La guerra in Ucraina ha influito fortemente sul senso di sicurezza in Europa e anche in Svizzera: un’invasione dell’Europa da parte della Russia sembra essere un’eventualità. Se fino a poco tempo fa la NATO poteva contare sulla protezione degli Stati Uniti, da quando Donald Trump si è insediato alla Casa Bianca questa sicurezza sta progressivamente venendo meno. Nel 2014, dopo l'invasione russa della Crimea, i Paesi membri della NATO decisero di aumentare la spesa militare al 2% del prodotto interno lordo (PIL). Nel 2024, 23 dei 32 Stati membri della NATO avevano raggiunto questo obiettivo (la spesa militare totale della NATO ammontava a 1470 miliardi di dollari, di cui quasi due terzi attribuibili agli Stati Uniti). Ora, nel mese di giugno di quest’anno, la NATO ha annunciato di voler aumentare la spesa militare al 5% del PIL entro il 2035, ovvero più del doppio. Ma da dove dovrebbero provenire tali fondi e il riarmo globale potrà davvero garantire la pace?
Corsa agli armamenti sulle spalle dei più poveri
Se l’obiettivo del 5% dovesse essere effettivamente raggiunto entro il 2035, si pone il problema di come finanziare questa massiccia spesa aggiuntiva. La maggior parte dei membri della NATO ha attualmente un debito nazionale relativamente alto: mentre gli Stati Uniti hanno un tasso di indebitamento pari a circa il 120% del PIL, quello medio dei Paesi UE ammonta all’81,5% del PIL. Negli ultimi anni diversi Paesi (tra cui USA, Francia e Italia) hanno già subito un declassamento del proprio rating creditizio da parte di singole agenzie di rating.
Mentre aumentano le spese militari, in diversi Paesi si profilano tagli in altri settori, tra cui la sicurezza sociale, la protezione del clima e la cooperazione internazionale. Nel periodo 2022-2023, 15 membri del Comitato di aiuto allo sviluppo dell'OCSE (OCSE-CAS) hanno ridotto i fondi destinati allo sviluppo, aumentando al contempo, nella maggior parte dei casi, le spese per la difesa. Dal 2024 alla prima metà del 2025, altri otto Paesi CAS hanno deciso di ridurre le loro spese per lo sviluppo, in parte con la motivazione di voler finanziare in questo modo l’aumento delle spese militari. Prime stime dell’OCSE prevedono che nel 2025 la spesa pubblica per lo sviluppo potrebbe subire tagli pari fino al 17% e che questa tendenza continuerà nei prossimi anni. L’obiettivo concordato a livello internazionale di destinare lo 0,7% del reddito nazionale lordo (RNL) alla cooperazione allo sviluppo si allontana quindi sempre più (nel 2024 la media OCSE è scesa allo 0,33%; senza contare i costi interni relativi ai richiedenti l’asilo, si scende addirittura a un misero 0,29% del RNL).
Al contempo, la crisi climatica sta distruggendo le basi vitali a livello globale, e anche l'Europa e gli Stati Uniti sono sempre più spesso colpiti da eventi meteorologici estremi. Per combattere e adattarsi al cambiamento climatico sono necessari fondi nell’ordine dei miliardi. Inoltre, attualmente, in tutto il mondo circa 123,2 milioni di persone sono in fuga, 673 milioni soffrono di fame e circa 305 hanno urgente bisogno di aiuto umanitario. I bisogni crescono, mentre la disponibilità di fondi diminuisce. Anche in Occidente sempre più persone non riescono più a provvedere al proprio sostentamento e hanno perso fiducia nella politica, il che porta all’ascesa di figure estremiste, populiste e illiberali.
Di fronte a una chiara volontà politica di potenziare gli armamenti, diminuiscono gli scrupoli nel finanziare l’aumento delle spese militari persino a scapito della sicurezza sociale, della lotta alla povertà o della protezione del clima.
Che dire della Svizzera?
Anche in Svizzera la tendenza va in una direzione simile. Alla fine del 2024, il Parlamento ha deciso di aumentare la spesa militare di 4 miliardi di franchi dal 2025 al 2028, per elevarla all’1% del PIL entro il 2032 (dall’attuale 0,7%). Al contempo, sono stati approvati tagli alla cooperazione internazionale per un totale di 110 milioni di franchi per il 2025 e di 321 milioni di franchi per il periodo 2026-2028. Come se non bastasse, il dibattito sui risparmi non è ancora finito: ulteriori misure in vari ambiti sociali e climatici saranno discusse in autunno nel quadro del pacchetto di sgravio.
