Intervista

«Non vogliamo una guerra infinita»

15.06.2023, Cooperazione internazionale

Il movimento pacifista sembra quasi del tutto assente dalla guerra in Ucraina, forse perché nessuno sa cosa potrebbe voler dire in questo caso «fare la pace». Alliance Sud lo ha domandato all’ambasciatore Thomas Greminger.

Isolda Agazzi
Isolda Agazzi

Esperta in politica commerciale e d’investimento, portavoce per la Svizzera romanda

«Non vogliamo una guerra infinita»

Thomas Greminger, direttore del Centro di politica di sicurezza di Ginevra. Presso l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), Greminger è noto per aver gestito nel 2014 la crisi derivante dall’annessione della Crimea da parte della Russia, a scapito dell’Ucraina. In precedenza è stato capo della Divisione Sicurezza umana del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), capo della Cooperazione Sud presso la Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) e segretario generale dell’OSCE (2017-2020).
© Martial Trezzini / KEYSTONE

In seno all’OSCE lei ha promosso varie attività di mediazione e mantenimento della pace, in particolare in Ucraina, dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia. Si può dire che l’invasione dell’Ucraina da parte della stessa Russia nel 2022 sia la prova del fallimento di questi sforzi?
Thomas Greminger: Nel 2014-2015 siamo riusciti a impedire l’escalation della crisi in Ucraina, ma non a risolvere il conflitto tra Russia e Ucraina e nemmeno quello di fondo tra Russia e Occidente. L’Occidente ha insistito sul fatto che la NATO è un’alleanza difensiva, che non ha intenzioni offensive e che molti Paesi vi hanno voluto aderire perché temevano Mosca. Tuttavia l’Occidente non ha riconosciuto che la Russia aveva legittime preoccupazioni in materia di sicurezza e che la sua percezione di una minaccia da parte dell’Occidente risulta di lunga data, risalendo a Napoleone e alla Germania di Hitler. Putin ha certamente sfruttato tutto ciò perseguendo un’agenda revanscista, ma il sentimento della Russia riguardo alla propria sicurezza è legittimo. In fin dei conti, occorre riconoscere che nessuna organizzazione internazionale è in grado di impedire a una grande potenza di scatenare una guerra, né l’ONU né tantomeno l’OSCE.

È possibile fare la pace nel contesto attuale e, se sì, cosa significa? Cedere il 20% del territorio ucraino alla Russia?
Comincio a sentire delle richieste di un piano B. Il piano A consiste nel sostenere l’Ucraina sul campo di battaglia finché vorrà continuare a combattere. Al momento prevale l’opinione che si debba attendere l’esito dell’offensiva di primavera da entrambe le parti e che poi si possa tornare al tavolo dei negoziati per negoziare un cessate il fuoco e forse anche un accordo di pace. Si tratterebbe di una vera sfida a causa di una serie di problemi, a cominciare dalle questioni territoriali sulle quali nessuna delle due parti è disposta a scendere a compromessi.

Ma è molto probabile che nessuna delle due posizioni si concretizzi: l’Ucraina vuole liberare tutti i territori occupati dal 2014 e la Russia vuole consolidare tutte le posizioni annesse. Non abbiamo alcun interesse a ricompensare Putin permettendogli di cambiare i nostri confini con mezzi militari, ma non vogliamo una guerra infinita. La soluzione transitoria sarebbe rappresentata dalla cessione temporanea di territorio, come quella verificatasi tra Germania Est e Ovest dopo la Seconda Guerra Mondiale o tra le due Coree. Non si tratta di cedere un territorio nel senso formale del diritto internazionale, ma di concordare una cessione temporanea che potrebbe essere rinegoziata sotto un successivo governo russo.

Cosa accadrebbe dopo?
La seconda serie di domande sarebbe: quali garanzie di sicurezza otterrà l’Ucraina per assicurarsi di non essere mai più invasa dalla Russia? Entrerà a far parte della NATO oppure diventerà neutrale? Il governo ucraino vuole diventare membro della NATO per ottenere le garanzie dell’articolo 5 del Trattato di Washington, ma politicamente questo passo risulta difficile perché importanti membri della NATO esprimono riluttanza e, ovviamente, per la Russia l’adesione dell’Ucraina alla NATO sarebbe inaccettabile. Inoltre, si pongono le questioni dei risarcimenti nell’ambito della revisione delle sanzioni e la questione dei crimini di guerra.

Attualmente, i due capi di Stato vogliono protrarre il conflitto sul campo di battaglia e non hanno alcuna voglia di sedersi al tavolo dei negoziati perché pensano di poter vincere militarmente. Se una delle due parti si trovasse ad avere un’opinione diversa, l’atteggiamento potrebbe cambiare.

I famosi buoni uffici della Svizzera sembrano essere inesistenti. È così e, in caso affermativo, dobbiamo reinventarli?
Le parti coinvolte in questa guerra non sono interessate alla mediazione e al supporto tradizionali. Ciò che ha offerto la Turchia è una mediazione di potere attraverso il suo ruolo di potenza regionale e l’accesso del presidente Erdogan ai due capi di Stato. Non è il tipo di mediazione che la Svizzera o la Norvegia potrebbero offrire e anche se la Svizzera non avesse imposto sanzioni non le sarebbe stato chiesto di mediare.

