Comunicato stampa

AET vuole ottenere milioni per l'uscita dal carbone in Germania

16.05.2025, Commercio e investimenti

Un rapporto pubblicato oggi da numerose organizzazioni non governative mette in luce gli elementi che hanno portato Azienda Elettrica Ticinese (AET) a adire un tribunale arbitrale per contestare l'uscita della Germania dal carbone. L'azienda pubblica svizzera chiede un risarcimento di 85,5 milioni di euro più interessi per la chiusura di una centrale a carbone situata a Lünen, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, di cui detiene una partecipazione. Secondo le proprie dichiarazioni, AET ha investito poco più di 23 milioni di euro nel progetto della centrale elettrica.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

+41 22 901 07 82 isolda.agazzi@alliancesud.ch
AET vuole ottenere milioni per l'uscita dal carbone in Germania

Deficitaria e dannosa per il clima: la centrale a carbone Trianel di Lünen, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, è operativa dal 2013 - con la partecipazione dell'Azienda Elettrica Ticinese (AET).  © Keystone/DPA/Bernd Thissen

Comunicato stampa congiunto di Alliance Sud, Réseau Commerce équitable, PowerShift, Istituto per l'ambiente di Monaco, WWF Svizzera, Public Eye, Pro Natura

 

Da un esame più approfondito della denuncia emerge che:

•    La centrale a carbone ha registrato perdite ogni anno dalla sua costruzione. AET chiede quindi un risarcimento per un impianto che era in perdita e che dovrebbe rimanere tale;
•    AET è stata costretta da un referendum a cedere la sua partecipazione nella centrale a carbone entro il 2035. Tuttavia, desidera essere risarcita per i guadagni ipotetici della centrale fino al 2053.
•    Se AET ottenesse ragione in questo procedimento, ciò metterebbe in discussione l'architettura dell'uscita dal carbone in Germania e potrebbe portare ad altri ricorsi dinanzi a tribunali arbitrali da parte di imprese del settore del carbone. Altre nove centrali a carbone in Germania hanno azionisti stranieri che, in caso di successo di AET, potrebbero adire un tribunale arbitrale.
    
«È scandaloso che un'azienda pubblica ricorra a tribunali arbitrali non democratici per opporsi a misure necessarie alla protezione del clima. Il fatto che AET richieda indennizzi per una centrale elettrica in perdita e moltiplichi cosi’ il suo investimento iniziale è il colmo», dichiara Fabian Flues, esperto di commercio presso l'ONG PowerShift.

«Anche prima della costruzione della centrale a carbone di Lünen, il fallimento era prevedibile. Il WWF aveva chiaramente messo in guardia AET e il Cantone Ticino contro questa decisione irrazionale dal punto di vista economico e dannosa per il clima. Invece di assumersi le proprie responsabilità, AET scarica ora la responsabilità del proprio fallimento sulla politica climatica tedesca e chiede un risarcimento danni. Un simile atteggiamento è indegno di un ente di diritto pubblico. Il Cantone Ticino deve porre fine a questa farsa e chiedere conto ai responsabili», dichiara Francesco Maggi, direttore del WWF Svizzera italiana.

«A differenza dell'UE e di diversi paesi europei, la Svizzera non ha denunciato il Trattato sulla Carta dell'energia. Questo trattato rallenta l'uscita dalle energie fossili e la rende più difficile, come dimostra il ricorso di AET contro la Germania. La Svizzera deve seguire l'esempio e denunciare questo trattato anacronistico», dichiara Isolda Agazzi, esperta di investimenti presso Alliance Sud.

«Ritirandosi dal Trattato sulla Carta dell'energia, la Germania ha compiuto un passo importante, ma non ne ha tratto insegnamento. Mentre gli accordi di protezione degli investimenti continuano a sabotare la nostra politica energetica, il governo federale persegue la conclusione di nuovi accordi che prevedono gli stessi meccanismi di arbitrato problematici».

 

Contesto:

La procedura arbitrale avviata da AET rientra nel Trattato sulla Carta dell'energia, un accordo di protezione degli investimenti concluso negli anni '90. Il TCE consente agli investitori di adire i tribunali arbitrali per contestare misure energetiche e climatiche che limitano i loro profitti. Nessun altro accordo di protezione degli investimenti ha dato luogo a così tante procedure arbitrali come il TCE. La Germania, l'UE e altri 10 paesi hanno denunciato il TCE perché limita fortemente la loro capacità di agire nella crisi climatica. La Svizzera rimane parte del TCE. Il trattato contiene una clausola di caducità che consente di intentare azioni legali per un periodo di 20 anni dopo il recesso. I paesi che recedono dal TCE possono tuttavia concludere un accordo per escludere qualsiasi azione legale tra loro.

