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La Svizzera davanti a un tribunale arbitrale

25.08.2020, Commercio e investimenti

La Svizzera non è al riparo dall'arbitrato internazionale: per la prima volta, è stata sporta denuncia contro di essa. È un'occasione d'oro per riequilibrare gli accordi di protezione degli investimenti a favore dei paesi ospitanti.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

La Svizzera davanti a un tribunale arbitrale

© Isolda Agazzi / Alliance Sud

Prima o poi doveva succedere. Per la prima volta nella sua storia, la Svizzera è oggetto di una causa davanti all’ICSID (Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative agli investimenti), il tribunale arbitrale della Banca mondiale che dirime le controversie legate agli accordi di protezione degli investimenti. Ironia della sorte, è un paradiso tropicale che potrebbe portare la Svizzera all’inferno: un’entità giuridica domiciliata alle Seychelles e controllata da un cittadino elvetico, che pretende agire a nome di tre Italiani che avrebbero subito perdite per via di un decreto federale urgente del 1989, il quale vieta di rivendere edifici non agricoli per cinque anni. Un documento (RS 211.437.1) così vecchio che non si trova neanche su internet... Il denunciante si basa sull’accordo di protezione degli investimenti (API) Svizzera – Ungheria e reclama 300 milioni CHF di compensazione. La Svizzera contesta tutto (comunicato stampa del 20.08.2020).

37 cause di imprese svizzere contro degli Stati

Per quanto campata in aria possa sembrare questa faccenda, dimostra che la Svizzera non è immune da questo meccanismo tanto criticato dell’arbitrato internazionale, che permette ad un investitore straniero di fare causa ad uno Stato ospite – ma non il contrario – se quest’ultimo vara una nuova regolamentazione per proteggere l’ambiente, la salute, i diritti dei lavoratori o l’interesse pubblico.

Finora Berna era riuscita nell’exploit quasi unico al mondo di evitarlo, mentre 37 cause d’imprese svizzere (o che si pretendono tali) sono state identificate ad oggi dall’UNCTAD. L’ultima riguarda Chevron contro le Filippine, sulla base del trattato di protezione degli investimenti Svizzera – Filippine. Un affare di cui non si sa quasi niente, salvo che porta su un giacimento di gas offshore. Chevron, impresa svizzera? A priori non si direbbe, ma la multinazionale americana deve aver fatto “treaty-shopping”, come si dice in gergo, aver trovato che l’API Svizzera – Filippine serviva al meglio i suoi interessi ed essere riuscita a farsi passare per un’azienda elvetica. Ciò mentre è impigliata da decenni in guai giudiziari in Ecuador per avere inquinato l’Amazzonia.

Sopprimere l’ISDS

Sono anni che Alliance Sud chiede alla Svizzera di riequilibrare gli accordi di protezione degli investimenti con i paesi di accoglienza (115 ad oggi, esclusivamente paesi in via di sviluppo) per garantire meglio i loro diritti. Ultimamente il Sudafrica, la Bolivia, l’Ecuador, l’India, l’Indonesia e Malta hanno denunciato i loro e vogliono rinegoziarne di più equilibrati, o non ne vogliono più. L’elemento più contestato è precisamente l’arbitrato internazionale (ISDS), un meccanismo della giustizia privata che prevede che l’investitore scelga un arbitro, lo Stato accusato un altro e i due si mettano d’accordo su un terzo. Tre giudici che possono condannare lo Stato a pagare compensazioni di centinaia di milioni di dollari. Alliance Sud chiede di rinunciare completamente all’ISDS o, alla peggio, di usarlo solo come ultima spiaggia, dopo aver esaurito i ricorsi interni.

Gli Stati dovrebbero poter depositare una contro-causa per violazione dei diritti umani

Se gli accordi di protezione degli investimenti proteggono solo i diritti degli investitori stranieri, una prima breccia a favore del diritto alla salute si è aperta con la sentenza di Philip Morris contro l’Uruguay (luglio 2016) che ha dato torto al fabbricante svizzero di sigarette da A a Z. Un secondo barlume di speranza si è acceso alla fine del 2016, quando un tribunale arbitrale ha dato torto a Urbaser, un’impresa spagnola che gestiva la fornitura d’acqua a Buenos Aires ed era fallita dopo la crisi finanziaria del 2001 – 2002. Gli arbitri hanno statuito che un investitore deve rispettare pure i diritti umani. Per la prima volta hanno accettato anche il principio della “contro-causa” dell’Argentina contro Urbaser per violazione del diritto all’acqua della popolazione... salvo poi finire per decidere che, in fondo, Urbaser non lo aveva violato (!). Hanno considerato che la contro-causa era ricevibile perchè l’API Argentina – Spagna permette “alle due parti” di fare causa.

Scuotere l’albero da cocco

Purtroppo non è il caso degli API svizzeri, che permettono solo all’investitore di sporgere denuncia e non ad ambedue le parti[1]. L’aggiornamento degli accordi in corso, o la rinegoziazione di nuovi, è l’occasione di introdurre questa modifica. Che resta però modesta visto che la denuncia iniziale può provenire solo dall’investitore: vittime della violazione del diritto all’acqua, alla salute, o dei diritti sindacali, non possono sporgere denuncia per primi contro le multinazionali straniere. Possono solo, nel migliore dei casi, rispondere alla loro.

Adesso che un investitore delle Seychelles ha scosso l’albero da cocco, e qualunque sia l’esito di questa causa, speriamo che la Svizzera farà sforzi seri per riequilibrare i suoi accordi d’investimento. Ormai è chiaramente anche nel suo interesse.

                                                 

[1] Vedi per esempio l’art. 10.2 dell’API con la Georgia, il più recente API svizzero.

Questo testo è stato pubblicato nel blog di Isolda Agazzi “Lignes d’horizon” su Le Temps.