Mentre si può certamente discutere se un rapido riarmo abbia senso in Svizzera (soprattutto perché è circondata da Paesi della NATO e, nel contesto attuale, un attacco informatico è molto più probabile di un attacco aereo), in confronto a molti nostri vicini europei il nostro Paese non ha problemi di debito. L’attuale tasso d’indebitamento del 17,2% è ridicolmente basso rispetto agli standard internazionali e le misure di risparmio in quest’ottica non sono assolutamente necessarie. Persino la Germania, che ha un tasso notevolmente più alto, pari al 62,5%, ha recentemente deciso di allentare il suo freno all’indebitamento, invero meno rigoroso, in modo da poter contabilizzare le crescenti spese militari su base straordinaria e, allo stesso tempo, creare un fondo speciale di 500 miliardi di euro per le infrastrutture e la protezione del clima. La Svizzera avrebbe quindi un ampio margine per investire sia nel riarmo, sia in una solida cooperazione internazionale, nella sicurezza sociale e nella protezione del clima. Ciò che manca è la volontà politica.
Riarmo globale... e poi?
Quindi il mondo si sta riarmando, e in modo massiccio. Per l’istituto di ricerca sui conflitti svedese SIPRI si tratta di una chiara inversione di tendenza: la concezione della sicurezza dominante dalla fine della Guerra Fredda, basata sul controllo degli armamenti, sulle misure di fiducia e sulla trasparenza sta lasciando il posto a una concezione della sicurezza basata sulla forza militare e sugli effetti deterrenti. Secondo il SIPRI, se da un lato il massiccio riarmo può fungere da deterrente nei confronti di potenziali aggressori, dall’altro rischia di accelerare una corsa agli armamenti e di compromettere gli sforzi di dialogo, le misure di fiducia ed eventuali nuovi accordi sul controllo degli armamenti. Sono diverse le voci che mettono in guardia, inoltre, da rischi elevati di inefficienza nell’ambito degli acquisti, prezzi eccessivi, abusi ed elusione dei meccanismi di controllo.
Il riarmo dell’Europa e della Svizzera può sembrare ragionevole alla luce delle minacce attuali, ma che cosa ne sarà a medio e lungo termine di tutte le nuove armi prodotte (senza contare che l’industria bellica poggia su quella dei combustibili fossili, la quale ora è tornata a crescere)? Come possiamo immaginarci il mondo tra un decennio considerando che la protezione del clima, la sicurezza sociale e la cooperazione internazionale vengono smantellate in fretta e furia a favore della militarizzazione?
Verso una concezione di sicurezza a 360 gradi
Non sembra tuttavia troppo tardi per investire in una concezione globale e olistica della sicurezza. Una concezione a 360 gradi, in cui la sicurezza militare non sia contrapposta alla sicurezza sociale, alla cooperazione internazionale o al finanziamento internazionale a tutela del clima, ma sia considerata uno dei vari elementi, di uguale importanza, di una politica di sicurezza olistica a lungo termine.
Diversi esperti ed esperte in materia di sicurezza contestano la logica del riarmo frettoloso e sostengono che, piuttosto, sono necessari un migliore coordinamento e una cooperazione intereuropea. Questo aspetto è stato sottolineato anche dal primo ministro spagnolo Sánchez, che ha respinto esplicitamente l’obiettivo del 5%, dichiarandolo irragionevole e controproducente. I suoi toni sono stati chiari: la Spagna non è disposta a risparmiare sul welfare, sulla cooperazione internazionale o sulla transizione energetica per precipitarsi ad acquistare equipaggiamenti pronti all’uso dall’estero. Si aggraverebbero così i problemi di dipendenza dagli Stati Uniti e di interoperabilità dell’effettivo di equipaggiamenti europei.
In parallelo, a livello nazionale occorre compiere ogni sforzo per ripristinare la fiducia della popolazione nella politica. Per esempio tramite investimenti nella previdenza per la vecchiaia, nella sicurezza sociale e nella sanità, così come nella transizione energetica e nella protezione dell’ambiente. In termini di politica estera, occorre intensificare l’impegno nell’ambito del multilateralismo, gli sforzi diplomatici, il finanziamento a tutela del clima e la cooperazione internazionale, poiché la sicurezza può essere garantita a lungo termine solo attraverso la cooperazione, il dialogo e il rispetto degli obblighi internazionali per il bene comune. La Spagna dimostra che è possibile comprendere la politica di sicurezza in senso lato e concepirla in maniera globale senza contrapporla ad altri ambiti. In quanto Paese ricco e con un tasso di indebitamento irrisorio, la Svizzera potrebbe permettersi di seguire l’esempio e, anzi, essere un modello per altri Paesi.