il 3 maggio a Ginevra per parlare di questo  caso.

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© Rosa María Mateus
« Les enfants meurent de faim et de soif et l'entreprise en profite pour offrir des compensations insuffisantes aux yeux des communautés. Nous devons changer le modèle économique et abandonner le charbon pour faire face à la crise climatique dont les habitants de La Guajira sont les premières victimes. »

Presa di posizione

Dichiarazione su Israele e Palestina

17.10.2023, Cooperazione internazionale

Alliance Sud invita il Consiglio federale a impegnarsi tramite tutti i canali possibili presso le due parti affinché rispettino il diritto internazionale umanitario. Fondamentale è anche un accesso umanitario immediato e senza ostacoli.

Dichiarazione su Israele e Palestina

© KEYSTONE/DPA/Abed Rahim Khatib

Alliance Sud è inorridita dagli atti terroristici commessi da Hamas, come pure dall’uccisione e dal rapimento di civili israeliani. Il diritto internazionale umanitario vieta la presa di ostaggi. Alliance Sud si oppone a ogni tipo di violenza e sta dalla parte della popolazione civile e delle organizzazioni della società civile che si sono impegnate sui due fronti per favorire la riconciliazione e la pace.  

Composta principalmente da rifugiati di conflitti precedenti, la popolazione di Gaza soffre già da 16 anni di un blocco che ha distrutto l’economia e le basi esistenziali nella striscia di Gaza.  

La popolazione civile paga sempre a caro prezzo le conseguenze dei conflitti. Per questo motivo il diritto internazionale umanitario ha come obiettivo quello di evitarle danni supplementari, anche nei conflitti armati. Tutte le parti devono dar prova di moderazione e proteggere la vita e i beni della popolazione. Il bombardamento di abitazioni in Israele e a Gaza è una violazione del diritto internazionale umanitario. L’allontanamento delle popolazioni verso una parte ancor più ridotta della striscia di Gaza sbarrata costituisce un’altra catastrofe umanitaria.

Le Convenzioni di Ginevra proibiscono l’uccisione di persone civili e le sevizie. Esse esigono che le persone ferite e i malati vengano curati. Il personale umanitario deve quindi essere sistematicamente protetto e non deve mai essere l’obiettivo degli attacchi. Neppure le reti elettriche e idriche, indispensabili per la sopravvivenza, devono subire attacchi. Indipendentemente da un assedio militare, le autorità devono assicurarsi che le popolazioni dispongano di acqua pulita, di cibo e di un accesso alle cure mediche.

Alliance Sud chiede alle parti in conflitto di cessare immediatamente la violenza e di rispettare incondizionatamente il diritto internazionale umanitario per la protezione della popolazione civile. I bombardamenti sui civili a Gaza devono quindi cessare. Inoltre, anche gli ostaggi portati a Gaza devono essere immediatamente liberati sani e salvi.

Alliance Sud invita il Consiglio federale a impegnarsi tramite tutti i canali possibili presso le due parti affinché rispettino il diritto internazionale umanitario. Oltre a ciò, il Consiglio federale deve impegnarsi per un accesso umanitario immediato e senza ostacoli volto a proteggere la popolazione civile e a garantire i bisogni primari.