Inoltre, la Germania è il Paese che ha concluso il maggior numero di accordi bilaterali di protezione degli investimenti al mondo, che hanno già dato luogo a 58 ricorsi da parte di investitori. Il Ministero federale tedesco dell'Economia e della Protezione del clima ha definito questi accordi «obsoleti sotto molti aspetti». Tuttavia, il nuovo accordo di coalizione non prevede alcuna misura per porre rimedio a queste eredità del passato. La società civile tedesca chiede che questi accordi siano denunciati di concerto con i paesi partner.

Le organizzazioni svizzere per la difesa dell'ambiente e dello sviluppo chiedono da tempo che la Svizzera si ritiri dal Trattato sulla Carta dell'energia. Il Consiglio federale non intende tuttavia denunciarlo. Al contrario, ha approvato la sua modernizzazione, come deciso durante la conferenza sulla Carta dell'energia del 3 dicembre 2024.

 

Link verso il briefing:

https://power-shift.de/aet-briefing/

Per ulteriori informazioni:
Francesco Maggi, WWF, 078 791 68 56, francesco.maggi@wwf.ch

 

Comunicato stampa

Accordi di protezione degli investimenti obsoleti

25.02.2013, Commercio e investimenti

I 130 accordi di protezione degli investimenti della Svizzera sono unilaterali e limitano in maniera esagerata il margine di manovra dei paesi d’accoglienza. Occorre dunque rivedere il nuovo accordo con la Tunisia.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

+41 22 901 07 82 isolda.agazzi@alliancesud.ch
Accordi di protezione degli investimenti obsoleti

Articolo

Motore dello sviluppo o nuova colonizzazione ?

09.12.2019, Commercio e investimenti

Con la Nuova via della Seta, la Cina sta segnando lo sviluppo globale in un modo senza precedenti. Ma quanto è sostenibile? La Svizzera vuole partecipare e ha firmato un memorandum d'intesa con la Cina.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Motore dello sviluppo o nuova colonizzazione ?

Onori militari per il primo ministro ungherese Viktor Orban al Belt and Road Forum 2017 davanti alla Grande Sala del Popolo di Pechino, Cina.
© Andy Wong / AP / Keystone

Articolo

Il più grande deposito di nichel del mondo

19.03.2021, Commercio e investimenti

Recentemente il governo della Tanzania ha firmato un contratto con una multinazionale britannica, in cui è previsto che i profitti generati dalla vendita del nichel siano equamente ripartiti e che la fusione del metallo avvenga in loco. Questa tendenza all'interventismo statale è visibile anche nella vicina Zambia. La Svizzera ha riorientato la sua strategia di sviluppo in Africa e deve supportare la giusta ripartizione dei guadagni.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

Il più grande deposito di nichel del mondo

© Daniel Hayduk / AFP

Articolo

La Svizzera davanti a un tribunale arbitrale

25.08.2020, Commercio e investimenti

La Svizzera non è al riparo dall'arbitrato internazionale: per la prima volta, è stata sporta denuncia contro di essa. È un'occasione d'oro per riequilibrare gli accordi di protezione degli investimenti a favore dei paesi ospitanti.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

La Svizzera davanti a un tribunale arbitrale

© Isolda Agazzi / Alliance Sud

Prima o poi doveva succedere. Per la prima volta nella sua storia, la Svizzera è oggetto di una causa davanti all’ICSID (Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative agli investimenti), il tribunale arbitrale della Banca mondiale che dirime le controversie legate agli accordi di protezione degli investimenti. Ironia della sorte, è un paradiso tropicale che potrebbe portare la Svizzera all’inferno: un’entità giuridica domiciliata alle Seychelles e controllata da un cittadino elvetico, che pretende agire a nome di tre Italiani che avrebbero subito perdite per via di un decreto federale urgente del 1989, il quale vieta di rivendere edifici non agricoli per cinque anni. Un documento (RS 211.437.1) così vecchio che non si trova neanche su internet... Il denunciante si basa sull’accordo di protezione degli investimenti (API) Svizzera – Ungheria e reclama 300 milioni CHF di compensazione. La Svizzera contesta tutto (comunicato stampa del 20.08.2020).

37 cause di imprese svizzere contro degli Stati

Per quanto campata in aria possa sembrare questa faccenda, dimostra che la Svizzera non è immune da questo meccanismo tanto criticato dell’arbitrato internazionale, che permette ad un investitore straniero di fare causa ad uno Stato ospite – ma non il contrario – se quest’ultimo vara una nuova regolamentazione per proteggere l’ambiente, la salute, i diritti dei lavoratori o l’interesse pubblico.

Finora Berna era riuscita nell’exploit quasi unico al mondo di evitarlo, mentre 37 cause d’imprese svizzere (o che si pretendono tali) sono state identificate ad oggi dall’UNCTAD. L’ultima riguarda Chevron contro le Filippine, sulla base del trattato di protezione degli investimenti Svizzera – Filippine. Un affare di cui non si sa quasi niente, salvo che porta su un giacimento di gas offshore. Chevron, impresa svizzera? A priori non si direbbe, ma la multinazionale americana deve aver fatto “treaty-shopping”, come si dice in gergo, aver trovato che l’API Svizzera – Filippine serviva al meglio i suoi interessi ed essere riuscita a farsi passare per un’azienda elvetica. Ciò mentre è impigliata da decenni in guai giudiziari in Ecuador per avere inquinato l’Amazzonia.

