Leggendo il titolo del documento (Accordo sulla cooperazione nel processo di ricostruzione dell’Ucraina) si potrebbe pensare che si tratti dell’intero programma nazionale per l’Ucraina 2025-2028, che la Svizzera finanzia attingendo 1,5 miliardi di franchi dal bilancio della cooperazione internazionale.
Avanzando con la lettura del preambolo, si constata che le parti esprimono la loro volontà di rafforzare la «resilienza dell’economia ucraina» e di «promuovere l’integrazione economica dell’Ucraina nel mercato europeo». Si sottolinea anche l’importanza del ruolo del settore privato per una «ricostruzione efficiente e sostenibile». A questo punto ci si potrebbe aspettare che l’accordo includa un’ampia gamma di misure di cooperazione economica che la Svizzera propone di mettere in atto soprattutto a vantaggio dell’economia e delle imprese ucraine.
Ma così non è. Il fulcro dell’accordo è la definizione delle modalità con cui verrà fornita un’assistenza tecnica e finanziaria non rimborsabile per «l’acquisto di beni e servizi da aziende svizzere» destinati a progetti di ricostruzione in Ucraina, in particolare nei settori dell’energia, dei trasporti e della mobilità, dell’edilizia e dell’acqua. Questa «assistenza» è finanziata interamente dal credito d’impegno della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) ed è soggetta all’approvazione del Parlamento nell’ambito dei dibattiti sul bilancio. Il Consiglio federale intende mettere a disposizione per questo scopo un terzo del budget di 1,5 miliardi di franchi per la ricostruzione dell’Ucraina nel periodo 2025-2028, ossia 500 milioni di franchi.
Progetti già approvati
Nel mese di agosto 2025 sono stati presentati i primi dodici progetti del settore privato svizzero che saranno sostenuti con i fondi del bilancio per la cooperazione svizzera allo sviluppo. Complessivamente il preventivo raggiunge i 112 milioni di franchi, di cui 93 milioni sono finanziati dalla Svizzera e il resto da imprese e partner ucraini. I progetti riguardano le infrastrutture (energia, alloggi), i trasporti pubblici, la sanità e lo sminamento umanitario. Tra le imprese oggetto della promozione figurano Hitachi e Roche. Attualmente, solo le imprese svizzere già attive in Ucraina possono ricevere gli aiuti finanziari della SECO.
Una cooperazione priva di base giuridica
Chi legge attentamente si chiederà allora giustamente su quale base giuridica si fondi questa «assistenza tecnica e finanziaria». Il rapporto esplicativo del Consiglio federale è chiaro a questo proposito. Le misure finanziarie descritte non poggiano sulla legge federale sulla cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario internazionali (legge sulla CI). Più che altro giovano agli interessi di politica economica estera della Svizzera. Il rapporto non lascia spazio a dubbi: il settore privato svizzero non rientra nel campo di applicazione della legge sulla CI. Potrebbero forse fungere da base giuridica i meccanismi di sostegno alle esportazioni svizzere, tra cui la legge federale sulla promozione delle esportazioni e la legge sull’assicurazione contro i rischi delle esportazioni? Nemmeno, poiché il loro scopo e oggetto, sempre secondo il Consiglio federale, sono completamente diversi e, in secondo luogo, queste leggi non consentono il finanziamento delle esportazioni svizzere o di sussidi, in quanto ciò violerebbe gli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) applicabili in materia.
Qui ci troviamo dunque in una zona d’ombra dal punto di vista legale.
Tuttavia, grazie a uno stratagemma giuridico l’accordo è stato strutturato in modo tale che gli acquisti da aziende svizzere – malgrado non si basino su alcuna legislazione svizzera esplicita – siano soggetti alla legge federale sugli appalti pubblici (LAPub). Viene sottolineata la necessità di garantire la «sicurezza giuridica» di queste transazioni. Questo approccio però non torna del tutto.
Secondo la LAPub, infatti, la Svizzera è tenuta ad autorizzare le imprese dei Paesi che le accordano la reciprocità (in particolare Unione Europea e Ucraina) a partecipare alle gare d’appalto. L’accordo in questione sospende tale obbligo ed esclude gli offerenti esteri dalle gare d’appalto, per riservarle alle aziende svizzere. Con questa mossa il Consiglio federale rischia che gli altri Paesi, in particolare gli Stati membri dell’UE, ritirino la reciprocità alle imprese svizzere nel quadro degli appalti pubblici legati ai loro progetti di cooperazione con l’Ucraina. Questo aspetto, tuttavia, non è menzionato nel rapporto esplicativo.
Un meccanismo obsoleto e problematico
Al di là delle sottigliezze giuridiche, il vero problema in termini di politica di sviluppo è che il Consiglio federale favorisca il ritorno dell’aiuto vincolato (tied aid) sotto mentite spoglie di «accordo di cooperazione». Stiamo parlando di una pratica che è stata fortemente criticata dal Comitato per l’aiuto allo sviluppo dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (CAS OCSE) e che è stata quasi completamente bandita dalla cooperazione internazionale della Svizzera a causa delle sue ripercussioni negative sui Paesi partner. Questo accordo costituisce quindi un precedente preoccupante, in quanto riattiva un meccanismo obsoleto e screditato.
Nell’ultimo rapporto di revisione del Comitato per l’aiuto allo sviluppo dell’OCSE (OECD/DAC Peer Review Switzerland 2025), la Svizzera è stata invitata a porre fine a questo tipo di aiuto vincolato. Secondo l’OCSE, in questo modo si «consente al Paese beneficiario di rifornirsi di beni e servizi praticamente da qualsiasi Paese, evitando così costi inutili».
Sussidi per le esportazioni a scapito della cooperazione
Oltretutto, non vi è alcun motivo evidente per cui questi «aiuti finanziari in settori specifici» o, per utilizzare una formulazione più appropriata, questi sussidi per le esportazioni di beni e servizi svizzeri, debbano essere finanziati interamente dal bilancio della cooperazione internazionale. Visto che sono destinati esclusivamente alle imprese svizzere e non si fondano sulla legge sulla CI, non possono essere considerati uno strumento della cooperazione internazionale della Svizzera. Siamo di fronte a una progressiva ridistribuzione dei fondi che dovrebbero servire a ridurre la povertà a favore degli attori del settore privato, una ridistribuzione che si inserisce nel contesto di una tendenza negativa in atto che contesta gli obiettivi e le finalità della cooperazione internazionale.
Alliance Sud chiede quindi che per questi aiuti finanziari in futuro non si attinga più dal bilancio della cooperazione internazionale. Se il Consiglio federale intende mantenere questo tipo di sostegno alle imprese svizzere nell’ambito della ricostruzione dell’Ucraina, dovrebbe attingere a nuove fonti di finanziamento separate, al fine di non gravare sui fondi della cooperazione internazionale. Questi ultimi devono essere impiegati in via prioritaria per combattere la povertà e sostenere le popolazioni svantaggiate.