I russi ci dicono che siamo sulla lista dei Paesi ostili a causa delle sanzioni, e il comitato costituzionale sulla Siria non può più riunirsi a Ginevra. Invece i colloqui internazionali sulla Georgia continuano a tenersi a Ginevra e la Russia vi partecipa. I russi sono molto pragmatici; vengono a Ginevra quando pensano che ci sia qualcosa da guadagnarci. Questo vale anche per tutta una serie di piattaforme di dialogo informale che offriamo per conto del Geneva Centre for Security Policy (GCSP).

La neutralità della Svizzera viene sempre meno compresa dall’Occidente. Ha ancora senso?
È vero che è sotto pressione, soprattutto da parte dei Paesi occidentali, ma dal punto di vista della Ginevra internazionale, la neutralità è molto apprezzata da tutti gli altri Paesi, compresi quelli del Sud globale. I Paesi occidentali comunque apprezzano che siamo in grado di offrire contesti di dialogo su questioni controverse come l’Artico, la Siria e le armi nucleari. È anche nel loro interesse che, in un mondo estremamente polarizzato, vi siano Paesi neutrali in grado di offrire uno spazio di dialogo e negoziazione. La neutralità non ha perso il suo senso, anche se ci sono pressioni.

D’altra parte, la Svizzera ha dimostrato chiaramente di condividere i valori occidentali di rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto e della democrazia. In questo senso, sottolinea l’idea che la neutralità non è una questione di valori. Allo stesso tempo, però, va plaudito al fatto che la Svizzera non si sia unita al campo che sostiene militarmente l’Ucraina, poiché minerebbe il senso di imparzialità di un Paese che ospita un numero così elevato di organizzazioni internazionali.

Secondo l’Ukraine Support Tracker, la Svizzera non sta facendo molto per l’Ucraina nel confronto internazionale. Dovrebbe aumentare il suo impegno e, se sì, come?
La Svizzera non sembra essere particolarmente ben posizionata in questa classifica per quanto riguarda il livello complessivo di sostegno all’Ucraina perché quest’ultimo include il sostegno militare (armi, munizioni), che è molto costoso. Non sorprende quindi che arrivi solo al 28° posto. La situazione migliora già molto se si includono i costi legati ai rifugiati (17° posto).

In ogni caso ciò fa presagire che, a breve e medio termine, la Svizzera sarà sottoposta a pressioni per compensare la mancanza di sostegno militare. Dal punto di vista della condivisione degli oneri, potremmo vederci obbligati a contribuire in modo significativo in altri settori, come l’aiuto umanitario e la ricostruzione dell’Ucraina. La pressione perché il nostro Paese faccia ancora di più aumenterà. Aumenteranno anche le pressioni perché si risparmi altrove, ma molti Paesi del Sud stanno soffrendo a causa della guerra e non sarebbe una mossa saggia ridurre la cooperazione allo sviluppo in altre parti del mondo. Oltre alle ragioni umanitarie, infatti, una tale mossa concederebbe ai Paesi autoritari come la Russia e la Cina la possibilità di estendere la loro influenza nei Paesi del Sud.

La Svizzera dovrebbe autorizzare la riesportazione di materiale bellico?
Faremmo bene a concentrarci su ciò che sappiamo fare meglio! La riesportazione di armi non sarà mai decisiva sul campo di battaglia in Ucraina. In quanto Paese che difende lo Stato di diritto, dobbiamo applicare la legislazione in vigore, e se la legge sull’esportazione di materiale bellico non lo consente, non possiamo esportarlo, oppure sarà necessario modificare la legge. Se vogliamo cambiarla, possiamo farlo, ma ci vuole tempo. Per il momento, dobbiamo applicare la legislazione in vigore.

Alliance Sud esige una politica di sicurezza globale per prevenire guerre future. Cosa ne pensa?
Nel corso della mia carriera mi sono occupato di sviluppo, pace e sicurezza, insistendo sempre sui legami tra questi ambiti. In quanto Paese con un’economia fortemente orientata al contesto internazionale, la Svizzera dipende da relazioni stabili tra gli Stati. Ciò si applica anche agli Stati fragili. Gli Stati più colpiti dalle ripercussioni di guerra, insicurezza alimentare ed energetica, disordini politici, inflazione, ecc. sono Stati fragili. I Paesi poveri sono più vulnerabili ai conflitti etnici, sociali e interstatali. Investire nella cooperazione allo sviluppo rafforza la resilienza degli Stati fragili, può ridurre i fallimenti di Stato e il potenziale di conflitto, e un numero minore di persone è costretto ad abbandonare le proprie case. La politica di sviluppo è una politica di prevenzione dei conflitti.

 

Intervista pubblicata su "La Regione" del 5 luglio 2023

Una fondazione indipendente, ma finanziata dalla Confederazione

Il Geneva Centre for Security Policy (GCSP) è una fondazione indipendente, il cui consiglio comprende 53 Paesi e il Cantone di Ginevra. È stata creata dalla Confederazione svizzera, che assicura il 70% del suo budget. A dirigerla sono diplomatici di carriera (come l’attuale direttore Thomas Greminger) a cui per questa funzione viene conferito il titolo di ambasciatore dal Consiglio federale.
Dallo scoppio della guerra in Ucraina, il GCSP ha mantenuto il suo programma di formazione per dirigenti imparziale e inclusivo sia nello spirito sia nella pratica. Continua a organizzare corsi con partecipanti russi e ucraini. Offre uno spazio di dialogo informale e si occupa di questioni direttamente legate alla guerra nonché, più indirettamente, di argomenti che non vengono più discussi a livello governativo, come il dialogo sulle armi nucleari tra Stati Uniti e Russia.