Da quando negli Stati Uniti è ritornato al potere Donald Trump, in tutto il mondo è scoccata l'ora dei negazionisti. Crisi climatica, disuguaglianze sociali, conflitti e Paesi soffocati dal debito pubblico: tutti temi che non vengono affrontati, o che vengono affrontati solo per servire da pretesto agli oligarchi della tecnologia con l’intenzione di colonizzare Marte. Ma credere che le crisi multiple possano scomparire come per magia, è realistico quanto immaginare paesaggi fioriti su Marte. Affinché le crisi non diventino incontrollabili, il nostro pianeta ha bisogno di una trasformazione radicale e rapida dei suoi modelli di produzione e consumo. Ciò presuppone una transizione energetica equa che combatta la povertà mondiale e dia a tutti la possibilità di condurre una vita dignitosa.
Tuttavia, stiamo attraversando la più grave crisi del multilateralismo dalla Seconda guerra mondiale. Gli attacchi contro le organizzazioni multilaterali come le Nazioni Unite, il disimpegno dai suoi organi vitali e il congelamento dei contributi finanziari fungono da palla di demolizione proprio della potenza mondiale che ha svolto un ruolo decisivo nella costruzione dell'architettura multilaterale. Questo sistema non era certamente perfetto, tutt'altro, ma come ha detto l'ex segretario generale dell'ONU Dag Hammarskjöld: «Le Nazioni Unite non sono state create per portarci in paradiso, ma per salvarci dall'inferno». Nessuno dei problemi mondiali può essere risolto, nemmeno in parte, senza il multilateralismo, senza la cooperazione tra i paesi nel rispetto reciproco e su un piano di parità. Ecco perché, nelle ore più buie del multilateralismo, dobbiamo parlarne più che mai.
Paradossalmente, le misure unilaterali adottate da Trump potrebbero fungere da catalizzatore per una cooperazione internazionale più forte e incoraggiare gli altri Stati a collaborare più strettamente, afferma l’economista indiana Jayati Ghosh, docente presso l'Università del Massachusetts ad Amherst e copresidente della Commissione indipendente per la riforma della fiscalità internazionale delle imprese (ICRICT). A suo avviso, molti leader politici sembrano averlo capito e rimangono fedeli al multilateralismo. I negoziati internazionali sulla fiscalità, la protezione del clima e il finanziamento dello sviluppo stanno procedendo (confronta box su Siviglia), anche senza la partecipazione dello Zio Sam. In questo contesto di incertezza e sconvolgimenti, il clima attuale potrebbe offrire un'occasione unica per costruire un movimento veramente internazionale a favore di un cambiamento progressista. Ma ci vogliono coraggio e convinzione, come ha dichiarato il primo presidente del Burkina Faso, Thomas Sankara, in un'intervista realizzata nel 1985 dal giornalista svizzero Jean-Philippe Rapp: «Non si possono realizzare trasformazioni fondamentali senza un minimo di follia. In questo caso, si tratta di anticonformismo, del coraggio di voltare le spalle alle formule conosciute, di inventare il futuro».
La Svizzera si impegna a favore del multilateralismo, della pace e dei diritti umani soltanto quando i suoi interessi economici non sono messi in discussione. Non appena si tratta di riforme economiche globali che incidono sui vantaggi competitivi della sua piazza finanziaria e commerciale, la politica svizzera ostacola qualsiasi soluzione. Così facendo il nostro Paese vive a spese di altri Stati e delle loro popolazioni. Trae profitto dal trasferimento di utili e dall'evasione fiscale, dalla sua piazza finanziaria fatta su misura per persone molto facoltose, dal suo ruolo di hub mondiale delle materie prime e dal suo status di sede di multinazionali che violano i diritti umani e inquinano l'ambiente. Inoltre, la sua impronta climatica è molte volte superiore a quella che consentirebbe un'equa distribuzione del bilancio globale di CO2. La Svizzera può quindi impegnarsi a favore di soluzioni multilaterali per una transizione giusta solo se cambia sé stessa. Potrebbe allora, insieme all'UE e ai paesi del Sud globale, difendere i valori democratici e il multilateralismo. E opporsi all'autoritarismo sia in Occidente, sia in Oriente.
Il nuovo Deal
In una pubblicazione intitolata «Il nuovo Deal», il team di Alliance Sud delinea le soluzioni multilaterali necessarie per risolvere i problemi più urgenti e mostra come la Svizzera debba cambiare per promuovere uno sviluppo sostenibile in modo credibile. Le proposte formulate sono in parte del tutto nuove (ad esempio una Convenzione delle Nazioni Unite sulle materie prime); alcune sono già da tempo oggetto di discussione nel sistema multilaterale (come il trasferimento di tecnologie) e altre sono già in fase di negoziazione (come la Convenzione fiscale delle Nazioni Unite).
Oltre al finanziamento internazionale per il clima, la transizione equa richiede pure il proseguimento degli aiuti pubblici allo sviluppo per sostenere i paesi del Sud globale in situazioni di emergenza o di conflitto e per consolidare la loro gestione della spesa pubblica. Ciò vale in particolare per i Paesi più poveri che, a causa dell'evasione fiscale, non dispongono di risorse sufficienti per finanziare il proprio sviluppo, sono stati esclusi dal sistema commerciale globalizzato e sono schiacciati dal peso del debito. Quest’ultimo ha raggiunto livelli senza precedenti, tanto che molti Paesi poveri spendono di più per gli interessi che per l’educazione o la sanità.
In questo contesto la Svizzera non può certo tirarsi indietro, visto che (es)trae gran parte della sua prosperità economica dal Sud globale. Eppure si colloca attualmente tra i paesi con il peggior impatto su altri Paesi, principalmente a causa della sua piazza finanziaria e del suo ruolo di hub per il commercio di materie prime. Finché questa situazione non sarà corretta, la Svizzera dovrà dare prova di maggiore solidarietà e contribuire all'aiuto pubblico allo sviluppo (APS) superando lo 0,7 % del reddito nazionale lordo (RNL) concordato anni fa a livello internazionale. Invece di ridurre i suoi contributi come sta facendo, la Svizzera dovrebbe destinare all’APS almeno l'1% del suo RNL (senza tenere conto dei costi legati all'asilo che rimangono nel Paese).
In Svizzera ogni riforma ambiziosa (Sankara direbbe folle) si scontra però con un argomento in apparenza schiacciante: «è troppo costosa». Ma non appena ci si libera dalla morsa della politica di austerità e dall'ossessione del freno all'indebitamento, la situazione appare completamente diversa. Aumento dell'imposta minima sulle imprese, imposta federale sulle grandi fortune, abolizione del segreto bancario nazionale, eliminazione dell'esenzione fiscale sul cherosene e introduzione di una tassa sui biglietti aerei: tutte queste misure proposte da Alliance Sud sono perfettamente razionali e realizzabili in poco tempo. Consentirebbero di sbloccare ogni anno 19,5 miliardi di franchi supplementari per una Svizzera rispettosa del mondo. Un aumento anche solo moderato del tasso di indebitamento della Confederazione, molto basso nel raffronto internazionale, creerebbe un ulteriore margine di manovra finanziario. Insomma, la Svizzera ha i mezzi necessari per investire in un futuro sostenibile, creando nel contempo maggiore giustizia sociale e una vita migliore per tutti.