Sopprimere l’ISDS

Sono anni che Alliance Sud chiede alla Svizzera di riequilibrare gli accordi di protezione degli investimenti con i paesi di accoglienza (115 ad oggi, esclusivamente paesi in via di sviluppo) per garantire meglio i loro diritti. Ultimamente il Sudafrica, la Bolivia, l’Ecuador, l’India, l’Indonesia e Malta hanno denunciato i loro e vogliono rinegoziarne di più equilibrati, o non ne vogliono più. L’elemento più contestato è precisamente l’arbitrato internazionale (ISDS), un meccanismo della giustizia privata che prevede che l’investitore scelga un arbitro, lo Stato accusato un altro e i due si mettano d’accordo su un terzo. Tre giudici che possono condannare lo Stato a pagare compensazioni di centinaia di milioni di dollari. Alliance Sud chiede di rinunciare completamente all’ISDS o, alla peggio, di usarlo solo come ultima spiaggia, dopo aver esaurito i ricorsi interni.

Gli Stati dovrebbero poter depositare una contro-causa per violazione dei diritti umani

Se gli accordi di protezione degli investimenti proteggono solo i diritti degli investitori stranieri, una prima breccia a favore del diritto alla salute si è aperta con la sentenza di Philip Morris contro l’Uruguay (luglio 2016) che ha dato torto al fabbricante svizzero di sigarette da A a Z. Un secondo barlume di speranza si è acceso alla fine del 2016, quando un tribunale arbitrale ha dato torto a Urbaser, un’impresa spagnola che gestiva la fornitura d’acqua a Buenos Aires ed era fallita dopo la crisi finanziaria del 2001 – 2002. Gli arbitri hanno statuito che un investitore deve rispettare pure i diritti umani. Per la prima volta hanno accettato anche il principio della “contro-causa” dell’Argentina contro Urbaser per violazione del diritto all’acqua della popolazione... salvo poi finire per decidere che, in fondo, Urbaser non lo aveva violato (!). Hanno considerato che la contro-causa era ricevibile perchè l’API Argentina – Spagna permette “alle due parti” di fare causa.

Scuotere l’albero da cocco

Purtroppo non è il caso degli API svizzeri, che permettono solo all’investitore di sporgere denuncia e non ad ambedue le parti[1]. L’aggiornamento degli accordi in corso, o la rinegoziazione di nuovi, è l’occasione di introdurre questa modifica. Che resta però modesta visto che la denuncia iniziale può provenire solo dall’investitore: vittime della violazione del diritto all’acqua, alla salute, o dei diritti sindacali, non possono sporgere denuncia per primi contro le multinazionali straniere. Possono solo, nel migliore dei casi, rispondere alla loro.

Adesso che un investitore delle Seychelles ha scosso l’albero da cocco, e qualunque sia l’esito di questa causa, speriamo che la Svizzera farà sforzi seri per riequilibrare i suoi accordi d’investimento. Ormai è chiaramente anche nel suo interesse.

                                                 

[1] Vedi per esempio l’art. 10.2 dell’API con la Georgia, il più recente API svizzero.

Questo testo è stato pubblicato nel blog di Isolda Agazzi “Lignes d’horizon” su Le Temps.

Accordi di protezione degli investimenti

Accordi di protezione degli investimenti

Gli accordi di protezione degli investimenti della Svizzera sono squilibrati e favoriscono le sue multinazionali quando investono all’estero. Alliance Sud chiede che vengano riequilibrati per permettere allo Stato ospite di definire delle regole nell’interesse pubblico e per escludere il meccanismo di risoluzione delle controversie mediante arbitrato.

Di cosa si tratta >

Publikationstyp

Di cosa si tratta

Con uno stock d’investimenti diretti all’estero di oltre 1'460 miliardi di franchi, le imprese svizzere sono tra i dieci principali esportatori di capitali al mondo. Per proteggerle, il Consiglio federale ha concluso 111 accordi di protezione degli investimenti (API) con dei Paesi in via di sviluppo, con la significativa eccezione del Trattato della Carta dell’Energia, che include anche gli Stati membri dell’UE e la stessa UE.

Ora, questi accordi conferiscono quasi esclusivamente dei diritti agli investitori stranieri e degli obblighi agli Stati d’accoglienza. Oltre a ciò, essi includono un meccanismo di risoluzione delle controversie denominato «Investor-state dispute settlement, ISDS». Questo meccanismo è unico nel diritto internazionale e permette a un’impresa straniera di sporgere denuncia contro lo Stato d’accoglienza se si ritiene lesa sulla base del trattato in vigore tra lo Stato d’origine e quello di accoglienza. Alliance Sud chiede di riequilibrare gli accordi e di escludere l’ISDS.